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Obamania ed equivoci

di Alain de Benoist - 01/12/2008

 
 

Alcuni dicono che se il mondo intero avesse potuto votare alle elezioni presidenziali americane, Barack Obama non avrebbe vinto solamente per qualche punto di scarto ma per una maggioranza di almeno l’80%. Ad evidente eccezione dello Stato di Israele, praticamente in ogni paese del mondo, il candidato democratico godeva infatti di un ampio appoggio dell’opinione pubblica. Il fatto non è di per sè sbalorditivo dopo otto anni di regno di George W. Bush che molti osservatori considerano già da ora come il peggiore presidente della storia degli Stati Uniti.

La o le cose si guastano, allorché si cerchi di delucidare le cause profonde di un «obamania» che si è molto presto trasformata in una «isterobamania». Le dichiarazioni fatte l’indomani dalle elezioni del 4 novembre non lasciano alcuno dubbio su questo punto: non è perchè Barack Obama è giovane e simpatico, perchè possiede un indubbio carisma, perchè ha realizzato una migliore campagna rispetto a quella del suo avversario repubblicano, perchè ha avanzato delle idee atte a sedurre un vasto elettorato, che la sua elezione è stata salutata da un concerto di lodi quasi planetarie. Ma in ragione del colore della sua pelle. Gli Europei e gli Africani non hanno considerato che un solo aspetto della sua vittoria: un Nero (in realtà, un meticcio) è entrato per la prima volta alla Casa Bianca.

Questa «razzializzazione» dei commenti, ancora molto più forte fuori dagli Stati Uniti che nell’America stessa, e che ha annullato ogni giudizio politico, lascia pensierosi.
E cio che è notevole (o maggiormente rivelatore) è che questa è stata l’opinione dei razzisti come degli antirazzisti, i primi esasperati da quello stesso pensiero che allietava i secondi: l’arrivo di un Nero a capo della più grande potenza del mondo – ma gli uni e gli altri d’accordo ad attribuire all’appartenenza razziale di Obama un’importanza smisurata.

Alcuni di questi commenti sono stati di per sè stupefacenti. In Francia, mentre il Consiglio rappresentativo delle associazioni nere (CRAN) chiedeva un raduno «per salutare la vittoria di Obama e domandare a Nicolas Sarkozy di non dimenticarsi delle rivendicazioni dei Neri in Francia» si sono potuti vedere i giovani francesi di origine africana scrivere: «Abbiamo finalmente il nostro Presidente», o ancora: «L’esempio che dobbiamo seguire viene dagli Stati Uniti». (Loro ignorano senza dubbio che in Francia fu l’antillese Gaston Monnerville che presiedette il Senato dal 1959 al 1968, posto che faceva di questi la seconda carica dello Stato). In Africa, le voci più numerose si sono alzate per predire che  «Obama salverà il continente africano» o che il nuovo presidente si impegnerà ad innalzare il tenore di vita di tutti i kenioti per il fatto che il padre è nato in Kenya. Altri affermano che Obama è prima di tutto l’eletto dei Neri americani o delle minoranze etniche. E’ ancora un errore. Obama ha avuto d’altronde l’intelligenza di non basare la campagna elettorale sul suo colore della pelle nè di porsi come candidato degli Afro-Americani (categoria alla quale peraltro non appartiene neanche lui), errore che gli sarebbe stato fatale. Certamente, egli ha ricevuto l’appoggio del 95% dei Neri, del 67% degli Ispanici (Latini) e del 62% degli Asiatici.
Un tale fatto non dovrebbe sorprendere, e non si nega qui l’importanza simbolica dell’elezione di un presidente nero in un paese dove fino a mezzo secolo fa ha regnato la segregazione. Ma non bisogna dimenticare che, quando i candidati democratici erano i Bianchi, le minoranze etniche votavano già per la maggior parte democratici.

Obama ha altrove ottenuto il voto del 43% dei Bianchi (contro il 55% di McCain), cifra che non ha nulla di trascurabile. Bisogna sapere che prima di Lyndon Johnson, nel 1964,  nessun democratico ha mai ricevuto i voti della maggioranza degli elettori bianchi. Ora, non solo Obama non ha attirato sul proprio nome meno «voti bianchi» rispetto ai tre precedenti candidati democratici ma ne ha addirittura ottenuto di più. Molto simbolica è a questo riguardo, la vittoria che egli ha ottenuto in Virginia (lo Stato che ospitava la capitale dei Sudisti al tempo della Guerra di Secessione) o ancora in Ohio. Peter Wallsten, nel Los Angeles Time l’ha osservato molto giustamente: «I Bianchi americani hanno giocato un ruolo decisivo per fare entrare un presidente nero alla Casa Bianca ». Obama è infatti arrivato a convincere tutte le categorie sociali del suo paese, ed è stato eletto, innanzitutto per aver saputo raccogliere consensi ben oltre il colore della sua pelle.

Infine, non bisognerebbe dimenticare che Barack Obama non è stato eletto presidente dell’Africa, segretario generale delle Nazioni Unite o Redentore dell’Umanità, ma Presidente degli Stati Uniti, con la sola e unica missione di difendere gli interessi americani. Tenuto conto degli oneri storici e geopolitici, ciò non significa che basterà un Nero a rimettere l’America sul cammino di una convergenza con l’Europa. Il Presidente russo Dmitri Medvedev è apparentemente l’unico ad averlo capito.

Barack Obama ha ereditato una situazione catastrofica che ha favorito la sua vittoria (il vero sconfitto  delle elezioni non è McCain ma George W. Bush) ma che rappresenta attualmente la principale difficoltà alla quale deve far fronte per risanare la situazione. Egli sarà giudicato sulle sue azioni e non sulla sua appartenenza razziale. Per arrivarci egli non dovrà scegliare tra una «politica bianca» o una «politica nera» perchè queste categorie non corrispondono a nulla. Egli dovrà fare delle buone scelte politiche tout court. Sapere se ci riuscirà è un’altra questione.

6 Novembre 2008
(traduzione per opifice.it a cura di Anna Piras)