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L’America di Barak Obama inciampa nella sua prima strage: 16 civili uccisi in Afghanistan

di Andrea Nicastro - 26/01/2009

 

Il comandante in capo è cambiato, gli ordini sul campo ancora no. L’America del presidente Barak Obama inciampa nella sua prima strage: 10, forse 16 civili uccisi proprio in Afghanistan, il Paese che dovrebbe essere al centro del «cambio» nella politica internazionale della Casa Bianca. La luna di miele del neo presidente col mondo (la jihad egiziana ha persino invitato Al Qaeda a una tregua) non è finita, ma il segnale è brutto: migliaia di afghani hanno sfilato ieri per la prima volta contro la sua America proprio come hanno fatto per anni contro quella di George W. Bush.

Si dice che Obama abbia sul tavolo tre ipotesi di revisione strategica: una del Consiglio di sicurezza nazionale, una del Pentagono e una del generale David Petraeus, il mago della normalizzazione irachena. In attesa che il presidente decida, le disposizioni tattiche restano quelle dell’era Bush così come la cortina fumogena attorno alle informazioni. Le conseguenze non possono essere diverse.

Un copione replicato per 7 anni è andato in scena venerdì notte. Una pattuglia Usa finisce sotto attacco nella provincia di Laghman, 6o chilometri ad est di Kabul. La strada è sterrata, la notte buia. Secondo i militari Usa lo scambio di fuoco dura fino all’alba: mitragliatrici pesanti sulla torretta degli Hummer rispondono agli spari e uccidono il «insorti tra cui una donna con un lanciarazzi Rpg». I cacciabombardieri chiamati in rinforzo «neutralizzano con armi di precisione, non bombe a caduta» (specifica il portavoce Usa in Afghanistan) 4 assalitori. Totale: 15 terroristi morti.

«Falso», hanno gridato già sabato mattina gli anziani dei villaggi vicini. «Venite a vedere. Sono civili. Donne e bambini». Anche i numeri cambiano: gli afghani parlano di 16 0 22 vittime di cui solo 5 o 6 armati, gli altri innocenti. Il gioco delle parti è stranoto tra Iraq e Afghanistan. I comandi Usa non brillano per credibilità. Clamoroso il caso di un bombardamento l’agosto scorso: dopo i primi dinieghi un’indagine Usa ha ammesso prima 5, poi 33 vittime «collaterali» a fronte di go denunciate dai locali. Non sorprende quindi se ieri i marines siano finiti sotto accusa sia nelle strade di Laghman, sia nel palazzo presidenziale di Kabul. «Questi raid devono finire - ha detto Hamid Karzai -. I bombardamenti di civili aiutano i terroristi invece di indebolirli».

Secondo stime Onu, nel 2008 le vittime innocenti del fuoco delle truppe internazionali sarebbero quasi 900. Karzai si spende da anni per figurare, davanti alla sua opinione pubblica, come difensore del Paese dalla prepotenza degli ospiti. Non ha mai potuto, però, lanciare ultimatum perché i bilanci ministeriali e la protezione delle principali città dalla guerriglia dipendono dal supporto internazionale. La novità di ieri è il contesto politico in cui Karzai si trova a muoversi. Quest’anno scadrà il suo mandato e dovrà correre in nuove elezioni. L’organizzazione procede lenta e si parla di urne a ottobre. Karzai è stato a lungo l’unica scelta americana, ma senza più Bush, suo principale estimatore, le cose si complicano. La nuova amministrazione Usa starebbe valutando se e come rimpiazzare un presidente, elegante fin che si vuole, ma compromesso attraverso la famiglia nel traffico di droga e incapace di tamponare la corruzione dei funzionari pubblici a ogni livello. Sulla situazione in Afghanistan il vicepresidente Usa Joe Biden ieri sera ha dichiarato: Bush «ci ha lasciato in eredità un vero casino».

Obama, il segretario di Stato Hillary Clinton e l’inviato speciale per l’area Richard Holbrooke, potrebbero sponsorizzare un’alternativa composta da un’alleanza a quattro tra politici di etnia pashtun, capaci per la loro storia personale di recuperare il consenso di molti signori della guerra anti talebani. Se non è riuscita ad esportare la democrazia in Afghanistan, l’America tenterebbe con stabilità e buon governo. Dal canto suo Karzai non è disposto a farsi da parte. Almeno non senza una contropartita. I morti di venerdì rischiano di diventare un pretesto. Di certo sono già un campanello d’allarme. Perché Obama decida in fretta.