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Mafia, camorra, manonera: aziende italo-americane

di Sergio Romano - 22/11/2008

Come mai la mafia si è sviluppata negli Usa, mentre non è presente negli altri Stati di emigrazione siciliana?


Giuseppe Tizza

Caro Tizza,
forse occorrerebbe dire «mafie» e parlare non soltanto di quella siciliana, ma anche della camorra e soprattutto della Mano nera che fu una delle maggiori piaghe americane sin dalla fine dell’Ottocento. La spiegazione del fenomeno è probabilmente quantitativa. Nel grande flusso dell’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti, tra la fine dell’Ottocento e la Grande guerra, i meridionali furono numerosi e i siciliani, in particolare, mantennero, come nel Paese da cui provenivano, un forte carattere insulare. Gli emigrati scelsero le grandi città, vissero negli stessi quartieri, frequentarono gli stessi circoli ricreativi, mandarono i figli nelle stesse scuole e ricostituirono all’interno della società americana gli stessi rapporti di solidarietà e lealtà che facevano parte della loro tradizione. È probabile che agli inizi la mafia, la camorra e la Mano nera abbiano attenuato le difficoltà del primo insediamento. Qualcosa del genere, del resto, accadde anche in altri gruppi nazionali e religiosi, come gli irlandesi e gli ebrei. Il passaggio alla criminalità organizzata fu reso più facile dalle condizioni economiche e sociali del Paese in cui erano andati a cercare lavoro. Dopo avere superato i controlli polizieschi e sanitari di Ellis Island, gli immigrati trovarono una società straordinariamente tumultuosa, dinamica, esposta alla tentazione del denaro, dove era permesso, grosso modo, tutto ciò che non era espressamente proibito e dove era possibile, grazie alla corruzione delle autorità di polizia, ciò che altrove sarebbe stato più difficile. Non è sorprendente che in questo paradiso del rischio e degli affari siano improvvisamente apparsi uomini che potevano riunire intorno a sé un gruppo di conterranei devoti e fidati. Il fattore americano che maggiormente contribuì al fenomeno del crimine organizzato fu probabilmente il proibizionismo. Nel gennaio del 1920, dopo la ratifica del 18esimo emendamento costituzionale da parte di 36 Stati, l’America vietò la vendita e il consumo di alcolici sul proprio territorio. L’effetto pressoché immediato fu la nascita di un mercato nero che diede lavoro a migliaia di distillatori, contrabbandieri, trasportatori, distributori, spacci clandestini e grandi aziende criminali. Grazie a una vigorosa campagna del clero fondamentalista e delle organizzazioni femminili, gli Stati Uniti divennero una paradossale combinazione di puritanesimo intransigente e diffusa illegalità. Il 18esimo emendamento fu revocato nel 1933, ma le bande criminali, ormai organizzate come aziende militarizzate, estesero la loro attività ad altri settori: le case da gioco, la prostituzione, e più tardi la droga. Di fronte a questo fenomeno le autorità americane furono ora rigorosamente vigilanti, ora disposte a chiudere un occhio. Chiusero un occhio ad esempio quando decisero di servirsi di Lucky Luciano per meglio organizzare il loro sbarco in Sicilia nell’estate del 1943 e, a quanto pare, della mafia (ormai presente anche a Cuba) per cercare di eliminare Fidel Castro.