Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’acqua che mangiamo

L’acqua che mangiamo

di Alessandra Profilio - 26/01/2009

Dietro ogni prodotto che compriamo ed ogni servizio di cui usufruiamo si celano enormi quantità di acqua. In un momento in cui milioni di persone soffrono per la carenza idrica, è nostro dovere prendere consapevolezza del valore di tale risorsa ed evitarne gli inutili sprechi.

 

16 mila litri di acqua in ogni chilo di carne
Per un solo chilo di carne sono necessari 16 mila litri di acqua
Sapete che produrre un chilo di riso richiede 3000 litri di acqua? Che per una semplice tazzina di caffè ne occorrono 140, per un litro di latte ne servono 1000 e per un chilo di mais 900? Ebbene sì, queste sono le cifre riportate nel sito web Water Footprint, gestito dall’Università di Twente (Paesi Bassi) e dall’UNESCO-IHE Institute for Water Education. Il dato a mio avviso più impressionante riguarda, però, la produzione di carne: per un solo chilo di carne di manzo sono necessari, addirittura, 16 mila litri di acqua.

 

Abbiamo (chi più, chi meno) consapevolezza della quantità di acqua che utilizziamo per dissetarci, cucinare e lavare; più difficilmente percepiamo il consumo idrico per produrre cibo, carta, vestiti e tanto altro ancora. Per fare un ulteriore esempio, in una maglietta di cotone si “nascondono” almeno 2.900 litri di acqua, impiegati nell’intera filiera della produzione.

A misurare il consumo di acqua è un indicatore denominato Water Footprint. L’Impronta idrica consente, appunto, di misurare l’uso di acqua prendendo in considerazione sia l’utilizzo diretto che quello indiretto da parte del consumatore o del produttore. Mentre l’Impronta ecologica calcola l’area totale di spazio produttivo necessario a produrre i beni ed i servizi consumati da una determinata popolazione, l’Impronta idrica calcola il volume di risorse idriche necessarie a produrre gli stessi beni e servizi.

L’Impronta idrica totale di una nazione è formata da due componenti: l’Impronta idrica interna è la quantità di acqua necessaria a produrre i beni e servizi prodotti e consumati internamente al Paese, mentre l’Impronta idrica esterna deriva dal consumo di merci importate o, in altre parole, calcola l’acqua utilizzata per la produzione delle merci nel Paese esportatore.

Dal Living Planet Report 2008, rapporto biennale del WWF sulla situazione degli ecosistemi del mondo, è emerso, peraltro, che l’Italia occupa il 4° posto nella classifica mondiale riguardante l’impronta idrica del consumo. Davanti a noi abbiamo USA, Grecia e Malesia, dietro di noi, Spagna, Portogallo, Canada e tutti gli altri.

A fronte del nostro consumo esagerato ed indiscriminato di acqua, il Report segnala almeno 50 paesi che attualmente stanno affrontando crisi idriche più o meno accentuate ed il numero di persone che soffrono per la carenza di questa preziosa risorsa tende ad aumentare a causa dei cambiamenti climatici.

Eppure, invertire la rotta si può.

“Non solo i governi, ma anche consumatori, imprese e comunità possono fare la differenza, affinchè si possa giungere ad una migliore gestione delle risorse idriche”, sostiene il Prof. Arjen Y. Hoekstra, inventore dell’indicatore Impronta Idrica e direttore scientifico del Water Footprint Network.

Un nuovo studio relativo al potenziale di risparmio idrico dell’UE dimostra che la quantità di acqua utilizzata in Europa potrebbe essere tagliata addirittura del 40% grazie a nuove tecnologie per il risparmio idrico nell’industria e nella produzione manifatturiera, a migliori tecniche di irrigazione e, chiaramente, alla riduzione degli sprechi domestici.

Secondo la relazione, l’acqua utilizzata a fini personali potrebbe essere quasi dimezzata, senza rinunciare a niente ma solo eliminando gli sprechi.

 

Le bottiglie di plastica consumano moltissima energia
L’acqua imbottigliata consuma energia nelle fasi di produzione, commercializzazione e riciclaggio delle bottiglie in plastica
Potremmo quindi fare la doccia anziché il bagno e ridurre il tempo trascorso sotto il getto d’acqua, non lasciare il rubinetto aperto quando laviamo i denti o i piatti, controllare eventuali perdite dalle tubature, quando è possibile preferire il ciclo economico della lavatrice o, ancora, quando prepariamo il tè, mettiamo a bollire soltanto la quantità di acqua necessaria.

 

Fondamentale è poi scegliere coscientemente i nostri acquisti: pensare all’intero ciclo di vita dei prodotti che compriamo significa essere consapevoli della quantità totale di acqua necessaria per produrli, utilizzarli e smaltirli. Sarebbe dunque opportuno prediligere prodotti a ridotto impatto ambientale, frenare il nostro consumo di acqua in bottiglia e modificare la nostra dieta limitando i cibi che necessitano di grandi quantità d’acqua per essere prodotti o trasportati, come la carne e gli alimenti elaborati.

Combinate tra loro ed estese al maggior numero di persone possibile, tali strategie possono condurre ad una gestione migliore, e soprattutto più equa, di questa risorsa vitale. Perché se l’acqua è un nostro diritto, non abusarne è, oggi più che mai, un nostro dovere.