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Perchè "pene esemplari" non migliorano la Giustizia

di Massimo Fini - 03/02/2009

 
Ha suscitato scandalo, il provvedimento con cui il Gip Marina Finiti, su richiesta del Pubblico ministero Vincenzo Barba, ha concesso gli arresti domiciliari a Davide Franceschini, lo stupratore, reo confesso, di una ragazza la notte di Capodanno alla Fiera di Roma, dopo che il giovane aveva fatto solo due giorni di carcere.

All’indignazione di una parte dell’opinione pubblica si è aggiunta quella dei politici.
Il sindaco di Roma, Alemanno, ha chiesto la revoca del provvedimento, il premier Berlusconi si è detto in disaccordo con i magistrati romani, il pd Luciano Violante, ex magistrato, ha dichiarato che i giudici hanno fatto un "grave errore" mentre Alessandra Mussolini, Pdl, ha affermato che per i reati di stupro la custodia cautelare dovrebbe essere costituita solo dal carcere eliminando la possibilità degli arresti domiciliari.
Altri hanno chiesto pene esemplari. Sotto la pressione dell’opinione pubblica il ministro della Giustizia Alfano ha mandato a Roma gli ispettori.


Sulla carcerazione preventiva c’è un grave equivoco e nella testa della gente, alimentato proprio dalla classe politica. La carcerazione preventiva, sia nel caso di reclusione in cella sia in quello, più blando, degli arresti domiciliari, non è un’anticipo della pena.
Guai se fosse così, perchè lederebbe il principio della "presunzione di innocenza" sempre richiamato da quelli stessi politici quando un provvedimento cautelare tocca uno di loro (per esempio Ottaviano Del Turco). E’ un provvedimento eccezionale di restrizione della libertà personale che può essere preso per gravi reati e solo se sussiste una di queste tre condizioni:

1) Pericolo di fuga
2) Possibilità di reiterazione del reato
3) Possibilità di inquinamento delle prove.

Se non ci fosse stato nemmeno uno di questi requisiti il giudice avrebbe potuto, al limite, anche lasciare il ragazzo completamente a piede libero (ha invece considerato sussistenti i primi due, essendo escluso il terzo dato che il giovane ha confessato, e sufficienti, per le esigenze cautelari, gli arresti domiciliari). La remunerazione alla ragazza violentata e alla società non viene dai giorni che Franceschini passerà ai "domiciliari" ma quando ci sarà il giudizio e allo stupratore verrà comminata la pena che merita.

Questo lo ha capito anche la vittima che dopo un primo, umanissimo e comprensibile sfogo ("se le cose stanno così mi farò giustizia da sola"), ha detto: "Non voglio farmi giustizia, era solo uno sfogo. Io invece credo nella giustizia che deve fare il suo corso. Non mi importa se adesso lui non sta in carcere: sarà punito per quello che ha fatto al momento del giudizio".
Naturalmente questi principi, sacrosanti, che hanno alla base la presunzione di innocenza, si scontrano con l’abnorme lunghezza dei processi; che è il vero, gravissimo, problema della Giustizia italiana, sul quale per quel che mi riguarda, batto da quasi quarant’anni e di cui invece la classe politica si è finora infischata preferendo dedicarsi ai dettagli che la interessano direttamente (separazione delle carriere; intercettazioni che possano, dio guardi, colpire anche "lorsignori", composizione del Csm; eccetera).
Quella stessa classe politica che fa il ponte isterico quando la carcerazione preventiva tocca qualcuno della Casta, gridando all’"intollerabile violazione della libertà personale", ma poi vorrebbe la galera preventiva, punitiva, senza processo per gli altri.
Infine una pena non serve mai essere "esemplare". "Deve essere giusta e certa". Una "pena esemplare", presa sotto la spinta dell’emotività pubblica, significherebbe semplicemente che "uno paga per tutti", aggiungendo ingiustizia a ingiustizia.
Sarebbe proprio quel "giustizialismo" di cui tanto spesso si parla. A sproposito.