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Riflessioni sparse dopo una lezione di aggiornamento sulla riforma scolastica

di Michele Gardini - 20/02/2006

Fonte: Michele Gardini

[Rilanciamo questo testo pervenutoci del Professor Michele Gardini. Pur aderendo all'incipit criticamente, con un illuminismo di metodo, nietzscheano, più che razionale e fondativo, come per l'autore, ci sembra importante far cogliere tramite una testimonianza interna, cosa sta accadendo nelle scuole italiane grazie alla subcultura liberal-pragmatica di destra e sinistra, con ripercussioni ben più generali del limitato contesto dell'istruzione. ndr]

 

Il crepuscolo della ragione

ovvero

Riflessioni sparse dopo una lezione di aggiornamento sulla riforma scolastica

 

«[Le persone libere] hanno a disposizione […] il tempo libero, e nel tempo libero, in pace, costruiscono i loro discorsi. Come noi, ora, […] stiamo passando da un discorso all’altro, così fanno anche loro, se l’argomento che sopravviene, co­me è accaduto anche a noi, piace più di quello di cui stanno discutendo: e non ha importanza se si tratti di un discorso lun­go o breve, purché essi riescano a cogliere ciò che in realtà è. – Gli altri, invece, parlano sempre in fretta – incalza, in­fatti, l’acqua che scorre giù nella clessidra – e non è concesso loro il tempo di discutere degli argomenti che desiderano»

(Platone, Teet., 172 d 3).

 

«… articolare la competenza generale in competenze più specifiche e circoscritte (per esempio, la comprensione e la produzione orale e scritta di diversi testi di diversa tipologia). Il livello della competenza (per esempio, nella comprensione della lettura) dovrebbe comprendere le conoscenze e abilità di un lettore alla fine di ciascuna UdA e conseguentemente in un’ottica strategica alla fine di un PSP e infine del ciclo»

(G. Gambula, Concorso a dirigente scolastico. Modelli e strumenti per il progetto, Mursia, p. 220)

 

 

È un’inestimabile fortuna che la riforma Moratti ricalchi, nel suo nucleo essenziale, la vecchia riforma Berlinguer, definita dallo stesso Ministro in carica “la migliore riforma possibile”, perché in questo modo il nostro discorso eviterà da subito ogni sospetto di sciovinismo ideologico. A chi scrive sembra evidente che, in scholasticis, la vera opposizione non riguarda destra e sinistra, ma ciò che vorrei chiamare per brevità una ragione illuministica da una parte, e la pedagogia ufficiale dall’altra. Naturalmente so bene che l’Illuminismo, al suo nascere, voleva essere innanzitutto una pedagogia sociale, ma affermo che, allo stato attuale delle cose, i due termini sono tanto compatibili quanto il diavolo e l’acqua santa. Mi metto dunque in prima fila tra coloro che, in nome della ragione, ritengono l’attuale proposta pedagogica un autentico scandalo culturale e civile, precisando però di non voler costruire nessun argomento ad hominem; non m’interessano i relatori della suddetta proposta, m’interessa ciò che relazionano. E anche a questo proposito sono ben consapevole che la prima obiezione, la più immediata, sarà: considerazioni simili si basano su un difetto di conoscenza dei testi legislativi e scientifici, prima bisogna informarsi bene, ecc. ecc. Si tratta infatti della forma di autodifesa più prevedibile di ogni discorso ideologico, che anzi proprio in questo modo svela la sua autentica natura.

In ciò che segue vorrei commentare brevemente alcune parole da me udite, e chiedo scusa se qua e là la memoria introdurrà qualche approssimazione:

a) Imparare che la scuola ha a che fare con “persone” è, al 16 febbraio 2006, tanto significativo quanto scoprire l’acqua calda. D’altronde, come tutti i termini altisonanti, anche “persona” è un concetto completamente vuoto, visto che la storia della civiltà conta non meno di cinquanta antropologie diverse. Già più interessante è la frase: «il baricentro della scuola si sposta dalla persona dell’insegnante alla persona dell’utente». Intendo ciò come un gentile invito agli insegnanti a “de-personalizzarsi” a vantaggio della cli­entela. Che non si tratti di una lettura maliziosa lo mostrano i punti seguenti.

b) Esisteva una volta il principio di “libertà di insegnamento”. Impariamo invece che, d’ora in poi, le programmazioni (da non chiamarsi più così per nessuna ragione! v. oltre) vanno immolate a un idolo neo-pagano chiamato PECUP. Il suo più immediato ministro sarà la figura del tutor. Apprendiamo altresì che nella nuova scuola «tutti saranno tutor», in una specie di secolarizzazione scolastica del sacerdozio universale evangelico. Ci sarà però un tutor più tutor degli altri, ma su questo la situazione pare ancora nebulosa.

c) La suddetta divinità barbarica esige fra l’altro il passaggio iniziatico dal “sapere” al “saper fare”, una novità così sconvolgente che Dewey la teorizzava già più di un secolo fa. Ma attenzione all’inganno: tutta la cultura è come tale un saper fare, è vero che noi impariamo gesti e comportamenti prima che pensieri, e secondo Goethe «In Principio era l’Azione»; questo non significa però che sia esigibile un automatismo da un piano all’altro! Un’idea può fruttare un atteggiamento e cambiare una vita anche a distanza di anni, «pensieri che avanzano con passi di colomba guidano il mondo» (Nietzsche). Pretendere la spendibilità im­mediata delle idee significa importare nella scuola la più volgare mentalità del mondo dei consumi.

c1) Secondo questo criterio, presumo, l’unità d’apprendimento su San Tommaso produrrà un boom di vocazioni, quella su Marx una reviviscenza della lotta di classe; e sarà divertente constatare gli effetti dell’unità dedicata al Marchese De Sade.

d) Il PECUP sposa non a caso la teoria cognitivista delle intelligenze multiple (Gardner), cioè policentriche. Ora:

d1) il cognitivismo è la psicologia del conformismo dell’età tardo-capitalistica. Gardner sostiene esplicitamente che la mente umana può essere simulata da un elaboratore elettronico;

d2) nessuna seria antropologia può sposare una tesi come quella di Gardner. È vero che le intelligenze sono multiple, ma è anche vero che l’esperienza funziona in modo sinestesico: la motilità visivo-manuale s’innesta su quella fono-uditiva, e questa a sua volta produce quella linguistica e concettuale. Questo è il modello della salute mentale e personale. Gardner invece dissocia la persona (!) in una serie di «inclinazioni», ciò che va bene – si capisce! – in una organizzazione tayloristica del lavoro, non a scuola;

d3) e invece impariamo che «gli utenti vanno divisi in gruppi a seconda del tipo di intelligenza». Già, perché dimenticavamo di dire che il lavoro sarà d’ora in poi eminentemente di gruppo: «un bravo insegnante in un quarto d’ora (sic) dice tutto quello che c’è da dire, dopodiché fa lavorare i gruppi». Raramente mi era capitato di udire un tale, abissale, disprezzo per il pensiero. Personalmente dovrei dunque presumere di spiegare Hegel in un quarto d’ora; quindi il gruppo “visivo” preparerà un bellissimo cartellone con la nottola di Minerva che svolazza dalla tesi all’antitesi, il gruppo “tattile” supplirà con il pongo, mentre il gruppo “uditivo” potrà mettere in musica l’incedere marziale delle “triadi” hegeliane.

e) Quella stessa pedagogia che aveva già prodotto l’obbrobrio delle “mappe concettuali”, inventa ora la (post-)pro-gettazione, che supera anche la frontiera delle unità didattiche. Le nuove «unità d’appren­di­men­to», mentre si spacciano per “flessibili”, spezzano ulteriormente la fluidità essenziale a ogni rap­porto umano, dialogico e personale (!), quella relazione di amore tra insegnante e discente che tutti noi ab­biamo appreso dal Socrate platonico. Tutto invece, nelle nuove concezioni pedagogiche, è irreggimentato, le unità vanno volta a volta messe nero su bianco e «esposte in bacheca», così che anche le famiglie possano utilmente prenderne atto e interagire. Nel caso recalcitrassero, verranno attivati opportuni corsi di «educazione alla genitorialità (sic)», che insegneranno una buona volta ai genitori il loro mestiere.

f) Il livello della psicologia che fa da supporto a codeste teorie pedagogiche lo si desume anche, oltre che dall’impagabile «educazione alla genitorialità», dall’«educazione al­l’a­­li­­mentazione», che dovrebbe fra l’altro «prevenire le anoressie». Ora, se si sposa ancora la crassa concezione dell’ano­res­sia come disturbo alimentare, che si può contrastare consigliando eventualmente di privilegiare la ver­dura e saltare la carne al venerdì, è prevedibile che la suddetta “educazione” avrà un incidenza paragonabile a quella che l’adagio “vivi al tuo paese e campa onestamente” ha sull’emarginazione sociale di un clandestino. L’«educazione all’affettività», invenzione anch’essa impagabile dei nostri tempi, presuppone invece che prima di provare un affetto sia prudente apprendere da un esperto co­me si fa. Solo con tenerezza possiamo immaginare i vetusti Bauci e Filemone assistere alla proiezione di lucidi sugli “affetti”. Questo progetto pedagogico è un progetto totalitario, che vuole disciplinare anche le passioni umane e irreggimentarle nella meccanica sociale. Ignorare che gli affetti si possono educare solo indirettamente, attraverso la cultura, è una forma di ignoranza psicologica abissale.

g) La qualità culturale, spirituale e morale di un cambiamento può misurarsi, fra l’altro, dal correlativo mutamento che produce sul piano del linguaggio. A tal proposito, va dato atto alla pedagogia di essere una fucina d’invenzioni da fare invidia a Nabokov. Nel nostro caso, il consiglio di classe diventerà “equipe pedagogica”, designazione che – già da sola – dovrebbe far ammutinare l’intero cor­po docente, se non altro per un residuo di amor proprio. I LEP, se non ho frainteso, dovrebbero essere qualcosa di simile ai risultati finali; i vecchi corsi di recupero diventano invece i LARS. Il dirigente scolastico, d’altra parte, dovrà ribadire la «mission» della scuola (Gambula). Del PECUP e della “ge­nitorialità” abbiamo già detto.

Concludo riaffermando che il quadro presentatoci è scandaloso sotto ogni punto di vista: non una parola sulle risorse, non un accenno alla situazione materiale di classi con 30 studenti (pardon, «utenti»!), l’ipocrisia ideologica di parlare di “persona” e procedere poi tranquillamente alla sua vivisezione, fondamenti psicologici talmente plebei che avrebbero disgustato persino Kraepelin, coartazione della libera didattica, mortificazione della cultura del docente, un lessico che non sapremmo se ascrivere a un metodo folle o – più verosimilmente – a una follia metodica. In un momento di notevole insight, al relatore è sfuggito che «l’utente privilegiato nella scuola è l’han­di­cappato, visto che ha un PEI tutto per sé». Ne deduco che saranno “privilegiati” anche gli altri uten­ti quando finalmente la scuola riuscirà a trattare tutti come handicappati.