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Zerismo

di Alessio Mannino - 02/12/2008

    

Scusate se la metto sul personale. Ma quella di seguito è solo la mia opinione, scevra da qualunque ambizione filosofica. Maturata in tre anni di impegno per Movimento Zero e di adesione, ogni giorno più forte che mai, al Manifesto dell'Antimodernità di Massimo Fini.
I suoi undici punti contengono un coraggioso tentativo di critica e contro-proposta alla civiltà presente, emersa da due secoli di devastante industrialismo. Un tentativo appena abbozzato, un inizio, ma con in nuce tutte le direttrici essenziali di una demistificazione e ricostruzione dell'uomo europeo.
Dico uomo europeo, perchè, a mio parere, quei punti non sono fatti nè per quello americano, popolo con piccola Storia ma grande danno per l'umanità, nè per nessun altro al mondo. Tutti siamo investiti e corrotti dalla way of life fondata sull'ossessione del denaro, tutti siamo homines oeconomici, ma noi dobbiamo parlare per noi. Non per un cinese, un indiano, un eschimese, un africano. E nemmeno per un talebano.
Questo perchè sono un relativista. Relativista culturale (non morale). Io credo nella sacra differenza, e mi fa orrore l'uguaglianza come mito e capestro della splendida varietà umana. Ma la differenza fra culture significa rispetto di esse, quando poggiate su convinzioni e costumi profondamente sentiti.
E ciò vale anche per gli individui. Il mio ideale - la parola "valore" mi deprime, troppo mercantile - è il Ribelle. Un individuo che non ha una fede, anzi - qui sta la sua peculiarità - "si ribella anche a sè stesso". Ed è tale perchè non potrebbe essere altrimenti. Non ha scelta, è così e basta. Altro che rivoluzionario.
Il "mio" Ribelle si batte spinto da tre bisogni ancestrali: dignità, libertà e giustizia. Ancestrali e che, tuttavia, devono fare i conti con la realtà odierna. Dignità, oggi, è riavere il tempo per sè, per le proprie passioni, per conoscere, per amare - un tempo negatoci dalla macchina economica. Libertà, oggi, è liberare le forme di organizzazione politica ribelli all'appiattimento degli stili di vita. Giustizia, veder riconosciuto un ruolo a ogni persona, il principio di cooperazione al posto della competizione, una bilancia di pesi e contrappesi nella gestione del potere.
Non ci si può illudere di essere antimoderni solo perchè si vuole essere antimoderni. Dirò di più: chi se ne importa, di definirsi antimoderni. Io ho firmato il Manifesto e ne condivido dalla prima all'ultima riga (e non a pezzi, come certuni) perchè è un'ottima sintesi di ciò che non va nell'oggi, e di un qualche possibile correttivo. Non è un programma politico, e Movimento Zero, allo stato attuale, non può essere un movimento politico, benchè personalmente avrei voluto lo fosse.
Il ragionamento di fondo, comunque, è molto semplice. Siamo arrivati a questo punto morto e portatore di morte dopo più di duecento anni di modernità? Allora vuol dire che la modernità ci fa male. Cambiamo strada. Per farlo, rivalutiamo alcuni, mirati aspetti di ciò che c'era prima. Perchè prima, la nostra parte più aderente alla natura, quella che ci permette di vivere più sereni perchè in maggior equilibrio col mondo, era meglio soddisfatta. Non alla perfezione (che non esiste), ma sicuramente meglio.
Si tratta di elementare saggezza. Ma di qui a scambiare l'anti-modernità (critica della modernità) con la pre-modernità (elogio di una Tradizione, che, sono d'accordo con Fini, "nessuno ha mai capito bene cosa sia"), ce ne corre. L'obbiettivo, invece, deve essere andare oltre. L'oltre-modernità.
Si stava meglio quando si stava peggio? Sì. Ma non in tutto. Così come non tutta la modernità è da buttare. E non perchè io sia moderno. L'ho già detto: questa etichetta m'interessa zero. Ma perchè non è umanamente possibile, di due secoli, cancellare tutto. Per attaccare le fondamenta del Moloch industrialista ed economicista va puntato l'indice contro le sue storture, i suoi orrori, le sue infamie. Ma io non credo minimamente a un ritorno a categorie eterne a esso antecedenti. Io cerco, niccianamente, nuove tavole. Nuove in quanto antiche, nel senso di più naturali. Ma usando il passato come maestro di vita, non come legge immutabile, primigenia, misticheggiante. (E francamente non capisco cosa c'entri infilare nella questione il tema dell'ateismo. Il sottoscritto è ateo e guarda con ammirata invidia alla morale pagana di Roma e delle poleis elleniche. Ma resto ateo. Pazienza se ciò è la riprova di essere infettato dal modernismo: non potendo far finta di credere, non posso suicidarmi. Rimettere al centro l'Uomo. Il sacro è in noi e nella natura, va solo riscoperto. Un po' come nella psicanalisi junghiana, di cui mi permetto, sommessamente, di essere un fan).  
Io non voglio una religione, voglio un pensiero che faccia tornare la volontà umana padrona di sè e del mondo, non schiava degli strumenti che essa stessa ha creato. Un pensiero ribelle, perchè adatto a un'Europa che, dalla vittoria dei Greci sui Persiani, ha posto alla sua base l'intelligenza dell'individuo all'interno di una comunità a misura d'uomo (di qui la mia fiducia nella democrazia diretta locale). Un pensiero fondato sulla Ragione, sempre esistita prima di essere prostituita a Razionalità e Tecnica, e non sulla Fede. Un pensiero ispirato a Ideali per cui vale la pena di vivere, ma che non è la Verità. Solo la mia verità. Parafrasando chi sapete, io non sono un Talebano. Non posso esserlo. Sono solo un Ribelle.
La constatazione di un fallimento, la ribellione all'idolo economico, il dovere interiore di idee che non hanno prezzo: questo, io credo, è lo zerismo. Non la salvezza, non un'ideologia. Ce ne sarà bisogno, per andare oltre. Ma siamo ancora nel tempo della ricerca. E ci resteremo per un bel pezzo.