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Iraq: le major petrolifere e il primo round di gare d’appalto

di Ornella Sangiovanni - 17/02/2009



E adesso tutti a preparare le offerte. Non è filtrato granché dall’incontro che si è appena tenuto a Istanbul: un “workshop” organizzato dal ministero iracheno del Petrolio – l’ultimo in vista del primo round di gare d’appalto -  che aveva come obiettivo principale quello di sciogliere i dubbi delle compagnie petrolifere internazionali e di rassicurarle, offrendo termini più vantaggiosi per i contratti che dovrebbero essere assegnati entro fine giugno.

In ballo ci sono otto giacimenti: sei di petrolio e due di gas. E che giacimenti: per quelli petroliferi in particolare, si calcola che l’offerta ammonti a un terzo delle riserve petrolifere irachene accertate – le terze al mondo, circa 115 miliardi di barili secondo le stime.

Eppure le compagnie internazionali preselezionate dal ministero del Petrolio di Baghdad per questo primo round di gare (tra loro c’è anche l’italiana ENI – e il gruppo Edison, che mira al gas) non sarebbero entusiaste: innanzitutto per il tipo di contratto, non molto appetibile – “contratti di servizio” hanno stabilito gli iracheni, di altro non se ne parla. E questo altro sono i cosiddetti Production Sharing Agreement (o similari): i preferiti dalle multinazionali, perché consentono di partecipare agli utili della produzione. Con i “contratti di servizio”, invece, niente: la compagnia straniera viene pagata per il lavoro, e basta.

Se a questo si aggiungono i rischi dell’operare in Iraq, e il crollo dei prezzi del greggio sui mercati internazionali, ecco che il tutto sembra molto meno allettante.

Le perplessità delle multinazionali

E vanno in questo senso le numerose perplessità raccolte nella tre giorni di Istanbul fra diversi alti dirigenti di grosse compagnie (che hanno sempre parlato – rigorosamente – a condizione di restare anonimi).

Perplessità che le nuove condizioni – più favorevoli - apparentemente concesse da Baghdad per invogliarle a partecipare alle gare avrebbero fugato solo in parte.

“Naturalmente si vuole l’accesso, ma non si vuole perdere la camicia”, è il commento colorito di un alto dirigente di una grossa major alla Reuters. “Sarà difficile giustificarlo all’amministratore delegato”, aggiunge.

E certo, i prezzi del petrolio sono crollati dai 147 dollari al barile dello scorso luglio a sotto i 40 dollari, e adesso “ogni dollaro conta, facciamo attenzione fino all’ultimo dollaro”, dice un altro pezzo da novanta di un’altra grande compagnia internazionale. “Direi che tutto il quadro iracheno è colorato dai 30 dollari al barile”, sottolinea il manager.

Poi c’è la convivenza forzata con le – tre – compagnie di Stato irachene: South Oil Co, North Oil Co., e la Maysan Oil Co., creata di recente, a seconda dell’ubicazione dei giacimenti. Che preoccupa le multinazionali straniere.

“Sarebbe una impresa enorme anche se le compagnie petrolifere lavorassero da sole. Ma in un matrimonio forzato con la compagnia di Stato, in una condizione di estremo degrado dell’industria, ci saranno pressioni enormi su tutto”, dice un loro dirigente.

Carota e bastone

Il ministero del Petrolio di Baghdad apparentemente sarebbe venuto incontro alle compagnie, “addolcendo” le condizioni contrattuali previste, anche se non è ancora chiaro che cosa significhi esattamente.

Sembra tuttavia, a detta dei dirigenti che erano a Istanbul, che le modifiche potrebbero comportare ritardi rispetto alla data prevista per l’assegnazione dei contratti: fine giugno.  

Il che potrebbe anche essere accettato da Baghdad “se siamo d’accordo sul fatto che un rinvio ci aiuterebbe a preparare le offerte”, ha detto un altro dirigente.

Ma assieme alla carota c’è anche il bastone: a Istanbul i funzionari del ministero del Petrolio sono stati chiarissimi – e altrettanto fermi - sul fatto che alle compagnie che non inizieranno a lavorare entro sei mesi dall’entrata in vigore dell’accordo verrà annullato il contratto.

Qui i ritardi non sono ammessi. “Non vogliamo che qualunque compagnia si metta semplicemente il contratto in tasca senza dargli attuazione”, ha detto ai giornalisti a Istanbul Abdul Mahdi al Amidi, vice Direttore Generale del dipartimento del ministero del Petrolio che si occupa dei contratti e delle licenze.

Amidi ha ribadito il calendario finora annunciato da Baghdad: presentazione delle offerte da parte delle compagnie entro fine maggio-inizi giugno, e assegnazione dei contratti entro fine giugno.

Se le scadenze verranno rispettate, questo significa che le compagnie che si aggiudicheranno questi primi otto contratti dovranno avere il personale sul campo entro febbraio 2010 – dato che i contratti, ha spiegato il funzionario iracheno, verranno convalidati entro due mesi dall’assegnazione.

E la situazione della sicurezza nel Paese non verrà considerata una giustificazione per i ritardi. Chi non risica non rosica.

Come finirà? Intanto le compagnie prequalificate adesso sono diventate 32, dopo che quattro si sono ritirate.

Russi e cinesi …

A ritirarsi invece non ci pensano proprio la russa LUKOIL – di cui una fonte ha espresso alla Reuters l’interesse sia per il giacimento di West Qurna (per cui la compagnia aveva già firmato un accordo ai tempi di Saddam Hussein, successivamente annullato) che per quello di Rumaila – e neanche la cinese CNPC, la prima compagnia petrolifera straniera a cui invece le nuove autorità di Baghdad hanno confermato il contratto concluso con il precedente regime – per il giacimento di Ahdab, nel sud, dove ha iniziato a lavorare a gennaio.

Non solo, la CNPC, sarebbe in trattative con compagnie statunitensi per presentare insieme le offerte.  Perché l’obiettivo dei cinesi è ambizioso: “La CNPC vorrebbe partecipare alle gare per tutti i giacimenti di petrolio e di gas in offerta”, dice alla Reuters una fonte della compagnia. Scusate se è poco.

… e italiani

E gli altri, gli italiani in particolare?

Se il Gruppo Edison, per bocca di Pietro Capanna, capo della Business Unit “Asset Idrocarburi”, dice apertamente di essere interessato a entrambi i giacimenti di gas in palio – quello di Akkas e quello di Mansuriyya, aggiunge però che è “troppo presto” per affermare che parteciperà alle gare.

Quanto all’ENI, “Possiamo mandare gente in missione, con notevoli misure di sicurezza, ma non a lavorare”, sottolinea Massimo Ignesti, “international security manager” della compagnia petrolifera italiana - che parla di una “valutazione costante della situazione”.

Insomma, chi vivrà vedrà.

Fonte: Reuters