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Iraq, Il Consiglio di Sicurezza (e gli Stati Uniti) salvano i beni iracheni

di Ornella Sangiovanni - 24/12/2008




I beni iracheni – proventi petroliferi ma non solo – sono salvi, almeno per un altro anno. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ieri ha approvato all'unanimità una risoluzione che, oltre a sancire formalmente il termine del mandato della cosiddetta "Forza multinazionale", proroga fino al 31 dicembre 2009 il meccanismo che mette al riparo conti esteri, esportazioni petrolifere, e beni immobili dalle azioni legali.

Risultato di una intensa azione di lobbying da parte del ministro degli Esteri di Baghdad, Hoshyar Zebari, con il sostegno determinante degli Stati Uniti, la
risoluzione 1859 (2008) impedirà che singoli, società, e governi possano rivalersi sui beni iracheni come risarcimento per danni subiti da parte del regime di Saddam Hussein.

Si tratta di un provvedimento vitale, in particolare per quanto riguarda i proventi petroliferi: circa 20 miliardi di dollari conservati nel Development Fund for Iraq (DFI): uno dei due conti che il governo di Baghdad ha presso la Federal Reserve Bank di New York (l'altro contiene le riserve della Banca Centrale irachena, per oltre 40 miliardi di dollari).

Soldi di cui l'Iraq ha disperatamente bisogno. In una
lettera del 7 dicembre indirizzata al Consiglio di Sicurezza, il premier Nuri al Maliki sottolinea che i proventi petroliferi rappresentano oltre il 95% delle entrate statali, e sono essenziali per rimettere in piedi l'economia irachena. A maggior ragione ora che i prezzi del greggio sono crollati, costringendo il governo di Baghdad a rivedere il budget per il 2009.

Con lo scadere – a fine anno - della risoluzione che autorizzava la presenza della "Forza multinazionale", e che per volere del governo iracheno non verrà rinnovata, sostituita da un accordo bilaterale fra Washington e Baghdad che consentirà alle truppe statunitensi di restare in Iraq fino a fine 2011, il meccanismo che finora aveva assicurato che nessuno potesse rivalersi sui beni iracheni sarebbe scaduto anch'esso. Lasciando tali beni privi di protezione – esposti a rivendicazioni che, a detta del ministro Zebari, ammonterebbero quasi a un trilione di dollari.

Una eventualità che aveva spinto il governo Maliki a muoversi, e in particolare a fare pressioni su Washington, perché si trovasse un modo per risolvere il problema. Che in questo momento significa rinviarlo.

E così, prima c'è stata la visita in Iraq di Zalmay Khalilzad, l'ambasciatore Usa presso le Nazioni Unite, che è stato anche ambasciatore a Baghdad. In seguito, forte dell'appoggio di Washington, Zebari è volato a New York alla testa di una delegazione irachena. E qui, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno messo a punto il testo che ieri ha avuto l'Ok unanime di tutti e 15 i membri del Consiglio di Sicurezza.

Oltre a prorogare di un anno il meccanismo che protegge i beni di Baghdad da eventuali azioni legali, la risoluzione approvata definisce formalmente conclusa la missione della cosiddetta "Forza multinazionale". Essa inoltre, mantiene il Development Fund for Iraq (DFI), il conto nel quale confluiscono i proventi delle vendite del petrolio iracheno, che continua a essere soggetto alla supervisione dell'International Advisory and Monitoring Board (IAMB): l'organismo di controllo internazionale creato nel maggio 2003, del quale fanno parte, oltre alle Nazioni Unite, rappresentanti del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale.

Nell'esprimere soddisfazione per lo scampato pericolo, il ministro Zebari ha fatto tuttavia sapere che Baghdad, prima o poi, ha intenzione di affrontare il nodo dei risarcimenti dovuti a chi ha subito danni da parte del passato regime – singoli o entità.

E che tutte le rivendicazioni "legittime" verranno soddisfatte.

Ora, però, non è proprio il momento.

Fonti: Associated Press, Agence France Presse, United Nations News Centre