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Gli Usa possono lasciare l’Iraq, oppure possono restare. Ma non possono fare entrambe le cose

di Patrick Cockburn - 14/11/2008


Gli iracheni hanno un’idea chiara di chi secondo loro finanzia la loro polizia segreta



Se mai arriverà in tribunale, dovrebbe essere uno dei casi di diffamazione più interessanti degli ultimi 10 anni. L’Iraqi National Intelligence Service [i servizi segreti iracheni NdT] sta minacciando di fare causa ad Ahmed Chalabi, il politico iracheno, per aver chiesto da chi viene finanziato.

"E’ piuttosto curioso", dice Chalabi, "per i servizi di intelligence di un Paese sovrano – che nessuno sappia veramente chi li stia finanziando".

In realtà sono pochi gli iracheni che non ritengono di avere un’idea molto chiara su chi finanzia la polizia segreta dell’Iraq. Il direttore è il Generale Mohammed Abdullah Shahwani, che un tempo guidò un colpo di Stato fallito contro Saddam Hussein, e, dopo il 2003, venne scelto accuratamente per gestire i nuovi servizi di sicurezza dalla CIA, alla quale si pensa che da allora abbia sempre risposto.

La storia dei servizi di intelligence iracheni è importante perché mostra come è distribuito realmente il potere in Iraq, invece del quadro falso  presentato dal Presidente Bush. Spiega il perché così tanti iracheni siano sospettosi nei confronti dell’accordo di sicurezza, o Status of Forces Agreement, che la Casa Bianca sta spingendo il Primo Ministro iracheno Nuri al-Maliki a firmare. Essa rivela il panorama politico reale in cui il presidente eletto Barack Obama presto dovrà orientarsi.

Nonostante tutte le dichiarazioni virtuose di Bush sul rispetto della sovranità irachena, si dice che il Generale Shahwani lavori principalmente per l’intelligence americana. I servizi segreti “non lavorano per il governo iracheno – lavorano per la CIA", è l’affermazione attribuita a Hadi al-Ameri, un potente deputato sciita, tre anni fa. "Preferisco chiamarli American Intelligence of Iraq, non Iraqi Intelligence Service".

Sembra che da allora non sia cambiato molto. Adesso i servizi segreti compaiono nel bilancio dell’Iraq, per aver ricevuto 150 milioni di dollari, nonostante la cifra sembri piuttosto misera, data l’entità delle loro operazioni, fra le quali c’è la gestione di unità paramilitari. Una delle loro missioni principali è spiare gli iraniani per conto degli Usa, utilizzando quasi lo stesso nucleo di agenti che svolgevano questo compito per Saddam Hussein.

Il timore di un controllo segreto da parte degli Stati Uniti è una delle ragioni per le quali il governo iracheno ha insistito tanto perché tutte le forze Usa siano fuori dall’Iraq entro fine 2011. Nell’ultima bozza dell’accordo di sicurezza non si fa più cenno alle truppe statunitensi che rimarrebbero per compiti di addestramento, o a condizionare il ritiro Usa al fatto che vengano mantenuti i miglioramenti della sicurezza in Iraq.

La posizione degli americani in Iraq è sempre stata indebolita dal timore che, qualunque cosa sostenessero di stare facendo nel Paese, il loro obiettivo a lungo termine  fosse quello di dominarlo. Il rovesciamento di Saddam Hussein, uno dei più disastrosi leader del mondo, era stato generalmente ben accolto in Iraq. Ma l’occupazione era sgradita alla maggioranza degli iracheni fin dall’inizio.

Il risultato è che negli ultimi cinque anni e mezzo l’America è sempre stata politicamente debole in Iraq. Per dirla in modo semplice, ha molti pochi amici fra gli iracheni fuori dal Kurdistan. La comunità sciita e quella sunnita hanno, per i propri fini, fatto alleanze tattiche con l’occupante, ma non hanno mai voluto una presenza permanente. Una volta che gli iracheni e i loro vicini non avranno più paura che gli Usa abbiano intenzione di dominare l’Iraq, in modo diretto o indiretto, attraverso la nomina di candidati locali, allora la posizione dell’America diventerà molto più forte.

Dovrebbero essere buone notizie per Barack Obama, che vuole ritirare le truppe da combattimento statunitensi in 16 mesi. Il governo iracheno per lo più è d’accordo. Ma se c’è qualcosa che le elezioni presidenziali hanno dimostrato è che nessuno dei due candidati sapeva molto di quello che stava succedendo in Iraq.

John McCain sosteneva in modo assurdo che gli Usa erano sul punto di vincere, e, nel corso delle sue visite nella Green Zone, il suo staff aveva infastidito i funzionari dell’ambasciata Usa, pretendendo che non indossassero elmetti e giubbotti antiproiettile quando erano vicino al candidato. I collaboratori di McCain temevano che ciò potesse indebolire agli occhi dei telespettatori americani le affermazioni del loro candidato, secondo cui le prospettive Usa in Iraq erano più rosee di quanto non fosse stato riferito.

La chiave affinché gli Usa possano ritirarsi in modo ordinato dall’Iraq è che questa ritirata dovrebbe essere reale, e gli Usa non dovrebbero cercare di controllare istituzioni fondamentali dello Stato iracheno come i servizi segreti. Inoltre è cruciale che Obama intraprenda negoziati seri con gli iraniani. Finché la leadership iraniana penserà che l’Iraq potrebbe essere la piattaforma di lancio per un attacco contro l’ Iran, non sarà mai nell’interesse iraniano che l’Iraq si stabilizzi.

Lo stesso vale per la Siria. Un problema per Obama è che l’affermazione del tutto falsa di McCain, secondo cui  la posizione dell’America in Iraq si sarebbe rafforzata, è stata generalmente accettata dai media statunitensi, facendo sì che qualsiasi compromesso con l’Iran possa essere presentato come un tradimento.

The Independent

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)

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