Anche il 2009 è cominciato con un'ingarbugliata disputa tra Russia e Ucraina sul pagamento del gas russo che è dilagata fino a bloccare le forniture all'Europa quando l'Ucraina ha cominciato ad attingere al gas di transito destinato al mercato occidentale.
Dal 2006 il problema si ripresenta in modo più o meno intenso e drammatico con tanta regolarità durante le vacanze invernali che i funzionari di Gazprom e del Cremlino hanno smesso di programmare le ferie in questo periodo dell'anno, che è ormai diventato il più critico.
Il 31 dicembre la Russia e l'Ucraina non sono riuscite a raggiungere un'intesa sui prezzi per la fornitura del gas all'Ucraina. Gazprom nel 2009 rischiava di perdere circa 12 miliardi di dollari per aver venduto gas all'Ucraina all'attuale prezzo di favore di 179 dollari per 1000 metri cubi e in tempi finanziariamente difficili voleva semplicemente un contratto migliore. Kiev non si è spostata di un millimetro.
Gazprom ha dovuto ridurre il volume del gas pompato nella rete di gasdotti e destinato all'esportazione pur continuando a fornire gas ai clienti europei. Kiev ha subito cominciato ad attingere al gas europeo per le proprie necessità interne, mentre un tribunale locale ucraino ha ordinato uno stop totale del transito del gas.
Il 7 gennaio Gazprom ha interrotto tutte le forniture per impedire il furto di gas. Più di una dozzina di paesi dell'Unione Europea è stata lasciata letteralmente al freddo.
Il Primo Ministro russo Vladimir Putin, in un incontro con i giornalisti europei convocato appositamente, ha attribuito la crisi al “crollo politico” in Ucraina. Ha anche accusato la dirigenza ucraina di ritardare un accordo nel tentativo di tenere al suo posto una compagnia intermedia allo scopo di distrarre fondi per sé e le proprie campagne politiche. La stessa accusa è stata ribadita dal Presidente Dmitrij Medvedev il giorno successivo (Medvedev ha detto anche che lo scorso anno l'ucraina Naftogaz vendeva il gas russo, importato al prezzo di favore di 179 dollari per 1000 metri cubi, a clienti ucraini a più di 320 dollari per 1000 metri cubi, una vera manna per le autorità ucraine).
È ora chiaro che la politica ucraina ha molto a che fare con quest'ultimo scontro sul gas. Di fatto è questo ad aver fatto precipitare la crisi, che non sembrava così inevitabile nell'autunno del 2008. Per un po' è perfino sembrato che il 2009 sarebbe cominciato senza la solita guerra del gas.
Nell'ottobre 2008 Vladimir Putin aveva ricevuto il Primo Ministro ucraino Julija Timošenko nella sua dacia fuori Mosca per una piacevole conversazione accanto al caminetto. Durante quella chiacchierata i due avevano raggiunto un accordo strategico che prevedeva un buon prezzo del gas per l'Ucraina per il 2009 e oltre (possiamo ora ipotizzare che fosse stata proposta la ragionevole cifra di 250 dollari per 1000 metri cubi) in cambio dell'acquisizione da parte di Gazprom di una quota del 50% del sistema di trasporto del gas ucraino (sulla falsariga di un accordo simile raggiunto con la Bielorussia) e del diritto di Gazprom di fornire direttamente il gas ai clienti ucraini (e riscuoterne direttamente i proventi).
Timošenko aveva poi cercato di tagliar fuori l'intermediario, la Rosukrenergo (RUE), una compagnia internazionale registrata nel cantone svizzero di Zug, posseduta per metà da Gazprom e per l'altra metà da un gruppo di oscuri imprenditori ucraini guidati da Dmitro Firtaš. Timošenko aveva convinto Mosca a far sì che tutti i futuri contratti fossero stipulati direttamente tra Gazprom e Naftogaz (controllata dagli alleati di Timošenko), togliendo così di mezzo Rosukrenergo e facendo perdere miliardi di dollari a Firtaš.
Firtaš, però, è un importante finanziatore del Partito delle Regioni guidato da Viktor Janukovič. Secondo la stampa ucraina, inoltre, Firtaš avrebbe contribuito con fondi neri alle campagne politiche di Viktor Juščenko e avrebbe il Segretariato di Juščenko sul proprio libro paga. A Kiev è corsa anche voce che alcuni dei parenti più stretti di Juščenko siano legati alla RUE.
Firtaš è diretto oppositore e rivale in affari di Julija Timošenko e della sua squadra, e insieme agli alleati della cerchia di Juščenko rischia di perdere un affare lucrosissimo. Si dice che Firtaš abbia contribuito ad affossare l'accordo tra Timošenko e Janukovič nel dicembre 2008 per la formazione di una coalizione di maggioranza nella Rada che mirava ad adottare la riforma costituzionale per l'abolizione del voto popolare per il Presidente, rendendo quest'ultimo eleggibile dal Parlamento. Un simile scenario sarebbe stato un completo disastro per Juščenko e i suoi.
Il Presidente Juščenko e il suo alleato contingente Viktor Janukovič non sopportavano che il Primo Ministro Julija Timošenko raggiungesse un accordo sul gas a Mosca al prezzo ragionevolmente buono di 250 dollari. Il successo avrebbe rafforzato politicamente Timošenko e facilitato la sua corsa alla Presidenza nel 2010. Né Juščenko né Janukovič volevano che questo accadesse, così si sono affrettati a bloccare gli sforzi di Timošenko per estinguere i debiti ucraini con Gazprom per il 2008 (stimati intorno ai 2 miliardi di dollari) e hanno mandato a monte l'accordo.
Timošenko ha accusato Juščenko e Firtaš di avere complottato per impedire l'estinzione del debito con la Russia lavorando per abbassare il tasso di cambio della valuta nazionale – la hrivna – e rendere così i pagamenti insostenibili per il governo di Timošenko.
Adesso Timošenko fa la figura di quella che non è riuscita ad assicurare al paese le forniture di gas cruciali, e può essere incolpata di tutti i problemi di riscaldamento in questo inverno rigidissimo. Viene anche presentata come un interlocutore internazionale inaffidabile sia per Mosca – infuriata per la sua incapacità di tener fede ad accordi raggiunti ai massimi livelli – che per l'Europa, che giustamente accusa l'esecutivo ucraino (il governo di Timošenko e i suoi alleati in Naftogaz) dell'interruzione delle forniture.
La dirigenza russa, infuriata per la politica anti-russa di Juščenko e soprattutto per il suo indiscusso appoggio al Presidente georgiano Saakašvili durante la guerra di agosto, non ha ovviamente alcuna fretta di concedere a Juščenko un altro anno di forniture a prezzo di favore. Ma più a lungo si trascina la crisi più Juščenko ci guadagna.
Ha intensificato la crisi in modo premeditato, impedendo personalmente al Presidente di Naftogaz Oleg Dubina, funzionario ucraino pro-russo, di firmare un contratto con Gazprom.
La scommessa di Juščenko è semplice: può prolungare la propria vita politica solo fomentando l'isteria anti-russa e screditando Timošenko come leader in grado di gestire efficacemente il paese. L'obiettivo è rendere impossibile la candidatura indipendente di Timošenko alla presidenza assicurando a Juščenko una replica dello scontro del 2004 con Janukovič. Anche se l'attuale tasso di popolarità di Juščenko oscilla intorno al 5% e Janukovič è chiaramente in testa con il 18%, non è impossibile immaginare una vittoria di Juščenko nel 2010, a patto che Julija Timošenko non corra per la presidenza.
La Russia e l'Europa sono ostaggi della bizantina politica ucraina. L'unico modo per impedire che il pasticcio si ripeta anno dopo anno è costituire un consorzio internazionale che acquisisca il controllo delle rotte di transito ucraine. Il primo passo verso questa direzione potrebbe essere mandare degli osservatori dell'Unione Europea in Ucraina a controllare l'integrità delle forniture all'Europa. Fonte: The Pipe is Blocked in Kiev, originariamente pubblicato su Russia Profile
Articolo originale pubblicato il 13/1/2009
L’autore
Manuela Vittorelli è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.
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