Ormai sta iniziando a diventare chiaro: sempre più persone hanno capito, o anche solo percepito, che non stiamo seguendo la giusta direzione, e che la Decrescita è il paradigma culturale che ci permette di cambiarla. Perché Decrescita non vuol dire “tornare indietro”, ma semplicemente “cambiare rotta”, in totale contrasto con l’imposizione della crescita (economica) senza limiti, tanto deleteria quanto improbabile. Decrescita Felice non è ripudio per la tecnologia o per l’innovazione. Ci vuole infatti più tecnologia per costruire, ad esempio, una casa “passiva” che non abbia alcun impianto di riscaldamento o che, se non passiva, consumi al massimo 7 litri di gasolio al metro quadro all’anno, come in Germania, di una che ne consuma più di venti, come in Italia. La Decrescita Felice è il desiderio ed ha l’obiettivo di riportare sia l’economia che, appunto, la tecnologia al servizio dell’uomo, e non il contrario. Decrescita (che finalmente il mio computer non segnala più come “errore”), significa mettere in pratica una serie di cambiamenti che in certi casi possono dare l’impressione di fare un passo indietro, ma non ritiene necessariamente che il passato sia stato tutto rose e fiori. È un tentativo di dare un aspetto più umano e meno atomizzato alla situazione attuale, cercando di unire alcuni vecchi usi o abitudini all’attuale apertura mentale e livello culturale (in teoria superiori rispetto a prima), nonché agli attuali progressi scientifici e tecnologici. È il proposito di riportare l’essere umano a lavorare per vivere, non vivere per lavorare; a produrre per usare, non consumare per produrre. È il tentativo di ridare il giusto significato a termini quali “progresso”, “sviluppo”, “benessere” (ormai confuso con “benavere”) e ovviamente “crescita”, non di voler tornare al carro e alla candela, o altri luoghi comuni preconfezionati che le vengono attribuiti. E se in certi casi la Decrescita Felice può in effetti portare a fare un passo indietro, non vuol dire che sia un male, o che sia una scelta così sbagliata. Se vi trovate sull’orlo di un precipizio, ad esempio, preferireste fare un passo avanti o uno indietro?
Decrescita Felice è anche questo. È la consapevolezza del fatto che è arrivato il momento di rallentare, magari anche di fermarsi un attimo a riflettere sul da farsi, guardare il precipizio che ci si prospetta davanti (che sia economico, sociale, ambientale, esistenziale), fare un passo indietro se è necessario, e continuare sulla nostra “nuova” strada, avendo scelto un sentiero diverso per poter andare avanti. È, paradossalmente, uno dei fenomeni più innovativi che ci siano in questo momento, soprattutto se si pensa che mercato, politica ed economia si basano per lo più su concetti, convinzioni e ideologie ormai vecchi di due secoli.
Sempre più persone stanno determinando la “crescita della decrescita”. Un indice molto forte di ciò è il costante aumento di gruppi o individui che, per esempio, si recano ad ascoltare che cosa Maurizio Pallante ha da dire, o che diventano soci o simpatizzanti di MDF, o ancora che decidono di far parte del gruppo dedicato al Movimento per la Decrescita Felice attivo su Facebook (http://www.facebook.com/home.php?#/group.php?gid=49780005273), questo dirompente e controverso fenomeno dalle potenzialità comunicative enormi, nel quale è possibile restare aggiornati sugli sviluppi e gli eventi di MDF (cosa possibile, se non si vuole stare su Facebook, anche iscrivendosi alla newsletter del sito http://www.decrescitafelice.it/, semplicemente spedendo il proprio indirizzo di posta elettronica all’indirizzo segreteria@decrescitafelice.it). In questo gruppo è e sarà possibile scambiarsi opinioni, consigli, esperienze, in modo da poter passare al più presto dalle parole ai fatti. C’è chi ha proposto di farne un progetto “open source”, chi vuole delle risposte all’esigenza di apportare dei cambiamenti alla propria quotidianità, chi è per il momento semplicemente curioso, e chi vorrebbe creare una rete sempre più fitta di persone che vogliano tornare a vivere in un mondo che abbia un senso per l’uomo, visto che in molti, troppi casi, evidentemente non lo ha più.
Un indice, dicevo, del fatto che siamo solo all’inizio di quello che, mi auguro, sarà un lungo percorso da fare tutti insieme dato che, in un modo o nell’altro, siamo tutti sulla stessa barca.
L’importante è non abbandonarsi all’idea che sia in ogni caso una battaglia persa, e che l’unica possibilità che abbiamo è quella di adeguarsi alle regole dettate da un mercato impazzito che, promuovendo (tramite la società di consumi che ha creato) lo spreco e la superficialità, continua a (provare a) distrarci dalle nostre vere esigenze, propinandoci una serie di vuote e false promesse che non stanno creando che problemi e frustrazioni.
Siamo in tanti. Siamo sempre di più. E possiamo fare tanto.