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Gli espianti nella 'casa gialla'. I crimini di guerra dell'Uçk

di Nicola Sessa - 04/03/2009




Identificata prima vittima civile dell'Uçk: il procuratore serbo chiede la riapertura dell'inchiesta

Il procuratore del Tribunale serbo per i crimini di guerra Vladimir Vukcevic, ha chiesto all'Albania di riaprire le indagini sul traffico di organi, perpetrato tra il 1999 e il 2000 ai danni di circa 300 serbi del Kosovo che sarebbero spariti nel nulla, rapiti dai guerriglieri dell'Uçk e portati in Albania per essere sottoposti a espianti di organi.

Il primo riconoscimento. La richiesta di Vukcevic segue la raccolta di ulteriori prove e il rinvenimento di una fotografia. In essa Rade Dragovic ha riconosciuto il corpo di suo padre Predrag, scomparso il 22 giugno del 1999 dalla città di Pec. L'immagine scattata nel nord dell'Albania mostra Agim Ramadani, comandante della 128° brigata dell'Uçk, con ai suoi piedi Dragovic che indossa una tuta mimetica. Secondo il figlio Rade, il padre non avrebbe mai preso parte ad azioni militari e per questo motivo la procura ha desunto che l'uomo fosse stato vestito con abiti militari per nascondere l'uccisione di civili. "Non si può dire se dal corpo siano poi stati esportati degli organi vitali, ma ciò dimostra la pratica del rapimento e l'uccisione di civili da parte della guerriglia separatista", ha detto il procuratore in una conferenza stampa a Belgrado, a cui ha preso parte anche il figlio di Dragovic. "E' un momento importante - ha continuato Vukcevic - si tratta della prima identificazione di una vittima civile. Se la giustizia di Tirana non ci assisterà ci rivolgeremo agli organismi internazionali".

La casa gialla. Torna così al centro dell'attenzione l'orribile storia svelata nel libro "La Caccia" scritto dall'ex procuratore presso la Corte dell'Aja, la svizzera Carla Del Ponte, che nel 2004 aveva ordinato delle indagini in Albania, a Burrel, dove secondo diversi testimoni, in un casa gialla ai limiti della foresta, venivano compiute delle operazioni per portare via reni, fegato e cuore. Le testimonianze, raccolte da persone diverse e in momenti diversi raccontano della casa, isolata dal mondo, e di una grande stanza al piano terra dove un dottore di Pec "dal grande naso adunco" operava i "pazienti". Le mura della casa adesso sono bianche e chi ci vive dentro, la famiglia Katuci, ha negato a una troupe dello Spiegel ogni addebito. Tra il 4 e il 5 febbraio del 2004, la commissione investigativa dell'Unmik ha rilevato attraverso l'uso del 'luminol', diverse tracce di sangue, oltre che siringhe, bende, flaconi vuoti di medicinali usati nelle fasi preparatorie agli interventi chirurgici. Quando gli investigatori chiesero di riesumare dei cadaveri dai cimiteri della zona, la comunità di Burrel e di Rribe, il villaggio dove si trova la casa in questione, hanno opposto un fermo diniego. I sospetti di Carla Del Ponte erano che i serbi uccisi fossero stati sepolti con nomi albanesi.

Le tappe dell'inchiesta. La procura di Belgrado ha individuato altri tre siti dove i serbi venivano raccolti: Tropoje e Kukes, nel nord dell'Albania e una 'prigione privata' vicino al porto di Drac, a nord di Durazzo. La criminalità organizzata cui sarebbero stati legati, secondo un investigatore del pool Unmik, diverse figure chiave dell'Uçk e di leader politici kosovari, trasportava poi gli organi all'aeroporto di Tirana da dove venivano destinati in molte cliniche dell'Occidente. La procura di Tirana aveva già archiviato l'inchiesta poiché riteneva insufficienti le prove raccolte dalla commissione investigativa nel 2004 e difficilmente raccoglierà l'invito del procuratore Vukcevic. Anche il governo svizzero ordinò alla Del Ponte di non discutere del caso e il suo ex addetto stampa ha preso le distanze dai contenuti del libro sulla vicenda dichiarando che la procuratrice si era mossa solo sulla base di voci non supportate da prove sufficienti. A fine marzo, comunque, il Consiglio d'Europa invierà una commissione d'inchiesta capeggiata dal senatore svizzero Dick Marty.