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L'alba di una nuova ideologia

di Mauro Maggiora - 21/11/2008

    

Non più di venti giorni fa il cinefilo Veltroni, tribuno dimezzato, dal Circo Massimo di Roma declamava: «Questa è la più grande manifestazione di massa del riformismo italiano perchè in Italia un cittadino su tre si riconosce e crede nel riformismo moderno».
Riformismo, modernismo: parole vuote che risuonano sinistramente, un'eco cupa, la  tabula rasa dell'economia globalizzata.
Tra i clangori di fabbriche che delocalizzano, esternalizzano, chiudono cancelli trasformando ampie zone del paese in aree cimiteriali.
Parole che, curiosamente, continuano a rimbalzare nei salotti dei canali di scarico mediatico, generalmente associati alla religione suprema, il post-ideologismo.
Essere post-ideologici è la conditio sine qua non per un politico “delegato”, che non può più essere militante, pena l'esilio in soffitta. Solo un'idea “pragmatista” può essere funzionale a questa società, che sociologi all'Alberoni hanno ribattezzato “liquida”, e mai termine fu più felice.
La società liquida ovviamente è un prodotto organico di scarto della fisiocrazia francese settecentesca, un “laissez faire, laissez passer” de noantri.
I post-marxisti e post-democristi hanno  ridotto la politica degli ultimi quindici anni in un feroce e gretto pragmatismo, hanno annichilito le idee, la cultura, il parlar per immagini (proprio delle ideologie).
Hanno trasformato il progetto politico e sociale, la tradizione, la lettura storiografica, il pensiero in una portineria condominiale, una rivendita di pezzi di stato e di sovranità.
Noi pensiamo che mai come oggi ci sia bisogno di ideologismo e di un'osservazione della realtà grandangolare. Pensiamo che ci sia bisogno di un'ideologia che diriga l'azione, secondo la definizione di Pareto.
Non certo l'ideologia marxista, quella che il filosofo preveggente Baudrillard aveva già ampiamente liquidato negli anni Settanta definendola «una limitata critica piccolo-borghese, solo un passo in più verso la banalizzazione della vita».
O quelle che glorificano il discrimine etnico, religioso, reddituale o «l'estasi della comunicazione», per citare ancora Baudrillard.
Piuttosto un'ideologia che ci affranchi dalla schiavitù del globale, dal valore d'uso, dalla libera circolazione delle merci e dei capitali, dall'industrialismo, dalla trita ritualità della delega democratica.
L'antimodernismo. Lo zerismo.