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Facoltà di uccidere

di Naoki Tomasini - 20/02/2006

Fonte: peacereporter.net

 

Oltre 250 insegnanti uccisi dal 2003, un attentato alla cultura che peserà per decenni
Abdul Razak al Naas si opponeva alla presenza militare statunitense nel suo Paese. Non era un resistente, ma un mite docente universitario e un famoso analista politico. E' stato ucciso lo scorso 27 gennaio. Il suo assassinio, rimasto senza colpevoli, ha provocato un’ondata di risentimento che ha superato i confini nazionali. Dall'inizio della guerra, i docenti uccisi in Iraq, sono stati più di 250.
 
Il funerale di Abdul Razak al Naas
Docenti uccisi. Dalla Scandinavia, l'intellettuale iracheno in esilio, Abbas Nagim, ha dichiarato che “l’uccisione in massa degli scienziati e degli intellettuali iracheni ha un fine preciso, quello di svuotare la terra di Babilonia, dalle sue civiltà antiche ottomila anni”. L’idea che dietro questo fenomeno vi sia un preciso disegno si sta imponendo fra gli iracheni, anche per via delle strane modalità di questi omicidi. La maggior parte degli uccisi non erano scienziati, ma umanisti: docenti di storia, geografia e letteratura. Le uccisioni non sembrano spinte dall'appartenenza religiosa, sono avvenute in tutte le province del Paese e nessuno è mai stato arrestato per quelle azioni, che non sono nemmeno state rivendicate. Recentemente, un esponente dell’Iraqi Accord Front ha dichiarato che “In quanto forza occupante, secondo le norme internazionali, le forze Usa e il governo dovrebbero prendersi la responsabilità di proteggere sia i politici che gli accademici”. Un docente iracheno scriveva al Tribunale di BRussel's: “tutti sanno che tra gli assassini degli insegnanti iracheni ci sono le milizie del Badr e l’armata del Mahdi, gruppi armati assorbiti nella Guardia Nazionale del ministero dell’Interno, cosa che dà loro la licenza di uccidere. Eliminare i docenti renderà più semplice per gli illetterati fanatici religiosi governare un popolo senza cultura e timoroso per la propria incolumità”.
 
 Un sistema in pericolo. Nel 2004 il reporter Robert Fisk descrisse quella che chiamava “Guerra all’istruzione”: “il personale delle università - raccontava nella sua inchiesta - sospetta che sia in atto una campagna per privare l’Iraq dei suoi accademici, per la distruzione dell’identità culturale irachena”. Il sistema educativo iracheno fino agli anni ’80 era uno dei migliori della regione, ma da allora il suo livello è crollato drammaticamente. Le cifre dell’Unicef, raccolte nel maggio 2004, suggerivano che solo il 55 percento degli uomini e il 25 percento delle donne in Iraq fossero in grado di leggere. Oggi una delle ragioni più evidenti per la scarsa educazione è la violenza, che incombe su ogni quartiere e villaggio, al punto che le famiglie preferiscono tenere i figli a casa. Ma anche il clima di intolleranza religiosa sta scoraggiando la popolazione: le politiche tentate dal ministero dell’educazione per promuovere tolleranza e libertà di pensiero negli atenei sono fallite, anche a causa delle pressioni dei politici conservatori. I testi scolastici sono stati modificati per estirpare la propaganda baathista, ma in compenso, i vecchi programmi sono stati rimpiazzati dagli insegnamenti religiosi basilari. Anche diversi funzionari pubblici hanno subito la violenza contro gli atenei: come il ministro dell'Istruzione, sfuggito l’8 febbraio a un attentato contro suo convoglio. Il ministro, lo sciita, Sami al Mudafar, era stato attaccato anche in passato, quando era ministro del governo Allawi. Al Mudafar, docente all’università di Baghdad sotto Saddam e diventato rettore dopo l’invasione del Paese, era minacciato dalla guerriglia per aver diverse volte protestato contro la crescente influenza islamica negli atenei. “Le università - dichiarava al quotidiano iracheno al Ittihad - dovrebbero diventare delle zone franche dalla politica. I docenti non possono essere minacciati, rapiti o uccisi. Occorre tenere la politica fuori dalle aule e concentrarsi sulla formazione.”
 
Strutture educative e ricostruzione. Le violenze sugli accademici e le loro fughe all’estero fanno sì che gli insegnanti che restano siano sempre meno qualificati, ma l’altro grave problema per gli studenti iracheni è la distruzione delle infrastrutture: mancano laboratori, librerie, palestre. La gran parte delle 15 mila scuole irachene è stata saccheggiata o distrutta dopo la caduta di Saddam, e ancora oggi si trova in condizioni precarie: ”Solo il 40 percento degli istituti– si legge in un report delle Nazioni Unite – è in fase di ricostruzione. L’impatto di queste difficoltà sul mondo accademico potrebbe sentirsi ancora per decenni”. A fine gennaio è stato promesso il restauro di mille scuole elementari, che al momento sono al limite dell’agibilità: almeno questa per oltre centomila bambini iracheni, è una buona notizia.