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Israele, "la battaglia demografica"

di Asaad Abdel Rahman - 11/02/2009

Fonte: sudterrae

Fin dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso, la scena mondiale ha cominciato a evolvere verso un ritorno del “fattore religioso”, in coincidenza con un arretramento delle ideologie laiche, nazionaliste e socialiste. Ciò ha determinato la nascita di un nuovo mondo – sia dal punto di vista politico che da quello intellettuale e culturale – le cui caratteristiche continuano ad essere dominanti ancora oggi. In questo contesto, il mondo ha nuovamente rivendicato l’autorità delle religioni rivelate. L’Occidente ha cominciato a insistere sull’eredità cristiana, Israele sull’eredità ebraica, i movimenti islamici sull’eredità islamica. L’identità religiosa è salita in cima alle preoccupazioni del mondo, contribuendo ad accelerare il crollo delle ideologie laiche. Questa visione religiosa delle cose è stata confermata da una serie di intellettuali, primi fra tutti Francis Fukuyama e Samuel Huntington. Si è fatto ricorso alla religione non in base ad una convinzione riguardante il suo ruolo spirituale, quanto piuttosto nel tentativo di legittimare le nuove politiche egemoniche a livello mondiale.

Sebbene in passato la religione non fosse una componente rilevante dell’identità, essa è emersa in una veste nuova determinando un ulteriore aspetto problematico nella questione palestinese, che ne rende più difficile la soluzione. Malgrado tutti gli sforzi fatti, un compromesso definitivo fra palestinesi e israeliani è infatti un obiettivo difficile da raggiungere. La “diversità” razziale implicita nell’idea di “stato ebraico”, definito attraverso la cosiddetta “nazionalità ebraica”, è un concetto che non assomiglia in alcun modo al concetto di “cittadinanza”. In questo contesto, possiamo concentrarci sull’importante articolo proposto dal professor Raja Kamal, preside per lo sviluppo delle risorse presso la Harris School for Public Policy Studies dell’Università di Chicago – articolo intitolato “Israel’s demographic concern” (apparso originariamente sul Chicago Tribune del 24 marzo 2008, l’articolo è stato ripubblicato da numerosi giornali arabi, fra cui il libanese Daily Star, da cui vi abbiamo proposto la traduzione italiana, intitolata: “Israele/Palestina: troppa religione rende la pace meno probabile” (N.d.T.) ). In tale articolo il professor Kamal sostiene che “sia i palestinesi che gli israeliani adottano sempre più i principi religiosi come movente per le politiche che ciascuna delle due parti porta avanti nei confronti dell’altra”. Ma a destare preoccupazione è soprattutto il fatto che questo entusiasmo religioso potrebbe essere connesso ai cambiamenti demografici in atto all’interno di Israele. Tali cambiamenti potrebbero rappresentare la sfida maggiore per coloro che vogliono trovare una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese. Aggiunge Kamal: “In Israele sono due i fattori demografici che influenzano le politiche del governo: la crescita delle fasce ultra-ortodosse della popolazione e l’emigrazione di scienziati, studiosi e ricercatori”.

Secondo le statistiche del governo israeliano, il tasso di natalità estremamente elevato fra gli ebrei ultra-ortodossi raggiunge i 7,6 figli per donna, pari a tre volte il tasso di crescita media della popolazione all’interno dello stato ebraico. In una società politicamente divisa come quella di Israele – rileva Kamal – ciò fa sì che piccoli partiti religiosi siano in grado di “esercitare forti pressioni su un governo relativamente debole”. Ciò appare in maniera evidente nella politica israeliana degli insediamenti, che viene portata avanti malgrado la condanna internazionale.

Un’inchiesta pubblicata dal quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth afferma che sono due i fattori principali che spingono i maggiori scienziati e accademici a lasciare Israele per l’America: il primo è il fatto che il sogno sionista è divenuto poco attraente rispetto all’entità degli stipendi in dollari americani, il secondo è che la vita all’interno di Israele è caratterizzata da un continuo stato di tensione dovuto all’assenza di sicurezza. Per questa ragione Israele, “che non vorrebbe perdere un solo uomo, qualunque sia il suo grado di istruzione”, deve riconoscere in questo fenomeno di emigrazione una dimostrazione del fallimento della politica sionista tradizionale che si prefigge di convincere gli ebrei del mondo a migrare in Israele, e non il contrario. Tuttavia, l’altro dato importante è che “la perdita di queste persone avviene in coincidenza con la crescita della destra estrema, e meno pronta a fare concessioni”. A ciò si accompagnano i timori che Israele nutre per “l’identità ebraica dello stato”, alla luce dell’aumento della popolazione costituita dai cosiddetti “palestinesi del ‘48”. Cosicché il conflitto, in sostanza, viene ad essere il risultato dei timori riguardanti i cambiamenti demografici.

Un numero sempre maggiore di osservatori ritiene che Israele stia perdendo la “battaglia demografica” con i palestinesi, i quali sono destinati a diventare la maggioranza man mano che si riduce l’immigrazione ebraica verso Israele. Sergio Della Pergola, noto esperto di demografia israeliana, ritiene che la tendenza sia chiarissima: “ Entro la fine di questo decennio, gli ebrei diventeranno minoranza all’interno dei territori che comprendono Israele, la Cisgiordania e Gaza”. Egli ha aggiunto che “gli ebrei, oggi, rappresentano solo di poco la maggioranza, tra il mar Mediterraneo ed il fiume Giordano”. Basandosi esclusivamente sulle previsioni demografiche, Della Pergola – insieme ad alcune personalità politiche – sostiene che “non sarà possibile per Israele rimanere uno stato ebraico e democratico se continuerà ad occupare i territori palestinesi”. E’ utile ricordare che il movimento sionista aveva deciso, fin dalla sua nascita, che la “sciagura” dell’assimilazione degli ebrei all’interno di società estese, e le crisi economiche e le persecuzioni che li avevano travolti, erano originate dal fatto che essi si trovavano “in esilio”. L’unica soluzione era pertanto quella di abbandonare del tutto questo esilio. Tuttavia, dopo che sono trascorsi 60 anni dalla fondazione dello stato di Israele, i due terzi degli ebrei del mondo continuano a vivere al di fuori di questo stato.

La tendenza religiosa di cui abbiamo parlato all’inizio di questo articolo non riguarda soltanto Israele. Negli Stati Uniti, ad esempio, vi sono i neocon che continuano ad appellarsi all’eredità giudaico-cristiana. Da noi in Palestina vi sono Hamas e la Jihad Islamica. Vicino a noi, in Libano, vi è Hezbollah. Vi è poi il movimento dei Fratelli Musulmani, che è diffuso in tutto il mondo arabo. Altre manifestazioni di fondamentalismo religioso si trovano nella maggior parte dei paesi islamici. Nel resto del mondo vi sono numerosi movimenti religiosi, che molto spesso mescolano la religione alla politica. Consapevolmente o inconsapevolmente, gli Stati Uniti hanno dato nuovo impulso a questi orientamenti religiosi nell’era del presidente Bush, tentando di diffondere la cosiddetta tradizione giudaico-cristiana sotto le vesti dell’ideologia neocon, e nella persona stessa di George W. Bush, il “cristiano rinato”.

Il fondamentalismo religioso ed estremista in Israele si è trasformato in una barriera di divisione fra gli ebrei stessi (e rispetto ai palestinesi ed agli altri arabi), accompagnata da un perenne sensazione di pericolo, dopo che lo “stato” non è riuscito ad affermare un’idea “nazionale” basata sulla cittadinanza, sull’uguaglianza e sulla partecipazione, sulla democrazia e sul pluralismo (compreso il pluralismo religioso), in cui fossero messi al primo posto gli interessi nazionali ed economici condivisi, ed i legami culturali, storici e linguistici comuni, al fine di creare una “appartenenza” condivisa ed una “identità” condivisa. Di conseguenza, il fattore demografico è, e resterà, un elemento determinante in ogni soluzione di compromesso fra palestinesi e israeliani. Articolo correlato su Nuovediscussioni

Asaad Abdel Rahman è uno scrittore e politico palestinese; è membro del comitato esecutivo dell’OLP; è autore di numerosi libri sulla questione palestinese e sul movimento sionista

Traduzione: arabnews

Link: http://www.arabnews.it/2008/05/07/“dal-mare-al-fiume”-le-trasformazioni-demografiche-in-palestina/