di Chris McGreal
La guerra di Israele è guidata dalla paura
di Chris McGreal - 14/01/2009
Fonte: terrasantalibera
Durante il drammatico conflitto in corso a Gaza, l’opinione pubblica israeliana è sembrata compattarsi su posizioni intransigenti, che tendono ad attribuire la colpa della guerra esclusivamente ai palestinesi. Un misto di insicurezza, vulnerabilità, ed allo stesso tempo di indifferenza nei confronti del nemico, invariabilmente etichettato come “terrorista”, sembra dominare la gran parte degli israeliani. L’opinione pubblica israeliana è essenzialmente modellata dalla paura – conclude il giornalista inglese Chris McGreal
Yeela Raanan dice che preferirebbe non sapere nulla della guerra di Gaza. Non vuole vedere le immagini dei bambini morti abbattuti dalle bombe israeliane, né leggere a proposito delle accuse rivolte all’esercito del suo paese, secondo le quali quest’ultimo avrebbe compiuto crimini di guerra, mentre continua ad uccidere i palestinesi a centinaia.
Ma non c’è modo di sfuggire. La signora Raanan può sentire l’inesorabile bombardamento israeliano dal cielo, dal mare, e da terra, stando a casa sua, ad appena tre miglia dal confine con Gaza. I razzi di Hamas continuano a colpire la sua comunità. E da qualche parte nel vortice di Gaza, suo figlio ventenne sta servendo come soldato nell’esercito israeliano.
“Preferirei non sapere. Non posso farci niente. Non abbiamo visto le immagini dei bambini palestinesi che sono stati uccisi. E’ più facile non sentire”, dice. “Accendo le notizie per cinque minuti al giorno, e questo è tutto. Solo per vedere se qualcuno dice qualcosa a proposito del mio ragazzo”.
Ma quando la signora Raanan pensa a suo figlio – di cui preferisce non rivelare il nome – pensa anche alle madri palestinesi ed ai loro figli a Gaza. Ed è qui che si trova in disaccordo con i suoi vicini. “Non ne parlo più con i vicini”, dice. “Hamas è violento. Hamas è stupido. Non mi piace come sono. Ma non mi sento arrabbiata nei loro confronti. Capisco perché sono stati eletti, capisco perché agiscono in questo modo”.
Nel suo tentativo di capire, la signora Raanan, un ex ufficiale operativo nell’aeronautica militare israeliana, si è guadagnata l’accusa di essere una traditrice, e di “vendere al diavolo il suo paese”. Non ama suo figlio? – le chiedono.
Il mondo ha vacillato dall’orrore di fronte alle rivelazioni delle atrocità israeliane, mentre il bilancio dei morti palestinesi sfiora ormai le 800 persone. La Croce Rossa Internazionale si è talmente indignata che ha rotto il suo abituale silenzio di fronte a un attacco in cui l’esercito israeliano ha ammassato una famiglia palestinese in un edificio e poi lo ha bombardato, uccidendo 30 persone e lasciando i bambini sopravvissuti avvinghiati ai corpi delle loro madri uccise. L’esercito ha impedito ai soccorritori di raggiungere i sopravvissuti per quattro giorni.
Il bombardamento israeliano di una scuola dell’ONU trasformata in un centro profughi vicino a Gaza city, che ha ucciso 42 persone che erano sfuggite ai combattimenti, ha suscitato ulteriori accuse di indifferenza nei confronti della vita dei civili. E Israele si è sforzato di giustificare l’eliminazione di intere famiglie, inclusi molti bambini piccoli, nella sua caccia ai responsabili di Hamas.
Ma agli israeliani comuni è stato detto ben poco di tutto questo, e quando ciò accade, essi generalmente liquidano le notizie affermando che è triste, ma Hamas ha portato tutto ciò al popolo palestinese. Israele è la vera vittima, dicono. I giornali israeliani più diffusi si sono attenuti strettamente alla linea ufficiale secondo cui questa è una guerra difensiva, una guerra giusta a cui Israele è stato obbligato dal lancio di razzi da parte di Hamas.
L’ammontare delle perdite civili palestinesi viene minimizzato. I morti sono prevalentemente descritti come terroristi. Le storie di intere famiglie palestinesi annientate vengono sepolte sotto le storie dei traumi israeliani dovuti agli attacchi di Hamas.
“Le notizie hanno detto che l’esercito israeliano ha ucciso 100 ‘terroristi’, e anche che è caduta una bomba, e che 40 persone hanno perso la vita”, dice la signora Raanan riguardo al bombardamento della scuola dell’ONU. “Questa è stata più o meno la retorica che è stata utilizzata; l’attenzione è stata concentrata sul fatto che siamo riusciti ad uccidere dei terroristi, piuttosto che sul fatto che sono state uccise altre 40 persone. Non ci hanno detto chi erano”. Ci sono delle voci alternative sulla stampa, ma sono in gran parte rifiutate o messe a tacere. Gli arabi israeliani che hanno protestato contro la guerra sono stati arrestati per aver compromesso il morale della nazione. I conduttori televisivi biasimano coloro che criticano l’attacco a Gaza mettendo in dubbio il loro patriottismo.
Il paradosso di Israele è che la maggior parte dei suoi cittadini afferma nei sondaggi di essere d’accordo con la signora Raanan e con la lobby che sostiene la pace riguardo al fatto che dovrebbe esserci un accordo negoziato per la creazione di uno stato palestinese. Ma un numero significativo di israeliani ora si chiede se questo sia possibile. Essi considerano il conflitto prolungatosi dopo che Ariel Sharon aveva ritirato l’esercito, e fatto uscire i coloni ebrei da Gaza nel 2005, come la prova del fatto che gli arabi non vogliono la pace; del fatto che cedere territorio non porta sicurezza.
Il sostegno al vago concetto della pace è stato ulteriormente sepolto sotto la retorica delle imminenti elezioni israeliane, dove la destra in particolare, guidata dall’ex primo ministro Benjamin Netanyahu, sta giocando sulla paura di un Iran nucleare alleato con Hamas. Netanyahu, che probabilmente vincerà le elezioni del 10 febbraio, non ha alcuna intenzione di smantellare gli insediamenti o di rinunciare al controllo che Israele esercita sulle vite dei palestinesi in Cisgiordania. Egli si sottrae alla questione di uno stato palestinese, ed aveva chiarito in passato che ciò che vuole vedere equivale a dei cantoni o “bantustan” circondati dal controllo israeliano.
Così la gran parte degli israeliani comuni, mentre dice di appoggiare la pace, ancora una volta si trova fianco a fianco con i coloni, e dalla parte dell’oppressione. “Odio dirvi che ve l’avevamo detto”, dice Yisrael Medad, un importante colono ebreo di Shilo, insediamento situato in profondità nel territorio della Cisgiordania. “Ora si sente dire ovunque che è stato un errore uscire da Gaza. Lo si sente in televisione, mentre non se n’era mai parlato prima. Molti conduttori televisivi sono desiderosi di porre questa domanda. Non lo avrebbero mai chiesto uno o due anni fa. Erano soliti dire che il nostro era un modo di vedere estremo. Ora potrei dire che è il più diffuso, che non importa quanto abbiamo fatto a livello territoriale: comunque non li soddisfarà [i palestinesi]. Continueranno sempre ad attaccarci”.
I coloni potranno essere una minoranza estremista, ma la loro opinione riguardo al motivo per cui i soldati israeliani stanno combattendo a Gaza non è un’eccezione. La signora Raanan vive a Ein Habsor, un moshav (ovvero una comunità agricola cooperativa) di circa 1.000 persone. Essa viene regolarmente colpita dai razzi di Hamas. “Negli ultimi giorni ne abbiamo avuti due al giorno. Nelle vicinanze. Un paio all’interno. Così vicini che poteva essere la tua casa”, dice. Nessuno è stato ferito, ma uno studente del vicino college dove la signora Raanan insegna fu ucciso da un razzo di Hamas a febbraio. Roni Yechiah, un padre di quattro figli, è morto dopo che un missile aveva colpito il parcheggio.
Circa un quarto delle famiglie di Ein Habsor se n’è andato. “Non lo hanno fatto tanto per i razzi. E’ stato a causa della guerra e del fatto che erano veramente spaventate. Hanno chiuso le scuole. Quelli con bambini piccoli se ne sono andati quasi tutti”, dice la signora Raanan. Non è un’atmosfera in cui chiedersi se le truppe israeliane debbano essere a Gaza. Molti dei residenti di Ein Habsor vedono l’attacco come una semplice e necessaria risposta ai razzi di Hamas, non complicata da questioni come l’occupazione o il blocco israeliano di Gaza.
Ma la signora Raanan si interroga. Vuole vedere un governo disposto a negoziare seriamente con i palestinesi, ed è dell’idea che il fatto che Israele sia sufficientemente forte da farla finita con i palestinesi non significa che ciò sia nel suo interesse. La signora Raanan vuole che anche altri israeliani comprendano quello che i palestinesi stanno soffrendo. “Il mio moshav è completamente di destra”, dice. “Credono nell’uso della forza e non amano particolarmente gli arabi. Non parlo molto di queste cose con i miei vicini”.
“Se apri il tuo cuore al fatto che 40 persone del tutto innocenti sono state uccise in una scuola delle Nazioni Unite, ti trovi veramente in difficoltà. E’ difficile aprirti ad una cosa del genere ed allo stesso tempo continuare a volere che i soldati abbiano successo nella loro missione. E’ una dura scissione della personalità. Credo che sia necessario, ma che sia una cosa difficile da fare”. La signora Raanan dice che gli israeliani hanno disumanizzato i palestinesi a tal punto che non sono più sensibili alle persone che uccidono. “E’ molto difficile per loro mettersi nei panni di qualcuno che vive a Gaza. Credo che tu debba essere in grado di disumanizzare per poter accettare questo tipo di guerra”, dice.
“Gli israeliani pensano a Hamas come ad un gruppo terrorista, e perciò qualunque cosa facciamo a Hamas è OK. Ma la domanda è, perché pensiamo che sia OK anche uccidere civili mentre uccidiamo o distruggiamo Hamas? E allora razionalizziamo: sono loro che fanno questo al loro stesso popolo. Questa è la retorica in Israele. E’ OK fare quello che stiamo facendo. In Israele veniamo educati ad aver paura degli arabi. Per odiarli il passo è breve. E’ inconsueto per le persone non avere sentimenti ostili nei confronti degli arabi, e si tratta di sentimenti razzisti perché riguardano un intero gruppo”.
A Shilo, Yisrael Medad si trova d’accordo con la signora Raanan su una cosa. Vede che l’opinione pubblica israeliana è sempre più indifferente nei confronti delle sofferenze dei palestinesi. Ma dice che questo è dovuto alle critiche straniere nei confronti delle azioni di Israele. “Con l’asprezza delle critiche, stanno lentamente ma stabilmente privando sempre più israeliani degli elementi di umanità e di considerazione, così alla fine loro dicono: chi diavolo se ne importa?”, dice. “Non vediamo il volto umano. In questa situazione possiamo fare tutto quello che vogliamo. C’è un’assenza di identità su chi sia il nemico. Non è più umano”.
Un soldato, che non ha voluto identificarsi essendo in uniforme, ha detto che i palestinesi se la sono cercata. “Hanno votato per Hamas e Hamas ha attaccato Israele, dunque è un loro problema”, dice. “Non so se questo [attacco a Gaza] risolverà qualcosa. Probabilmente no. Non possiamo sbarazzarci di Hamas. Ma la lezione che abbiamo imparato è che non possiamo fidarci dei palestinesi. Lo sapevamo con Arafat. Ora lo sappiamo di nuovo”.
Questo è il lato buono del conflitto a Gaza, secondo Medad. Egli crede che esso potrebbe contribuire a garantire il futuro degli insediamenti della Cisgiordania ricordando agli israeliani che il controllo di quella che essi chiamano la Giudea e la Samaria è ciò che impedisce ai razzi di Hamas di cadere su Tel Aviv. “Le cose stanno cambiando. E’ Gaza che ha cambiato le cose”, dice.
Shilo si trova lungo la strada principale che collega Ramallah a Nablus, ben lontano dalla “barriera di sicurezza” che Israele ha costruito attraverso la Cisgiordania e Gerusalemme. I residenti di Shilo sono religiosi, e molti di loro rivendicano il diritto di Israele a possedere tutto il territorio ad ovest del fiume Giordano. Una presenza palestinese è tollerata, nel migliore dei casi.
Quando Ariel Sharon spinse i coloni ebrei fuori da Gaza nel 2005, lo definì un doloroso sacrificio per la pace. Secondo un’altra interpretazione, egli era a corto di opzioni politiche e il disimpegno da Gaza era un modo per sottrarsi alle pressioni internazionali che volevano che egli parlasse con i palestinesi. Una cosa che lo smantellamento degli insediamenti di Gaza non ha fatto è porre fine all’espansione delle colonie in Cisgiordania. Shilo è cresciuta di circa il 25% dal 2005. Gli “avamposti” che la circondano, che sono illegali anche secondo la legge israeliana, si stanno espandendo così rapidamente che il “blocco di Shilo”, con circa 10.000 residenti, è ora ampio quanto il principale insediamento smantellato a Gaza.
Nei sondaggi, molti israeliani dicono che sacrificherebbero Shilo in cambio della pace. Ma voci influenti sono contrarie a questo, e fra esse figura l’uomo che le previsioni danno come futuro ministro della difesa di Netanyahu. Moshe “Bogie” Yaalon, ex comandante militare della Cisgiordania, per mesi ha esercitato pressioni sul governo perché attaccasse Gaza, ed è contrario ad un ritiro dalla Cisgiordania.
Medad è fiducioso che le opinioni di Yaalon prevarranno. “Se non hai il controllo su una popolazione, soffri. La volete chiamare occupazione? Va bene. Ma dev’esserci una forma di controllo, di supervisione”, dice. Yaalon ultimamente si chiese: “Qual è la grande differenza fra Gaza, la Giudea e la Samaria? In Giudea e Samaria possiamo andarci di notte, sappiamo dove sono, e li possiamo scovare. A Gaza non possiamo farlo”.
E’ un’opinione ampiamente condivisa da Netanyahu, che ha invitato a portare avanti l’attacco a Gaza fino a quando non avrà sradicato Hamas dal potere. Molti israeliani forse non vorranno spingersi così lontano come Netanyahu, ma egli rimane in testa nei sondaggi. Perfino a sinistra, gli atteggiamenti si sono inaspriti. Il supporto nei confronti di Ehud Barak, il leader del partito laburista attualmente ministro della difesa, è cresciuto notevolmente a seguito dell’attacco a Gaza.
Jeff Halper, un pacifista di lungo corso, dice che questa è un’ulteriore dimostrazione del fatto che l’opinione pubblica israeliana è essenzialmente modellata dalla paura. “Il pubblico israeliano è ostaggio della sua stessa leadership”, dice. “Tutta questa idea che non c’è un partner per la pace è stata interiorizzata dagli israeliani. In Israele ogni cosa è stata ridotta al terrorismo perché Israele ha eliminato il contesto politico dell’occupazione e sostiene di essere l’unico a volere la pace, e di aver fatto generose offerte che gli arabi hanno sempre rifiutato”.
“Il 70% degli ebrei israeliani dice di non volere l’occupazione. Sarebbe felice della soluzione dei due stati. Ma quello che questi israeliani ci dicono è: ‘Non dovete parlare con me della pace, io voglio la pace. Ma gli arabi non ce la concederanno perché gli arabi sono solo terroristi’. In Israele vi è la convinzione profondamente radicata che gli arabi siano i nostri eterni nemici”.
La signora Raanan spera che non sia così. Conta i giorni in attesa che l’attacco a Gaza finisca e suo figlio ne venga fuori. Ma il trauma personale non scomparirà, se e quando questo accadrà. Il suo secondogenito dovrà essere chiamato sotto le armi entro sei mesi. Per come stanno le cose, egli potrebbe seguire suo fratello a Gaza.
Chris McGreal è stato corrispondente da Gerusalemme e da Johannesburg per il Guardian; in precedenza aveva lavorato per la BBC; attualmente si trova al confine con Gaza; il reportage qui proposto è apparso l’11/01/2009 sull’Observer
Titolo originale:
Why Israel’s war is driven by fear
Link originale :
http://www.guardian.co.uk/world/2009/jan/11/gaza-israel-political-attitudes
Tradotto da :