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Questione morale

di Marco Milioni - 17/12/2008

    

La settimana passata la vicenda della guerra tra procure ha dominato la scena sulle pagine dei maggiori media nazionali. Il problema è che nessuno (salvo lodevoli eccezioni) ha spiegato di che cosa si tratta. Tanto per capirci si parla della gestione dei fondi europei per la costruzione dei depuratori in Calabria. Con questo obiettivo l'Ue durante gli ultimi quindici anni ha destinato alla Calabria una cifra enorme: 2-300 milioni di euro.
Il bello dove sta? Dopo l'arrivo dei fondi dei depuratori non c'è traccia, oppure si sono costruite delle opere inutili perché realizzate coi piedi. Di questa stranezza ha iniziato ad occuparsi alcuni anni orsono un magistrato che si chiama Luigi De Magistris. Scavando nella miniera di carte depositate presso gli enti locali De Magistris ha scoperto una rete di illegalità molto particolare.
Di solito si è abituati a mettere le elite finanziarie in cima alla piramide dei maneggi per scendere poi ai politici, alla grande industria, alla criminalità, passando per funzionari infedeli fino ad arrivare ai pesci più piccoli. Stavolta le cose sembrano andate diversamente perché il malaffare ha avuto una forma molto più orizzontale e "democratica". Attorno allo stesso banchetto si sono riuniti uomini dell'entourage del vecchio governo Prodi e dell'attuale. I vertici della politica calabrese da destra a sinistra, personaggi vicini a Massimo D'Alema (Pd) e Beppe Pisanu (Fi), Francesco Rutelli (Pd), An, Udeur, Comunione e Liberazione assieme alla Compagnia delle Opere, alti prelati e vescovi, generali della Guardia di finanza, uomini vicini alle cosche della 'ndrangheta, imprese colluse e molti altri. Insomma tutti insieme appassionatamente a "magnà". Ma De Magistris avrebbe pure scoperto che questo comitato d'affari era tutelato anche da magistrati calabresi e lucani di alto rango (questi ultimi in quanto controllori dei primi). Magistrati i cui nomi sono avvinghiati a quelli della cupola.
Ne è nato un ginepraio di tre inchieste: Why Not, Poseidon e Toghe Lucane. Nel portare avanti le indagini De Magistris avrebbe commesso alcuni gravi errori procedurali, tanto gravi da costargli il trasferimento da Catanzaro a Napoli (argomento ancora da approfondire). Lasciando la sua sede però De Magistris, ricorrendo agli strumenti previsti dalla legge, ha redatto una serie di esposti nei confronti dei magistrati di Catanzaro accusandoli di avere complottato contro di lui in modo da sterilizzare tre inchieste potenzialmente devastanti per l'establishment calabrese e nazionale.
Sulla base dei riscontri da lui forniti,la Procura della Repubblica di Salerno, competente per reati eventualmente compiuti da magistrati catanzaresi (lo stabilisce la norma), ha chiesto gli atti alla procura generale di Catanzaro che li aveva avocati al momento del siluramento di De Magistris. Per mesi i magistrati catanzaresi hanno fatto orecchie da mercante. Dopodiché i colleghi salernitani hanno disposto il sequestro degli atti semplicemente per farne copia, contestualmente hanno rivolto una serie di accuse circostanziate ai colleghi calabresi. Questi ultimi, contravvenendo alla legge, hanno posto in essere una sorta di contro-sequestro nei confronti di Salerno, quando il codice di procedura penale stabilisce che eventuali accuse nei confronti della procura salernitana vanno in carico alla magistratura di Napoli. La legge, su questo punto, è chiara. Questi giri di competenze sono stabiliti in modo che non possa sussistere la circostanza in cui un magistrato indagato da un collega possa a sua volta re-indagarlo. Non c'è nessuno "scontro di procure", quindi, ma solo un comportamento contra legem della procura generale di Catanzaro. Stop. Per coprire qualcosa di inenarrabile? Forse.
Si deve considerare inoltre che il tutto è arrivato mentre l'Espresso pubblicava una puntigliosa inchiesta sulle miserie giudiziarie che in mezza Italia affliggono il centrosinistra. Nulla di nuovo, ma la contabilità degli avvisi di garanzia messi in buon ordine ha fatto il suo effetto. Il coup de théâtre  è stato di Silvio Berlusconi (che sinistramente è da ammirare per il modo con cui raggira gli italiani) il quale unendo le due vicende è riuscito a dire che nel Pd c'è una questione morale e inoltre la magistratura va riformata. Sulla prima asserzione siamo d'accordo, ma il premier non ha diritto di parola visti i suoi trascorsi. Idem per la seconda: una doppia scusa per distogliere l'attenzione dei cittadini dai problemi reali. Ovvero, in primis, una situazione economica che fa paura. La cosiddetta superiorità morale di chi proviene da sinistra si è dimostrata il solito vecchio bluff. L'unica differenza tra i berluscones e l'altra metà del cielo (o della fogna) è solo la protervia: Silvio ne ha di più.
Tant'è che in tale putridume, con un sistema politico-mediatico prono ai voleri del Presidente del Consiglio, l'appello di Massimo Fini e Marco Travaglio pubblicato in questi giorni su questo blog è più che condivisibile. Se i vertici delle istituzioni non rispettano le leggi, perché io semplice cittadino debbo essere obbligato a rispettarle?