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I dazi e il cane che si morde la coda

di Alessandro Volpi - 31/07/2025

I dazi e il cane che si morde la coda

Fonte: Alessandro Volpi

Provo a indicare cosa potrebbe fare l'Unione europea e perché non lo fa, aggiungendo una considerazione più generale. Secondo le stime della Commissione europea il surplus degli Stati Uniti nei confronti dell'Unione europea in materia di servizi è risultato nel 2024 pari a 148 miliardi di euro. A questo dato bisogna aggiungere un'ulteriore specificazione: l'Unione europea è il più grande mercato per i servizi degli Stati Uniti che registrano un surplus globale, in materia di servizi, di circa 250 miliardi di euro. Dunque, l'Unione europea è fondamentale per la tenuta del settore dei servizi Usa, che costituisce circa i due terzi del Pil americano. Per contrastare l'aggressione di Trump, la strada più semplice sarebbe allora quella di introdurre limitazioni o forme di imposizione fiscale in questo ambito. Ma una simile strada è, ad oggi, difficilissima da perseguire. A parte i rischi, sempre più evidenti di congelamento della normativa varata dall' Unione (Digital Services Act e Digital Markets Act), l'ipotesi di una tassazione vera sulle Big tech americane è, appunto, impossibile per la strutturazione stessa dell'Unione europea. Cerco di essere più chiaro prendendo in esame il caso italiano. Le filiali italiane di Amazon, Meta, Microsoft e Alphabet hanno registrato fatturati annui nell'ordine dei 6 miliardi di euro ma hanno dichiarato utili per soli 133 milioni di euro. Come è possibile il paradosso di utili così bassi? La risposta è semplice. Le filiali italiane di questi colossi contabilizzano costi enormi che devono liquidare alla società madre europea che ha sede in Irlanda o in Lussemburgo, dove di fatto trasferiscono i profitti, lasciando in Italia le briciole, e dunque pagando le imposte in Irlanda e in Lussemburgo dove le aliquote sono bassissime. Pertanto fino a quando l'Unione europea avrà nei propri confini questi paradisi fiscali è difficile immaginare di imporre una tassazione ai colossi americani e, di conseguenza, attuare politiche di contrasto alle pretese di Trump. Del resto, per modificare le normative fiscali serve l'unanimità e, alla luce di ciò, Trump e le big tech possono dormire sonni tranquilli. La considerazione che volevo aggiungere è però molto più generale. Quasi il 60% del risparmio gestito degli europei è investito negli Stati Uniti, attraverso la mediazione dei grandi fondi. Le sorti dei risparmiatori del Vecchio Continente ha così bisogno che i listini e il debito Usa non crollino. Allora se il capitalismo finanziario a stelle e strisce accusa segni di grave crisi, è inevitabile che le classi dirigenti europee, responsabili della costruzione della finanziarizzazione sotto il dominio americano, corrano in soccorso dell'Impero.