Gaza, a Rafah riprende l'attività dei tunnel: "e se tornano gli F-16, dopo ricominceremo"
di Michel Bôle-Richard - 23/01/2009
Rafah - Ibrahim Zoored mostra un largo sorriso. L’aria contenta, assiste al riempimento di un camion cisterna di carburante venuto dall’Egitto. "E’ così, le cose si rimettono in modo! E’ la vittoria della Palestina sugli israeliani. Non potranno mai distruggere tutti i tunnel". A Rafah, il cunicolo di 250 metri di lunghezza che passa sotto al frontiera egiziana non è stato toccato dalle bombe che sono cadute in questa zona durante la guerra. Il 21 gennaio, tre giorni dopo il cessate il fuoco, il "business" dei tunnel riparte. Su delle malridotte strade di sabbia, jeep, trattori, carretti trainati da asini si aprono un passaggio in mezzo a crateri profondi diversi metri. Delle pale meccaniche lavorano a pieno regime per tappare le buche, livellare, liberare gli ingressi dei tunnel crollati.
Il cantiere è in piena attività. Si fanno riparazioni, si risistema. I teloni di plastica bucati vegono rimpiazzati con quelli nuovi. Gli scavatori di sabbia sono già al lavoro, caricando le macerie in bidoni di plastica trasformati in recipienti. Alcuni tentano di recuperare la mercanzia seppellita. Gli israeliani ritengono di avere distrutto tra il 60 e il 70 per cento dei tunnel, il cui numero è stimato a oltre un migliaio sui 14 chilometri di frontiera che separano la Striscia di Gaza dall’Egitto. Buona parte di quelli posti a una trentina di metri di profondità non sono stati toccati.
Il contrabbando è ripreso tranquillamente. A causa della mancanza di elettricità, il ritorno alla piena attività richiederà un po’ di tempo. Non molto di più di qualche mese. La mano d’opera non manca. Dei gruppi di persone attendono sorseggiando del tè. Per il momento, si fa il censimento dei danni. Qualche generatore che funziona non fornisce la corrente sufficiente per liberare immediatamente tutte le gallerie ostruite.
Karim, che fa i viaggi nei tunnel, è impaziente. Queste tre settimane di inattività gli sono pesate. La cosa buona, in compenso, è che si è potuto riposare anche se non è stato sempre facile con il fracasso delle bombe che gli turbavano il sonno. "Qui, non c’è lavoro. Dovrò pure mangiare. Non ho scelta". E se gli F-16 tornano a bombardare? "Che vuoi che faccia. Che Dio mi protegga!"
"E’ la nostra sopravvivenza!"
Almeno una cinquantina di questi scavatori di sabbia sono morti in passato nei crolli. Oggi, il lavoro è ancora più pericoloso perché il suolo è stato reso instabile dalle bombe a ultrasuoni. Majid, proprietario di un cunicolo, non vuole altro che ricominciare, perché ha investito circa 120mila dollari in questo affare e si è indebitato.
Prima di tutto, bisogna effettuare un’ispezione meticolosa delle pareti delle gallerie, consolidare i pozzi di accesso spesso danneggiati. "E’ impossibile far cessare il funzionamento dei tunnel. Sono stati scavati per combattere l'embargo imposto da Israele. Si tratta della nostra sopravvivenza! Solo gli egiziani possono fermarci. Ma non hanno interesse a farlo. Questo (business) gli porta molto denaro, 50 per cento dei guadagni senza parlare di tutte le provvigioni. A noi interessa solo la merce, non le armi. ma i partiti come Hamas hanno i loro propri tunnel e non sappiamo cosa ci facciano".
Il "business" dei tunnel occupa almeno 20mila persone e dà da vivere a tutte le loro famiglie. Alcuni proprietari hanno già messo da parte delle fortune. Oramai si parla dei milionari di Rafah, che siano ‘’verdi’’, quelli di Hamas, o abili uomini d’affari. Anche il comune di Rafah intasca la sua quota per l’apertura di un pozzo, ossia 10mila shekel secondo Majid, senza parlare delle tasse sulle merci.
Va anche detto che non sarà facile mettere fine a questa economia parallela se i valichi verso Israele non saranno aperti in modo regolare. A Bruxelles, mercoledì 21 gennaio, Tzipi Livni, la ministra degli Esteri israeliana si è rifiutata, nel corso di un incontro con i suoi omologhi europei, di impegnarsi per la riapertura dei valichi tra la Striscia di Gaza, l’Egitto e il suo paese, chiusi agli aiuti umanitari. (Livni) ha giustificato il mantenimento del blocco imposto da Israele dopo che Hamas ha preso il controllo del territorio, nel 2007, con la necessità di lottare consto il traffico di armi, e il riarmo del movimento palestinese, mentre gli europei considerano la riapertura delle frontiere come uno degli elementi per il ritorno alla normalità.
I tunnel sono divenuti il cordone ombelicale attraverso cui la Striscia di Gaza respira ancora, visto che gli altri tre lati di questa enclave sono sigillati dallo Stato ebraico dalla cui buona volontà dipende la possibilità di apertura.
Anis aspetta nei pressi del suo camion che la transazione con gli egiziani sia terminata prima che anche lui riempia la sua cisterna. Altri camion cisterna arrivano. I serbatoi cilindrici a terra forati dalle schegge di granata vengono riparati. I buchi vengono saldati nuovamente.
Ibrahim Zoored ne ha viste tante. Non saranno tre settimane di guerra a impedirgli di fare affari. "Qui a Gaza, troviamo sempre delle soluzioni a tutto e se tornano gli F-16, dopo ricominceremo".
(Traduzione di Carlo M. Miele per Osservatorio Iraq)
Gaza, a Rafah riprende il ''business'' dei tunnel
di Michel Bôle-Richard (con Philippe Ricard da Bruxelles)
Le Monde, 22 gennaio 2009
L’articolo in lingua originale