Riga, Sofia, Vilnius, Reykjavík. In Europa le piazze in fiamme
di Marco Zatterin - 24/01/2009
Non c`è il Quarto stato in piazza, si contano sulle dita di una mano gli operai fra i tanti che da giorni tirano pietre, carta igienica, e - moda che s`afferma - scarpe, contro i palazzi del potere di Reykjavik. L`anima della rivolta sono coloro che hanno perso la ricchezza, non quelli che non l`hanno mai avuta. L`Islanda era sino a due anni fa regina in ogni classifica di sviluppo e benessere, un Bengodi che cresceva senza sosta. Poi c`è stata la crisi finanziaria, la bancarotta generalizzata, il prodotto interno lordo previsto in flessione di 10 punti. Il popolo della piccola tigre dell`Atlantico del Nord, terra di geyser, di banche e di Suv, teme di perdere tutto e protesta sull`orlo di una crisi di nervi.
Da martedì i cortei sfilano davanti all`Althing, il parlamento islandese.
Giovedì, per la prima volta dal 1949, anno dell`adesione alla Nato, sono intervenuti i reparti antisommossa coi gas lacrimogeni per disperdere la folla.
Erano due-tremila anime, ma sull`isola fredda fanno l`un per cento della popolazione. Hanno bersagliato con uova e lattine persino l`auto del premier Geir Haarde, che ieri ha annunciato elezioni anticipate per il 9 maggio. Vogliono che la politica si rimbocchi le maniche, risolva la crisi, allontani i corrotti. La gente comune non si sente colpevole della crisi e non intende pagarne il prezzo. Tocca a deputati e ban- chieri. Per questo è pronta a tutto.
Capita però che non siano i soli.
E che all`insofferenza islandese se ne accompagni una diffusa nei Paesi del Baltico, nell`Europa dell`Est e, madre di tutte le recenti proteste, in Grecia. Gli osservatori cominciano a segnalare un`ondata circolare di disordini latenti in numerosi stati. La diagnosi diffusa è che la crisi economica provocherà presto altri sommovimenti.
«Può succedere quasi dappertutto - ha detto alla Bbc il direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss Kahn -, può capitare da noi come nei Paesi emergenti. Sinora abbiamo avuto scioperi che sembrano normali, ma cre- do che la situazione possa peggiorare in fretta».
E` un quadro «molto, molto serio», stigmatizza il francese di Washington. Ha motivo di essere preoccupato. Una settimana fa se le sono date di santa ragione a Sofia.
Duemila persone si sono raccolte davanti al parlamento bulgaro spinte dal desiderio, dicevano gli organizzatori, «di non essere più il Paese più povero e corrotto dell`Ue». Fianco a fianco hanno sfilato gli agricoltori, preoccupati per il basso valore dei loro prodotti, e gli studenti, infuriati per la troppa criminalità e insicurezza. Le forze dell`ordine ci sono andate pesanti. Botte e arresti.
Gli analisti fanno notare che il male bulgaro è una questione di malcostume politico, non di crisi economica, perché il Paese non è in recessione (Pil 2009 previsto a +1,8%). L`insofferenza è però abile a colpire nel debole ogni volta che varca un confine. Ed è contagiosa.
Ne sa qualcosa il governo lettone.
A Riga si sono avuti i disordini più violenti dalla caduta della Cortina di ferro. Un corteo di 10 mila persone ha sfidato apertamente la polizia per chiedere un`azione di rilancio economico al governo. Quest`anno la crescita nello Stato baltico sarà negativa di 7 punti e la disoccupazione raddoppierà al 10%.
«E` crollata la fiducia nelle istituzioni», concede il presidente Valdis Zatlers, ormai rassegnato a spingere per le elezioni anticipate.
Pochi giorni prima la capitale lituana Vilnius è stata te- atro di uno spettacolo simile: manifestanti che lanciano uova e pietre, polizia in assetto antisommossa, lacrimo- geni. «Sono segnali seri e non ancora gravi - spiega una fonte diplomatica di Bruxelles -. Il problema è se la scintilla dovesse reinnescarsi nei grandi Paesi, anzitutto in Grecia». E l`Italia? «E` tranquilla, per il momento».
Ad Atene, in effetti, i sindacati minacciano nuovi scioperi «probabili» dopo l`ondata di violenza di dicembre. Gli economisti stimano che il barometro della tensione si muoverà in parallelo con l`andamento della disoccupazione.
Vuol dire che Francia, Spagna e Irlanda sono sul livello di guardia. «C`è una crescente convinzio- ne che le autorità pubbliche hanno perso il controllo della situazione», puntualizza Robert Wade, un economi- sta della London School of Economics.
Occorre una sana iniezione di fiducia nel momento in cui la crisi picchia più duro. «In caso contrario - si sottolinea a Bruxelles - sarà la piazza a parlare.
Con conseguenza realmente difficili da prevedere».
Nei Paesi dell`Est la protesta per la recessione si somma a quella contro la corruzione Aumenta la disoccupazione e cresce la paura dell`emarginazione sociale L`allarme II direttore dei Fmi Straus5 Kahn: «Può accadere dovunque la situazione rischia di peggiorare» [.]