Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Azerbaigian: parla agli usa ma negozia con mosca

Azerbaigian: parla agli usa ma negozia con mosca

di Sergio Romano - 21/11/2008

Di recente si sono tenute le elezioni presidenziali nella repubblica caucasica dell'Azerbaigian e sono state vinte dal presidente uscente Illham Aliyev (figlio di Geidar) con quasi il 90% dei voti. L'opposizione ha boicottato le elezioni e i media facevano aperta campagna elettorale per Aliyev. Mi sfugge quindi il motivo per cui l'amministrazione Usa abbia espresso soddisfazione per l'esito delle elezioni. Non è disgustoso legittimare un regime autoritario come quello di Aliyev solo perché strategicamente utile? Come possiamo noi europei fidarci di un'America che promuove democrazia a targhe alterne?
Mario Savina


Ultimamente si ha qualche notizia dalla piccola Armenia. In settembre, per la prima volta, si è aperta la frontiera blindata con la Turchia, in occasione della partita Armenia-Turchia per la qualificazione ai Mondiali di calcio. Ora si apre un concordato a tre, con Azerbaigian e Russia, sulla questione del Nagorno Karabakh. Amo quel Paese, in cui sono stato ai tempi dell'Urss, anche perché appare così isolato, sperduto e malinconico. In quel ginepraio che è il Caucaso, è lo Stato di cui si parla meno, a parte la sua nascita travagliata dopo l'eccidio degli armeni in Turchia ai tempi della Prima guerra mondiale. Potrebbe raccontarmi qualcosa, in particolare dei giorni d'oggi, della situazione del Paese, degli uomini che lo governano e delle prospettive future?
Giovanni Frigerio


Cari Savina e Frigerio,
Le vostre lettere trattano materie diverse, ma concernono entrambe l'Azerbaigian e il suo rapporto con le grandi potenze. L'indifferenza con cui la presidenza Bush ha assistito ai metodi elettorali in vigore nella repubblica azera può sorprendere soltanto chi abbia davvero creduto alle sue preoccupazioni per il futuro democratico della Georgia e delle repubbliche caucasiche. Per ragioni petrolifere e strategiche gli Stati Uniti vogliono estendere al Caucaso la loro zona d'influenza. Hanno bisogno di pupilli e ne hanno trovato uno, anche se troppo imprevedibile e capriccioso, nella persona di Saakashvili. Ma il vero hub petrolifero della regione è Baku, capitale dell'Azerbaigian, produttore di petrolio, capolinea di un oleodotto che attraversa Tbilisi per arrivare, attraverso il Mar Nero, sino al porto di Ceyan, sulla cosa turca del Mediterraneo. È questa la ragione per cui il vicepresidente americano Dick Cheney, agli inizi di settembre, incluse l'Azerbaigian nel suo periplo caucasico e ucraino. Voleva assicurare i due alleati dell'America nella regione (Ucraina e Georgia) che Washington avrebbe continuato a occuparsi del loro futuro, e soprattutto incoraggiare l'Azerbaigian a fare una scelta nettamente pro-americana.
Ma l'accordo sul Nagorno Karabach, raggiunto a Mosca nelle scorse settimane, sembra dimostrare che Illham Aliyev, figlio del generale del Kgb che ha fondato la repubblica azera, non ha alcuna intenzione di schierarsi irrevocabilmente da una parte o dall'altra. Il negoziato sul Nagorno- Karabach ne è una eccellente dimostrazione. Questo territorio montano, abitato da una maggioranza armena, fu assegnato da Stalin all'Azerbaigian per compiacere la Turchia (gli azeri sono un popolo di origine turca) e per ragioni non troppo diverse da quelle che giustificarono l'inclusione di Abkhazia e Ossezia del Sud nella Repubblica sovietica della Georgia. Stalin non voleva che le repubbliche fossero troppo omogenee e preferiva confezionare entità miste in cui Mosca avrebbe potuto esercitare un ruolo arbitrale.
Durante la crisi dell'Urss, agli inizi degli anni Novanta, il Nagorno-Karabach insorse contro Baku, sconfisse le forze dell'Azerbaigian e cacciò la minoranza azera dal territorio.
Fu una brutta guerra di cui gli Stati Uniti e l'Europa, impegnati in Somalia e nei Balcani, quasi non si accorsero. I negoziati per la soluzione della vertenza cominciarono dopo la tregua del 1994 con la partecipazione della Russia, degli Stati Uniti e della Francia. Oggi, dopo quattordici anni di trattative, l'accordo, grazie alla mediazione russa, sembra a portata di mano. Il Nagorno-Karabach continuerebbe a fare parte dell'Azerbaigian, ma godrebbe di larga autonomia e verrebbe ricostruito, in buona misura, a spese di Baku. Si potrebbe sostenere che questa intesa, se confermata dal seguito delle trattative, sia una indiretta conseguenza del conflitto georgiano. Mentre gli Stati Uniti protestavano contro la guerra russa, gli azeri, ammoniti da quanto stava accadendo in Ossezia e in Abkhazia, sono giunti alla conclusione che era meglio trattare con l'Armenia sotto l'egida di Mosca. Hanno accolto cordialmente Cheney, ma hanno dato la sensazione di avere capito che il Caucaso è più vicino a Mosca che a Washington.