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Tibet, i cinquecento contro il Dalai Lama

di Nicola Sessa - 19/11/2008




Riuniti in assemblea a Dharamsala i cinquecento delegati per discutere la linea politica del Dalai Lama

Non si può parlare di vero e proprio ammutinamento, ma il risultato dell'assemblea degli oltre cinquecento esuli tibetani riunitisi a Dharamsala, nel nord dell'India, potrebbe segnare un momento storico nella cinquantenaria lotta del popolo himalayano contro la politica accentratrice di Pechino.

Non si può parlare di ammutinamento, solo perché il concetto di "non-violenza" costituisce l'essenza stessa dei tibetani. Per la prima volta, però, viene messa in discussione la linea del Dalai Lama, la guida politica e spirituale, che negli ultimi giorni ha dovuto ammettere, pubblicamente, il fallimento del dialogo con Pechino e della "strategia della moderazione" portata avanti dal 1988. Ancora una volta, l'incontro della prima settimana di novembre tra la Cina e la delegazione tibetana, ha portato a un nulla di fatto. La frustrazione ha preso il posto della perseveranza nei cuori e nelle volontà del popolo di Buddha, soprattutto nei giovani che mai erano stati ben disposti alla linea della semplice autonomia nel seno del Dragone, preferendo l'indipendenza totale da Pechino.
Quella svoltasi tra il 31 ottobre scorso e il 5 novembre è stata l'ottava sessione di incontri, la terza dalla rivolta di Lhasa, repressa nel sangue, a marzo. Il Dalai Lama non ha potuto fare altro che convocare l'assemblea di Dharmsala, sede del governo tibetano in esilio, affinché il suo popolo possa ridiscutere il piano di azione. Per permettere un esame sereno dello stato di fatto, il Premio Nobel per la Pace ha anche rinunciato a essere presente alla riunione per non influenzare i lavori. Si tratta della prima assemblea "generale" dopo 27 anni.

Tsewang Rigzin, presidente dell'influentissimo Congresso dei Giovani Tibetani, non ha dubbi su quale sia la politica da seguire e anche sull'esito dell'assemblea che si concluderà a fine settimana: la causa dell'indipendenza ne uscirà rafforzata. La frustrazione, che ha colpito lo stesso il Dalai Lama, deriva anche dalla cortese indifferenza della comunità internazionale: sebbene la linea moderata sia stata accolta unanimemente con molto favore, anche da intellettuali cinesi, nessun frutto è stato raccolto perché, in fondo, nessuno ha veramente sposato la causa. Anzi, il 29 ottobre, due giorni prima che cominciassero i lavori a Pechino, il governo britannico di Gordon Brown ha annunciato, dopo 94 anni, la revoca del riconoscimento di una certa sovranità formale del Tibet nelle relazioni con la Cina. Secondo alcuni giuristi, la mossa di Londra ha, non solo indebolito la "posizione contrattuale" della delegazione tibetana, ma ha rafforzato la già arrogante posizione dei Pechino.

La Cina, da parte sua, non dà alcun rilievo all'assemblea in corso a Dharmsala: "Il Tibet non ha alcuna sovranità, nessuna nazione gliela riconosce. Ogni tentativo di separarsi dalla Cina è destinato al fallimento. Il Tibet è Cina". Queste le parole del ministero degli Esteri di Pechino.