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La politica italiana ed europea in Medio Oriente

di Giulietto Chiesa - 06/02/2009





chiesa-giuliettoIntervento di Giulietto Chiesa, europarlamentare, all'assemblea organizzata a Roma da ISM-Italia e Forum Palestina




L’intervento di Ilan Pappé sgombra il terreno da molte delle questioni che io volevo proporvi. La mia posizione, la nostra posizione, è quella di persone che vivono lontano dalla Palestina, in altri contesti. Noi non siamo là e dobbiamo chiederci cosa possiamo fare qui.
E prima di tutto capire ciò che è accaduto, e se esso ha o no cambiato il nostro modo di valutare la situazione. Concordo intanto, pienamente, con l'analisi di Pappé.
Gli eventi di Gaza hanno messo di fronte a tutti noi la verità, e cioè che Israele è guidata da un gruppo criminale che non intende rinunciare a un centimetro quadrato di quella che loro chiamano la Galilea. Un gruppo di criminali che hanno l’appoggio – anche qui concordo pienamente con Pappé – della grande maggioranza della popolazione israeliana. Questi sono i punti da cui dobbiamo partire anche noi.

 

 

Il massacro di Gaza ha un solo significato: se costoro vincono non ci sarà alcuno stato palestinese, né oggi né domani né mai.
A meno che Israele non sia costretta ad accettarlo sotto una forte pressione internazionale esterna.
Questa ipotesi, tuttavia, è altamente improbabile, per non dire inesistente. Queste, in estrema sintesi, sono le coordinate realistiche del problema. Le élites europee sono state corresponsabili e complici della strategia americana e israeliana (sostanzialmente coincidenti) e non si sposteranno da questa posizione in un periodo di tempo prevedibile.
Lo dico da osservatore ravvicinato dei comportamenti europei a Bruxelles. Israele continuerà dunque a martoriare il popolo palestinese occupandone il territorio, aumentando gli insediamenti, trasformando le zone occupate - come è stato qui descritto crudamente - in una prigione a cielo aperto. E dove la popolazione palestinese sarà costretta a misurare sulla sua pelle il livello di repressione cui sarà sottoposta, in proporzione diretta con la quantità di resistenza che sarà in grado di opporre alla violenza e al sopruso degli occupanti.

E' il ritratto di una pulizia etnica esercitata in modo sistematico.
Qui Ilan Pappé ci ha detto cose dalle quali è impossibile prescindere e senza le quali non si potrà definire un programma politico di sostegno al popolo palestinese.
Tra queste una mi pare cruciale: non riusciremo ad aprire una breccia nella coscienza collettiva europea se non riusciremo a separare l'idea dell'olocausto dal problema palestinese. Cioè se non riusciremo a smontare la più mostruosa delle manipolazioni sioniste, secondo la quale, per riparare alle colpe dell'olocausto, l'Europa deve consentire a Israele di realizzare la pulizia etnica definitiva della Palestina. E' questo il nocciolo dell'ideologia sionista dei tempi moderno. Un segno genocidario che concede alle vittime di allora di diventare carnefici con la benedizione del mondo occidentale.

Possiamo accettare una tale mostruosa equazione, che getta su un popolo intero le conseguenze di una responsabilità alla quale è stato comunque estraneo, ma che scarica su noi europei la responsabilità di accettare un secondo olocausto, questa volta contemporaneo, di dimensioni minori solo perché i palestinesi sono meno degli ebrei di allora.
Io ricordo spesso l'aforisma di Hans Magnum Enzensberger, uno scrittore tedesco: «ai tempi del fascismo noi non sapevamo di vivere ai tempi del fascismo».
Temo proprio che stia accadendo esattamente la stessa cosa. Ai tempi di Gaza, dello sterminio di un popolo, che avviene sotto i nostri occhi, noi non sapevamo di stare ai tempi del fascismo.
O meglio noi che siamo qui lo sappiamo. Fuori da qui sono in pochi a saperlo, soverchiati da messaggi mediatici falsificati. Ma forse anche noi abbiamo capito solo alcune cose, mentre altre, più profonde e più inquietanti, ancora ci sfuggono.

Ecco io credo che molti di noi non abbiamo ancora ben compreso che anche noi, qui, siamo in pericolo. E che la nostra solidarietà con il popolo palestinese è in realtà anche una forma di autodifesa. Ecco il punto fondamentale, per giungere al quale si richiede un salto intellettuale.
Noi parliamo di solidarietà e di giustizia con e per il popolo di Palestina, ma in realtà dovremmo renderci conto che stiamo cercando di salvare noi stessi. Perché quello che sta accadendo in Palestina - e non è retorica, è l’analisi politica, cruda e fredda - è la guerra contro di noi.

I dirigenti sionisti israeliani non sono così stupidi da pensare di poter cancellare in tempi brevi il popolo della Palestina. Non sono così stupidi, non lo sono mai stati. Dal 1948 in avanti hanno dimostrato di avere una precisa strategia. Una strategia che, con lievi variazioni, non hanno mai sostanzialmente abbandonato. Sanno, i dirigenti israeliani, che godono dell'appoggio della gran parte della loro popolazione, che c’è un limite oltre il quale nemmeno la schiera degli amici occidentali, nemmeno l’Europa, è in grado di seguirli in "condizioni normali". In "condizioni normali" - cioè le attuali condizioni, gli attuali rapporti di forza politici - hanno dovuto fermarsi a Gaza, perché andare oltre avrebbe significato mettere a repentaglio le loro relazioni privilegiate con il resto del mondo occidentale, perdere il contatto. Sottolineo l'espressione : in condizioni normali.

Non è possibile realizzare la pulizia etnica totale della Palestina, in condizioni normali. In condizioni normali si può procedere solo per tappe, infliggendo colpi sempre più duri, ma senza mai poter risolvere il problema degli "scarafaggi da schiacciare", del "formicaio da incendiare", per usare espressioni rivelatrici dei militari israeliani. Per questo hanno fermato il massacro a un certo punto. In condizioni normali significa poter agitare in continuazione, assecondati dal mainstream mondiale, l'idea che sia Israele e la sua esistenza ad essere minacciata. Anche quando apparirebbe evidente, a chiunque non fosse accecato, che non vi è alcuna possibilità di mettere in discussione, realmente , l'esistenza di Israele. Che nessuno è in condizione di minacciare realmente, neanche lo volesse, per quanto lo proclamasse, l'esistenza di Israele.
Anche quando non vi è dubbio alcuno che Israele ha tutto ciò che le occorre per vincere ogni battaglia e ogni guerra. Non solo la superiorità bellica, ma anche quella politico-diplomatica, ma anche quella informativa.

Il trucco consiste dunque nel continuare a gridare di essere le vittime, anche quando si è ormai da tempo diventati carnefici. E lo si può fare in condizioni normali, come quelle che abbiamo vissuto e viviamo. in condizioni in cui l'opinione pubblica mondiale pensa che con Israele si possa parlare di negoziati e di una soluzione pacifica. Ma poiché l'obiettivo sionista è la conquista totale del territorio della Palestina, e poiché questo significa la pulizia etnica finale di quel territorio, e poiché questa è impossibile senza un genocidio, è evidente che i dirigenti israeliani hanno in mente un'ipotesi non "normale".

Se essi pensano - lo pensano anche se non lo dicono pubblicamente, almeno non negli ultimi tempi - che "nemmeno un centimetro di terra sarà lasciato ai palestinesi", al "formicaio palestinese", agli "scarafaggi palestinesi", allora restano due ipotesi materialmente percorribili: pulizia etnica totale, oppure sottomissione totale dei rimanenti, umiliazione, rinuncia,
bantustanizzazione del popolo palestinese.