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Il nuovo incubo afghano

di Ramzy Baroud - 28/02/2009

 

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Quando l’inviato statunitense in Afghanistan Richard Holbrooke incontrò il presidente "democraticamente" eletto Hamid Karzai a Kabul lo scorso 14 febbraio, probabilmente era appena venuto a conoscenza del significato storico del giorno successivo. Il 15 febbraio è il giorno della commemorazione della fine della sanguinosa campagna russa contro l’Afghanistan (agosto 1978 – febbraio 1989). 

Ma è poco probabile che Holbrooke afferri la reale dimensione di quella lezione storica. Sia egli che il nuovo presidente statunitense Barack Obama sono convinti che la componente che manca per vincere la guerra in Afghanistan sia un impegno maggiore, ad esempio raddoppiare le truppe, incrementare le spese militari, e, per conquistarsi la popolazione, investire di più nello sviluppo del Paese. Tale combinazione, pensa l’amministrazione americana, finirà per distogliere gli afghani dall’appoggiare i Talebani, le milizie tribali, i nazionalisti pashtun e altri gruppi. Questi ultimi conducono una lotta sotto forma di guerriglia in diverse zone del paese, soprattutto nel sud, per scalzare il governo Karzai e le forze d’occupazione straniere. Se, durante l’occupazione sovietica, Kabul veniva considerata un’ "oasi di calma" – secondo la descrizione di Jonathan Steele – è ora tutt’altro, sotto il regime degli Stati Uniti e dei loro alleati NATO, i quali hanno avuto moltissimo tempo, ben otto anni, per imporre il proprio controllo, ma non ci sono affatto riusciti. 

In effetti, proprio mentre Holbrooke si trovava nel palazzo presidenziale ben sorvegliato di Karzai, le mine anti-uomo detonavano in tutto il paese, a Khost, a Kandahar e altrove. Molti poliziotti sono rimasti uccisi, in aggiunta alle centinaia di soldati e poliziotti che muoiono ogni anno mentre cercano disperatamente di difendere i pochi simboli dell’autorità del governo centrale. Oltre allo scarso controllo su Kabul, e su qualche altro capoluogo di provincia, il governo centrale si sforza di conservare la poca autorità che gli rimane.

Ciò riduce gran parte del paese ad un campo di battaglia tra milizie afghane, considerate da un numero sempre maggiore di afghani come una forza di resistenza legittima contro un’occupazione illegittima: le forze degli USA e della NATO.

A differenza della tanto biasimata guerra in Iraq, quella in Afghanistan è stata generalmente vista negli Stati Uniti come una guerra morale, basata sulla premessa che, poiché al-Qaeda era responsabile degli attacchi terroristici dell’11 settembre, e poiché il gruppo era ospitato da un governo talebano altrettanto militante, entrambi dovevano pagare. Fino ad ora il popolo afghano ha pagato molto più di quanto ci si sarebbe aspettato. Migliaia di persone sono rimaste uccise, e un’intera generazione è stata devastata da una nuova guerra civile, e da una nuova occupazione militare straniera. 

Mentre il "consumatore" dei mezzi d’informazione di massa viene sommerso di commenti ufficiali e servizi circa le sfide che attendono gli Stati Uniti in Afghanistan allo scopo di assicurare la democrazia, la libertà e gli "interessi nazionali", i mass media continuano a ridurre i problemi in Afghanistan alla lotta contro la corruzione locale, alla progressiva affermazione dei diritti umani e alla difesa dell’uguaglianza fra uomini e donne. Poco si dice delle reali motivazioni della guerra: controllare il territorio dell’Eurasia.

Ma forse è opportuno notare che i tentativi disperati di controllare l’Afghanistan sono tristemente falliti nel passato. Se Holbrooke volesse scavare un po’ più a fondo nella storia, verrebbe a sapere che anche l’impero britannico, che all’epoca controllava l’India, è stato sconfitto in Afghanistan nel 1842, e di nuovo nel 1878. I leader sovietici contavano su una vittoria rapida, quando occuparono Kabul nel dicembre del 1979, mentre invece si fecero trascinare in una guerra sanguinosa che costò loro 15.000 morti (naturalmente le centinaia di migliaia di morti afghani spesso non vengono menzionati) e la sconfitta su tutta la linea.

Ma Holbrooke dovrebbe conoscere i dettagli degli eventi da ultimo ricordati, giacché in fin dei conti fu il suo paese a sostenere con armi e denaro le forze dei Mujahidin in Afghanistan, per paura che l’obiettivo ultimo dell’URSS durante la Guerra Fredda fosse quello di contrastare il predominio statunitense nella regione, e successivamente nel Medio Oriente. Viste le conseguenze disastrose che la caduta dello Shah iraniano aveva avuto per gli Stati Uniti sotto il profilo strategico, la prima superpotenza del mondo non poteva correre rischi. Ma, da allora, l’Afghanistan ha acquisito una importanza maggiore, passando dalla condizione di territorio strategico dal punto di vista politico, in virtù della prossimità alle potenze regionali, alla condizione di territorio strategico dal punto di visto energetico, ineludibile ai fini dello sfruttamento del petrolio del Mar Caspio.

"Non riesco a ricordare una regione che sia diventata zona strategica così rapidamente come la regione del Caspio", dichiarava Dick Cheney in un discorso ai magnati del petrolio nel 1998. Lo stesso anno, John Maresca, vicepresidente del dipartimento di relazioni internazionali della Unocal Corporation, parlando dinanzi ad una commissione parlamentare nel febbraio del 1998 in merito alle soluzioni per il trasferimento del petrolio proveniente dal bacino del Caspio (fra 110 e 243 miliardi di barili secondo le stime, per un valore di circa 4.000 miliardi di dollari), commentava: "(una) possibilità sarebbe quella di costruire un oleodotto partendo dall’Asia centrale verso il Sud, fino all’Oceano Indiano. Un possibile tragitto passerebbe per l’Iran, ma da questa opzione le società americane sono tagliate fuori per via delle sanzioni statunitensi. L’unico percorso alternativo è attraverso l’Afghanistan".

Il successo militare in Afghanistan semplicemente non è possibile, per innumerevoli ragioni di ordine logistico, storico e pratico. Ma il prezzo del fallimento sarebbe alto anch’esso, perlomeno per coloro che trarrebbero diretto beneficio dal soggiogamento di questa nazione ribelle.

Il presidente Bush e i suoi alleati non sono riusciti a trasformare l’Afghanistan in una democrazia di tipo statunitense, facile da sfruttare per scopi strategici ed economici. Nel premere per una soluzione militare in Afghanistan, Obama non solo sta avviando un altro esperimento imperialistico statunitense volto al fallimento, come in Iraq, ma insiste ad aggiungere il nome del suo paese a quelli della Gran Bretagna e della Russia le quali, pur avendo migliori possibilità di successo, furono sconfitte su tutta la linea.

"È come combattere contro la sabbia. Nessuna forza al mondo può aver la meglio sugli afghani", ha dichiarato all’agenzia Reuters un ex ufficiale russo, Oleg Kubanov. "È la loro terra sacra; a loro non importa se sei russo o americano. Per loro siamo tutti soldati".

Sarebbe molto sensato se Holbrooke dedicasse qualche ora della sua frenetica agenda a ripassare un po’ di storia afghana, perché ne ha certamente bisogno.

Ramzy Baroud è un giornalista palestinese di nazionalità americana; è direttore del Palestine Chronicle

Titolo originale:

A new Afghan nightmare

Link: www.arabnews.it/2009/02/25/il-nuovo-incubo-afghano/