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Durban

di Antonio Caracciolo - 06/03/2009

Ricevo da Forum Palestina per la «circolazione e sottoscrizione» un documento della società civile in vista della Conferenza della Sezione per i diritti umani in programma a Ginevra per il prossimo aprile. Questa conferenza è la prosecuzione della Conferenza di Durban che si tenne nei primi giorni del settembre 2001. Fu allora sabotata dagli stessi stati che hanno annunciato di voler sabotare anche questa volta la Conferenza ginevrina: Israele, che ha di che temere, è certa di essere condannata. È curioso come il mondo sionista grida con sdegno allo scandalo quando si vuol sabotare Israele, mentre Israele stesso non si fa scrupolo di sabotare perfino l’Onu. Veramente non si è fatto neppure scrupolo di bombardare i vessilli Onu e di rinchiudere dentro fetidi cessi i suoi massimi rappresentanti, come nel caso di Richard Falk. Ho seguito già dai primi mesi dello scorso anno la preparazione israeliana del sabotaggio. Si era incominciato con l’intimidire e diffamare il precedente Commissario Onu per i diritti umani, Louise Arbour, che in effetti non ha ripresentato la sua candidatura. Le è succeduta Navi Pillay, che non sembra disposta ad accettare intimidazioni. È un momento importante da seguire giorno per giorno con ansia. Gli Stati che hanno annunciato di non voler partecipare ne hanno ben motivo perché sono essi stessi correi e complici con Israele. Si comportano da contumaci che sanno di essere condannati. L’Italia con Frattini si mantiene sulla linea della «cupidigia di servilismo», già stigmatizzata da Vittorio Emanule Orlando. Esultano i loro manutengoli, che meritano eguale condanna. Se decidessero costoro di partecipare non farebbero altro che snaturare la Conferenza stessa, magari proponendo il genocidio come modello delle future relazioni internazionali targate modello Israele (vedi). Pubblico di seguito il testo che mi è pervenuto, lasciando l’Introduzione dei curatori della traduzione, emendata però del “gravissimo errore” che mi è già stato segnalato, dove a pag 10, punto 18 del pdf originale “non si tratta del parlamento palestinese ma di quello israeliano”. Non dispongo del testo originale e non posso verificare io stesso la traduzione e soprattutto la titolazione del documento che trovo un poco incongrua. Procederò a eventuali rettifiche quando e se avrò disponibile l’originale da cui è stata tratta la traduzione. Il mio editing comporterà non poco tempo, ma si tratta ormai per me di un modo di leggere un documento particolarmente interessante, che non è solo da leggere, ma da studiare, integrando il testo con tutte le conoscenze complementari che si rendono necessarie. In ultimo il testo sarà illustrato con foto del massacro di Gaza. Raccogliendo l’invito del Redattore del documento, che si ripubblica con nuovo editing, viene qui fatto uno studio aggiuntivo sul testo. Questo apporto vuole essere un contributo specifico del gruppo della società civile “Civium Libertas”.

Antonio Caracciolo
2 marzo 2009

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UNITI CONTRO APARTHEID, COLONIALISMO E OCCUPAZIONE DIGNITA’ E GIUSTIZIA PER IL POPOLO PALESTINESE

(Versione finale, Ottobre 2008)

Per la pubblica circolazione e sottoscrizione

Questo è un documento del comitato nazionale palestinese per il boicottaggio, disinvestimento ed il sanzionamento Palestinian Boycott, Divestment and Sanctions National Committee(BDN):

Council of National and Islamic Forces in Palestine; General Union of Palestinian Workers; Palestinian; General Federation of Trade Unions; Palestinian NGO Network (PNGO); Federation of Independent Trade Unions; Union of Arab Community Based Associations (ITTIJAH); Union of Palestinian Charitable Organizations; Palestine Right of Return Coalition; Occupied Palestine and Golan Heights Advocacy Initiative; General Union of Palestinian Women; Union of Palestinian Farmers; Grassroots Palestinian Anti Apartheid Wall Campaign (STW); Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel (PACBI); National Committee to Commemorate the Nakba; Civic Coalition for the Defense of Palestinian Rights in Jerusalem (CCDPRJ), and the Coalition for Jerusalem.

Per la sottoscrizione via e mail scrivere a:
www.bdsmovement.net


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RIASSUNTO INTRODUTTIVO

Questo documento è stilato per iniziativa della comunità civile ed è un’iniziativa del comitato nazionale palestinese della campagna BDS ed ha il fine di condividere la nostra analisi strategica apportando allo stesso tempo una serie raccomandazioni preliminari rivolte alle società civili nel mondo che le potranno dibattere e sottoscrivere. Speriamo dunque di ottenere un risultato effettivo durante la conferenza di Durban costruendo in questo modo nuove e più forti alleanze per la lotta all’interno e oltre questo forum delle Nazioni Unite.

La parte I di questo documento passa in rassegna la ‘questione palestinese’ così come è stata presentata nella dichiarazione di Durban e nel Programma d’azione adottato dalle Nazioni Unite in occasione della Conferenza Mondiale contro il Razzismo (WCAR) che si svolse a Durban, in Sud Africa. Concludiamo che la WCAR ha riconosciuto che il popolo palestinese è vittima di razzismo e discriminazione razziale rimanendo invece silente rispetto al modo in cui esso è stato oppresso dallo stato d’Israele. Non si è parlato nemmeno del modo in cui il razzismo e la discriminazione israeliani dovrebbero essere affrontati, né è stato previsto un seguito alla conferenza di Durban in quel proposito. Alcune delle conseguenze di tale omissione nel 2001 sono presentate in questa prima sezione.

La parte II del documento tratta invece i motivi per cui proporre un nuovo programma d’azione a Durban sarebbe rilevante per il popolo palestinese.

La prima sezione riassume le importanti scoperte di organizzazioni per i diritti umani e di esperti indipendenti, i quali si sono detti preoccupati per il modo in cui il regime israeliano1 sembra poter diventare un caso di discriminazione razziale istituzionalizzata c/o apartheid, integrando allo stesso modo le loro raccomandazioni al riguardo.

Nella seconda sezione si analizzerà invece la società palestinese negli sviluppi che l’hanno riguardata dal 2001 fino ad oggi. Si sostiene che a 60 anni dalla nakba del 1948 e dopo 41 1nni di occupazione israeliana della West Bank, includendo Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza (OPT), esiste l’urgente necessità di riesaminare la natura particolare del regime israeliano in relazione al popolo palestinese. Un esame attento mostrerà che si tratta di un regime d’apartheid, colonizzazione ed occupazione. Procederemo poi con il mostrare in che modo l’apartheid può essere applicato al particolare contesto del regime israeliano.

L’analisi del regime criminale israeliano è seguita da una breve analisi delle misure concrete intraprese dalla società civile e dalle NGO fin dal 2001 con lo scopo di mostrare e contrastare la natura oppressiva di tale regime. Il documento termina con un riassunto delle conclusioni più rilevanti.

Nell’allegato si presenterà una lista di raccomandazioni specifiche volte a tutte le parti in causa più rilevanti con lo scopo di avviare la formulazione di un programma d’azione effettivo che ponga fine all’apartheid israeliana, alla colonizzazione e all’occupazione attraverso gli sforzi collettivi, raccolti in tutto il mondo, per il conseguimento della giustizia e della dignità umana di tutti, quindi anche del popolo palestinese. Queste raccomandazioni sono proposte soggette ad ulteriori revisioni e discussioni.





Links Ufficiali: ONU Italia; Durban Review Conference 2009;
Sussidi: Dizionario critico del sionismo; Cronologia; Atti del Seminario romano del 24 gennaio 2009 sulla Guerra israelo-occidentale contro Gaza;

Sommario: Preambolo. – Parte I: Revisione e Valutazione. La questione palestinese nella Dichiarazione di di Durban e nel Programma d’Azione. – 1. Durban e contesto: 1.1 La Dichiarazione di Durban: Principi fondamentali; 1.2 Sulle vittime; 1.3 Lo schema di Durban nella sua applicazione al popolo palestinese. – 2. Organismi di monitoraggio conseguenti a Durban. Parte II. Allegato.

Indice analitico per paragrafi: 1. La dichiarazione di Durban. - 2. Sua struttura. - 3. Sottosezioni e Principi fondamentali. - 4.


UNITI CONTRO APARTHEID, COLONIALISMO E OCCUPAZIONE
DIGNITA’ E GIUSTIZIA PER IL POPOLO PALESTINESE

(Versione finale, Ottobre 2008)

Per la pubblica circolazione e sottoscrizione

Preambolo

La società civile composta da movimenti ed organizzazioni che condividono un uguale impegno nel perseguimento di libertà, giustizia ed uguaglianza; nella lotta contro razzismo, discriminazione razziale, xenophobia e tutte le intolleranze ad essi connesse in tutto il mondo sono firmatari di questo documento che raccoglie un programma d’azione per la nuova edizione della Conferenza di Durban. Condividiamo inoltre una concreta esperienza derivata dalla nostra lotta contro dominazione straniera, colonialismo, apartheid, schiavismo e i loro legami sono oggi manifesti in numerose regioni del mondo, insieme e di fianco agli Stati Uniti. Per questo, la società civile, le organizzazioni e i movimenti sociali:

– si dicono profondamente preoccupati rispetto al fatto che a partire dalla conferenza di Durban del 2001 la comunità internazionale includendo le Nazioni Unite ed i suoi organismi decisionali hanno fallito nella prevenzione di nuove guerre e nell’arrestare la proliferazione della dominazione straniera e dello sfruttamento di molte parti del mondo, mentre molte vittime di discriminazione razziale, genocidio e schiavismo, ancora non hanno accesso a giusti ed effettivi rimedi;

– consideriamo che l’impunità di Stati Uniti, Israele e dei loro alleati per gli atti di massiccia, sistematica e persistente infrazione dei diritti umani fondamentali e per la violazione della dignità di milioni di persone costituisce una grave minaccia alla pace e alla sicurezza nel mondo;

– riaffermiamo che il razzismo e la dominazione persistente ad opera di paesi stranieri stanno alla base delle sciagure che il popolo palestinese ha sofferto in decadi di colonialismo insediamenti, occupazione e istituzionalizzazione della discriminazione razziale;

– ripetiamo che i diritti inalienabili del popolo palestinese all’autodeterminazione, sovranità e al ritorno dei rifugiati costituiscono parte della ricompensa a cui essi hanno diritto e devono essere protetti e promossi in modo da restaurare la giustizia e la dignità della persona e il rispetto statale del diritto internazionale;

– ripetiamo che il razzismo in quanto causa radicale va affrontato e sradicato e che i diritti del popolo palestinese vanno protetti, in modo da assicurare che l’obbiettivo della Dichiarazione di Durban e del Programma d’Azione, quindi di ‘una pace giusta, comprensiva e durevole nella regione dove le persone possano convivere in sicurezza e godere dell’uguaglianza, della giustizia e dei diritti umani internazionalmente riconosciuti’, possano essere raggiunti in Medio Oriente;

– benvenuti all’invito delle Nazioni Unite per una revisione della Dichiarazione di Durban e del Programma d’Azione con lo scopo di organizzarli e migliorarli.


PARTE I
Revisione e Valutazione

La questione palestinese
nella Dichiarazione di Durban e nel Programma d’Azione.

1.
Durban e contesto

1. La dichiarazione di Durban e il programma d’azione adottato alla conferenza mondiale contro il razzismo del 2001 vogliono individuare il contesto teorico per la lotta al razzismo e riconoscono il razzismo e la discriminazione razziale in quanto cause principali nel protrarsi delle sofferenze sofferte dal popolo palestinese e hanno lo scopo di eliminare e rovesciare le loro conseguenze ottenendo una giusta completa e durevole soluzione al lungo conflitto coloniale che si svolge in Palestina.

2. La Dichiarazione di Durban si compone di un preambolo di 122 paragrafi nei quali gli stati e le Nazioni Unite concordano i principi guida nella lotta contro razzismo, discriminazione razziale, xenofobia ed intolleranza ad essi legata e lo fanno alla luce del diritto internazionale, includendo i trattati sui diritti umani, in particolare la convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (ICERD). Molti di questi principi riguardano direttamente lo stato d’Israele e il popolo Palestinese.

3. Questi principi generali si applicano in sottosezioni relative alle: risorse, cause, forme e manifestazioni di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e tutte le forme di discriminazione ad essi legate; vittime e misure di prevenzione, educazione e protezione volte alla loro eliminazione, rimedi effettivi e strategie per raggiungere l’uguaglianza più completa ed effettiva. Nella sottosezione riguardante le vittime, la dichiarazione di Durban identifica un numero di vittime esplicitamente vulnerabili includendo tra l’altro persone di origine africana ed asiatica, indigeni, immigranti, rifugiati, comunità religiose, donne, bambini e il popolo palestinese.

La Dichiarazione di Durban:
Principi fondamentali


I membri delle Nazioni Unite riaffermano i principi di uguaglianza nei diritti e di autodeterminazione dei popoli e sottolineano che gli stati hanno l’obbligo di proteggere tale uguaglianza in quanto riveste primaria importanza (preambolo);

Affermano che il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza ad essi legata costituisce una negazione del fine e dei principi della carta delle Nazioni Unite e sono di conseguenza allo stesso tempo ostacolo e gravissima violazione del pieno godimento di tutti i diritti umani; riconoscono che essi sono tra le cause primarie di molti conflitti interni ed internazionali, incluso di conflitti armati (preambolo, par. 20);

Riconoscono che il colonialismo ha condotto al razzismo, alla discriminazione razziale, alla xenofobia e all’intolleranza ad essi legata, sottolineano la sofferenza causata dal colonialismo e affermano che, qualunque e dovunque essa occorra, debba essere condannata ed impedito che si ripeta (par. 14, 99);

Riconoscono che non è permessa alcuna deroga al divieto di discriminazione razziale, genocidio, crimine di apartheid e schiavitù (preambolo); riconoscono che l’apartheid e il genocidio costituiscono crimini contro l’umanità e sono sorgenti primarie di sofferenza causata da queste azioni e affermano che in qualsiasi posto o momento essi accadono, debbano essere condannati e impedito che si ripetano (par. 15);

Si dicono preoccupati per il fatto che in alcuni stati strutture legali e politiche o istituzioni alcune delle quali persistono ancora oggi alimentano la discriminazione e l’esclusione del popolo indigeno (par. 22);

Condannano le piattaforme politiche, le organizzazioni, le legislazioni e le pratiche basate sul razzismo, la xenofobia e le dottrine che predicano la superiorità razziale e le discriminazioni ad essa legate; ricorda che la diffusione di tutte le idee basate sulla superiorità razziale e sull’odio devono essere punite per legge in accordo con i principi sottolineati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e dall’ICERD (par. 85, 87);

Afferma con forza che le vittime di violazioni dei diritti umani derivanti da forme di razzismo, discriminazione razziale e xenofobia così come da tutte le intolleranze ad essi legate devono poter essere protetti e all’occorrenza fare ricorso contro l’ingiustizia. Ugualmente dovranno essere previsti possibili rimedi, includendo un giusto ed adeguato risarcimento per ogni danno subito conseguentemente a tale discriminazione (par. 104);

Affermano di essere consapevoli degli obblighi morali che alcuni stati hanno nei confronti delle vittime di schiavismo, apartheid, colonialismo e genocidio e richiamano questi stati a prendere appropriate ed effettive misure per fermare ed eliminare le rimanenti conseguenze di queste pratiche (par. 102); richiamano tutti gli stati coinvolti e invitano la comunità internazionale ad onorare la memoria di queste vittime (par. 99, 106); sottolineano il fatto che ricordare ed insegnare la verità dei fatti e della storia, le cause, la natura e le conseguenze dei crimini passati e delle ingiustizie sono elementi essenziali alla riconciliazione internazionale e alla creazione di società basate su giustizia, uguaglianza e solidarietà (par. 98, 106).

Sulle vittime:

Popoli indigeni: I membri delle Nazioni Unite riconoscono che sono stati vittime di discriminazione nei secoli, in particolare in relazione alla loro terra; accoglie gli sforzi per una Dichiarazione dei Diritti dei popoli Indigeni e per la creazione di un Forum permanente sulle questioni relative ai popoli indigeni. Incoraggia gli stati, quando sia possibile, ad assicurare che i popoli indigeni siano capaci di salvaguardare la loro proprietà sulle terre e sulle risorse naturali (par. 39, 42, 43, 44);

Popoli di origine africana: i membri delle Nazioni Unite riconoscono che sono stati per secoli vittime di razzismo, discriminazione razziale e schiavismo e storicamente sono stati privati dei loro diritti, e affermano che devono essere trattati giustamente e nel rispetto della loro dignità, impedendo che soffrano discriminazioni di qualsiasi tipo [...] (par. 34);

Rifugiati: I membri delle Nazioni Unite si dicono preoccupati per il fatto che, insieme ad altri fattori, razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranze ad essi legate contribuiscono alla dislocazione forzata e alla rimozione delle persone dal loro paese d’origine. Nella fattispecie si tratta dei rifugiati e delle persone che fanno domanda d’asilo politico’ (par. 25); e ‘sottolineano l’urgenza di indirizzare le cause principali ditale dislocazione così come la necessità di individuare soluzioni durevoli per i rifugiati e le persone dislocate: in particolare l’esecuzione del loro volontario ritorno in patria in sicurezza e in dignità, il rinsediamento in paesi terzi e l’integrazione locale, qualora essi appaiano possibili ed appropriati’ (par. 54).

4. Sebbene il popolo palestinese sia esplicitamente identificato come vittima di razzismo e discriminazione razziale nella Dichiarazione di Durban2 questo schema teorico ed i suoi principi non vennero applicati a questo gruppo di vittime: razzismo e discriminazione razziale non sono esplicitamente riconosciuti come sorgente o causa delle sofferenze del popolo palestinese, e non è stata fatta nessuna raccomandazione rispetto al modo in cui rispondere ad esse. La dichiarazione di Durban ripropone invece nel linguaggio da sempre utilizzato nelle risoluzioni delle Nazioni Unite quelli che sono i diritti dei palestinesi ed il processo di pace.

5. Il programma d’azione di Durban (219 paragrafi) indirizza le radici del razzismo, della discriminazione razziale e della xenofobia e delle relative intolleranze che ad essi sono legate dichiarando ciò che i governi e le Nazioni Unite sono dovuti a fare o quel che essa si aspetta essi facciano al fine di combattere questi fenomeni basandosi sui principi descritti nella dichiarazione. Le raccomandazioni operative sono fornite rispetto a questioni di ordine generale, meccanismi di prevenzione, effettivi rimedi e strategie volti ad ottenere l’uguaglianza piena ed effettiva, includendo, per esempio: raccomandazioni per esaminare e riformare il sistema educativo e la sanità pubblici; la riforma delle costituzioni, le leggi e sistema giudiziario; 1’ alleviamento della povertà; buon governo, ed altri. Vengono poi specificati i ruoli di svariati autori, includendo governi, parlamenti, partiti politici e il settore del business privato, dei media e della società civile.

6. Le raccomandazioni operative incluse nel Programma d’azione di Durban sono state considerate largamente inefficaci dalla maggioranza delle vittime di importanti violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. Queste raccomandazioni sono infatti generalmente vaghe ed evitano di nominare gli Stati e le cause coinvolti.

7. Per quanto riguarda il popolo palestinese in quanto vittima, il programma d’azione di Durban risulta particolarmente non significativo poiché non viene fatto nessun riferimento alle sorgenti del razzismo e della discriminazione razziale contro di esso, non viene inoltre individuata nessuna misura concreta volta a fermare ed eliminare le loro conseguenze.

Lo schema di Durban nella sua applicazione al popolo palestinese

Nella dichiarazione (sottosezione sulle vittime).

Gli stati coinvolti esprimono la propria preoccupazione riguardo alle sofferenze del popolo palestinese che si trova sotto occupazione straniera; riconoscono il suo inalienabile diritto all’autodeterminazione e a stabilire uno stato indipendente, così come ‘il diritto alla sicurezza di tuffi gli stati nella regione, incluso Israele, e richiamano tuffi gli stati a sostenere il processo di pace conducendolo verso una veloce conclusione’ (par. 63);

Fanno appello per una ‘giusta, esauriente e durevole pace nella regione grazie alla quale tutte le persone potranno convivere nella condivisione dell’uguaglianza, della sicurezza, della giustizia e dei diritti umani internazionalmente riconosciuti’ (par. 64);

Riconoscono il diritto dei rifugiati a ritornare volontariamente alle loro case e proprietà in dignità e sicurezza, e richiamano tutti gli stati a facilitarli nell’adempimento ditale ritorno (par. 65);

Nel programma d’azione, l’unica raccomandazione operativa è inclusa nella sezione III (misure per la prevenzione, l’educazione e la protezione volte all’ eliminazione di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia ed intolleranza ad essi legata a livello nazionale, regionale ed internazionale):

Il programma chiede che ‘si ponga fine alla violenza e rapidamente si ridia inizio alle negoziazioni, nel rispetto dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario, così come del principio di autodeterminazione dei popoli nella volontà di porre termine a tutte le sofferenze, quindi permettendo ad Israele e ai palestinesi di concordare un processo di pace e prosperare nella crescita reciproca in sicurezza e in libertà’ (par. 151).

2.
Organismi di monitoraggio conseguenti a Durban

8. Il programma d’azione di Durban è sostanzialmente sprovvisto di sostanziali raccomandazioni operative e non prevede organismi di monitoraggio volti a fermare e a eliminare il razzismo e la discriminazione razziale contro il popolo palestinese. Le iniziative diplomatiche di pace degli stati e delle Nazioni Unite hanno ignorato o rimosso il ruolo che hanno razzismo e discriminazione razziale operati dallo stato d’Israele come causa e sorgente del lungo conflitto.

3.
Conseguenze del mancato riconoscimento di razzismo e discriminazione razziale nell’odierna diplomazia in Medio Oriente.

Lo stato D’Israele

9. A partire dall’adozione della Dichiarazione di Durban e dal programma d’azione 2001, lo stato d’Israele ha aggredito militarmente diversi stati nella regione (Iraq, Siria, Iran) e si è adoperato in un’ ulteriore guerra d’aggressione (Libano 2006).Nei Territori Palestinesi occupati nel 1967 (OPT) Israele ha unilateralmente cancellato la maggior parte delle disposizioni stabilite durante gli Accordi di Oslo che consentivano un limitato auto governo palestinese e lo ha fatto sostenendo un’ aggressiva campagna militare. Fin dal 2007 l’intera striscia di Gaza è sotto occupazione: quest’ultima è stata universalmente riconosciuta come una forma di punizione estrema e collettiva della popolazione civile venendo definita ‘preludio al genocidio’ da un esperto indipendente3.

10. A sessant’anni dalla Nakba palestinese del 1948, il primo trasferimento massiccio che distrusse la storica nazione della Palestina, lo stato d’Israele ha continuato a impedire il ritorno dei rifugiati palestinesi con l’uso della forza, del diritto e delle delibere della corte. E’ in questo contesto per esempio che venne approvata la legge per l’Assicurazione della prevenzione della legge sul diritto al ritorno, passata nel 2001 e nel 2003, la suprema corte ha capovolto le sue precedenti decisioni che permettevano il ritorno dei palestinesi originari del villaggio di Iqrit, internamente dislocati e cittadini di Israele, partendo dal presupposto che questo avrebbe potuto costituire un precedente legale per milioni di rifugiati palestinesi le cui rivendicazioni dovranno essere affrontate e risolte durante i futuri negoziati politici4.

11. Fino al 2008 lo stato d’Israele ha confiscato o annesso di fatto più di 3,350 km2 (di un totale di 5,860 km2) di terra palestinese nella West Bank al fine di portare a termine la colonizzazione ebraica5 e quindi il controllo di tutta la Palestina storica (Israele e oPT). Israele continua a cambiare la composizione demografica di tutto il territorio al beneficio esclusivo della popolazione ebraica. Lo fa attraverso politiche e pratiche che sono in flagrante violazione del diritto internazionale e delle norme del diritto pubblico.

12. All’interno di Israele i cittadini palestinesi rimangono discriminati in tutti gli aspetti della loro vita6. L’espropriazione della terra di proprietà palestinese continua attraverso politiche di ‘sviluppo’ che sono discriminatorie nei confronti del popolo palestinese nell’assegnazione delle risorse, incluso nei piani per aumentare la popolazione ebraica nella Naqb (Negev) e in Galilea. In particolare le popolazioni nomadi palestinesi (I beduini) e gli abitanti delle cosiddette ‘città miste’: quelle città abitate da ebrei ed un consistente numero di palestinesi autoctoni.

13. L’esecuzione e lo sviluppo di piani ad hoc è accompagnata dalla segregazione e demolizione di case. All’incirca 3.000 palestinesi cittadini della cittadina storica di Jaffa, per esempio, hanno recentemente ricevuto ordine di demolizione, perchè considerati occupanti abusivi nelle loro proprie abitazioni7. Più di 100.000 beduini, cittadini palestinesi dello stato d’Israele, abitano in quelli che vengono denominati ‘villaggi non riconosciuti’, sprovvisti di accesso ai servizi più elementari come acqua, elettricità, cliniche per la salute e l’educazione pubblica e non possono normalmente ottenere pemiessi di edificazione. Recenti piani dello stato d’Israele mirano a raccogliere i beduini residenti nella Naqab in sette ‘aree di concentrazione (rikuzim in ebraico) confiscando quel che rimane della loro terra; decine di migliaia di case e proprietà dei beduini hanno ricevuto l’ordine di demolizione8.

14. Nei Territori Palestinesi Occupati: l’attività coloniale israeliana continua implacabile nella West Bank. Le aree occupate particolarmente colpite sono: Gerusalemme Est, la valle di Giordania e le aree rurali, in particolare quelle vicine al muro9. Più di 600 chek points israeliani impediscono la libertà di movimento dei palestinesi e migliaia di piani per la costruzione di unità abitative esclusive per ebrei sono stati annunciati a partire dal summit di Annapolis10. Nel marzo 2008 era già partita la costruzione in oltre 100 colonie (insediamenti abitativi dove vivono ebrei esclusivamente) e in 58 ‘avamposti’. Nella sola area di Gerusalemme Est occupata la colonizzazione procede sotto la forma di piani di sviluppo discriminatori11, nuovi piani sono stati annunciati per la costruzione di 13.000 unità abitative all’incirca a partire dal dicembre 2007.

15. Nei territori Palestinesi Occupati, la demolizione di case palestinesi e la segregazione delle comunità palestinesi sono servite alla colonizzazione ebraica come misure punitive contro la popolazione civile occupata: Israele ha demolito all’incirca 19.000 case nei Territori Palestinesi Occupati tra il 1967 e il 200612. Tra il gennaio 2000 e il settembre 2007 più di 1.600 edifici palestinesi sono stati demoliti nell’area C/West Bank, dove oltre 3.000 case sono a rischio di demolizione13. Nella Striscia di Gaza più di 4000 case sono state demolite durante operazioni militari tra il 2000 e il 200414. A partire dalla metà del 2007 approssimativamente 1.5 milioni di cittadini palestinesi della Striscia Occupata di Gaza sono stati fisicamente, economicamente, socialmente e politicamente segregati a seguito dell’assedio perpetrato da Israele.

16. Nuova ondata di trasferimento forzato di palestinesi in Israele e nei Territori Occupati. Si stima che più di 115.000 palestinesi siano stati internamente dislocati durante queste ultime quattro decadi di occupazione israeliana dei Territori Palestinesi Occupati15, mentre 266,442 persone appartenenti a 78 comunità oggi corrono il rischio di essere trasferite16. Nella Striscia di Gaza le operazioni militari israeliane hanno causato il temporaneo dislocamento forzato di oltre 50.000 persone solamente tra il 2000 e il 200417.

17. Le corti israeliane privano le vittime palestinesi dei dovuti processi e dei rimedi effettivi. Omicidi extra-giudiziari (omicidi premeditati) di palestinesi ricercati dall’intelligence israeliana e di testimoni civili sono stati sanzionati dalla Corte Suprema18. Il tasso di incarcerazioni tra i cittadini palestinesi che vivono nei Territori Palestinesi Occupati è tra i più alti nel mondo: si stima che più del 40 per cento degli uomini palestinesi nei oPT siano stati incarcerati19. 8.403 palestinesi, tra loro donne e 293 bambini e 649 cosiddetti ‘detenuti amministrativi’ sono correntemente detenuti senza regolare processo ed esposti a tortura e ad altre forme di maltrattamento in centri di detenzione e in prigioni palestinesi20. Numerosi casi in cui soldati israeliani o coloni hanno ucciso o ferito civili palestinesi nei Territori Occupati nell’impunità sono stati documentati da organizzazioni21 che trattano di diritti umani. La commissione ufficiale d’inchiesta sull’uccisione di 13 cittadini palestinesi ad opera delle forze di polizia israeliane durante una manifestazione nel 2000 (on commission) ha mancato nel punire i responsabili dell’accaduto.

18. A partire dal 2001 il parlamento israeliano ha approvato nuove leggi discriminatorie e ammendato leggi esistenti con il fine di limitare l’accesso palestinese ai diritti fondamentali e a possibili rimedi. Esempi ditali leggi sono la legge per l’ingresso e la cittadinanza in Israele (Citizenship and Entry into Israel Act) del 2003 che è una legge temporanea, la quale nega alla maggior parte dei palestinesi residenti nei Territori Occupati il diritto di vivere in Israele con le loro spose che sono cittadine dello stato d’Israele; e gli ammendamenti risalenti al 2005 e al 2006 della legge sulle ingiustizie civili (Civil wrongs) e le responsabilità dello stato. Attraverso questi ammendamenti si è limitata la possibilità dei palestinesi residenti nei Territori Occupati di ricorrere per vie legali alle ingiustizie subite dai soldati israeliani.

19. Lo stato d’Israele non ha riconosciuto né messo in pratica le opinioni ed i consigli forniti nel 2004 dalla Corte Internazionale di Giustizia rispetto al muro e alle condizioni ad esso associate nei Territori Occupati e continua a sfidare la competenza della corte internazionale di giustizia (ICI) in questo campo. Israele dichiara che nel contesto specifico di un’occupazione che si protrae ormai da 41 anni non esistono obblighi rispetto ad essa che derivino dalla Quarta Convenzione di Ginevra e dal diritto internazionale umanitario. Queste posizioni, per quanto inconsistenti con gli standard internazionali, sono state largamente sostenute dalla Corte Suprema Israeliana.

20. Lo stato d’Israele afferma che la situazione d’illegalità presente nei Territori Occupati risulta innanzitutto da necessarie misure militari che lo stato intraprende per difendere la propria sicurezza, non trattandosi di aggressione militare nei confronti dei palestinesi e di altri individui di origine araba. Dichiara inoltre che ciò è giustificato dalla necessità di combattere ‘il terrorismo islamico’. Lo stato d’Israele e le agenzie ad esso affiliate (per esempio L’organizzazione Mondiale Sionista, l’Agenzia Ebraica ed il Fondo Nazionale ebraico World Zionist Organization, Jewish Agency, Jewish National Fund) negano che razzismo e discriminazione razziale siano la causa e la conseguenza di questo lungo conflitto con il popolo palestinese minando alla base il dibattito che da ciò scaturirebbe e rivendicando che tale dibattito costituirebbe una forma di antisemitismo (vedi sezione III/B, parte sull’antisemitismo).

La comunità internazionale

21. Condividendo il piano razzista basato sulla giustificazione della dominazione straniera attraverso la propagazione di sentimenti islamofobici gli Stati Uniti con i loro alleati hanno sostenuto la politica d’aggressione israeliana. Gli stati occidentali e la comunità diplomatica internazionale hanno negato la legittimità degli argomenti della comunità palestinese a proposito del suo diritto di resistere al colonialismo e all’occupazione straniera, diritto basato su tutta una serie di risoluzioni dell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La comunità internazionale rappresentata dal ‘quartetto’ (Stati Uniti, Comunità Europea, Federazione Russa e Segreteria Generale delle Nazioni Unite) hanno fallito nell’obbligo di intraprendere misure che avrebbero assicurato il rispetto e l’osservanza da parte di Israele del diritto internazionale, delle risoluzioni delle Nazioni Unite e dell’opinione della Corte Internazionale di Giustizia. Nessuna alta parte sottoscrivente alla Quarta Convenzione di Ginevra ha intrapreso misure, incluse quelle previste dalla convenzione, volte a pone rimedio alle continue e gravi violazioni di Israele (art. 147).

22. La comunità internazionale, innanzitutto i funzionari pubblici occidentali e i mezzi di comunicazione di massa, hanno piuttosto largamente adottato il cosiddetto approccio ‘equilibrato’ laddove sistematiche e massicce violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario (IM) commesse da Israele sono attentamente bilanciate con dichiarazioni diplomatiche riguardanti le violazioni palestinesi del IHL commesse nel contesto della resistenza, come se singoli attori che non rappresentano lo stato potessero essere le giuste controparti in un conflitto armato tra stati, e razzismo, colonialismo, dominazione straniera non lo fossero. La comunità diplomatica ha dunque protetto Israele dalla condanna del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovuta alle sue pratiche illegali: essa ha dunque una parte di responsabilità nelle conseguenze che ne derivano.

23. Gli stati occidentali, in particolare il Nord America e l’Europa, hanno premiato la disobbedienza israeliana dei suoi obblighi legali aumentando la cooperazione diplomatica, economica e militare con lo stato d’Israele. Allo stesso tempo nel 2006 la comunità internazionale imponeva sanzioni diplomatiche ed economiche durissime contro il popolo palestinese al fine di minare il risultato delle elezioni democratiche palestinesi nei Territori Occupati. Questi stati, così come il loro settore privato, sono complici nel mantenimento dell’ attuale situazione illegale e colonialista così come del razzismo che essi comportano e dell’impunità dello stato d’Israele e dei suoi agenti.

24. La comunità internazionale non ha dunque protetto la popolazione palestinese ed ha invece minato i suoi inalienabili diritti, inclusi l’autodeterminazione ed il ritorno dei rifugiati. Ha pertanto contribuito ad una crisi umanitaria senza precenti nei Territori Occupati e ha minato la prospettiva della diplomazia in Medio Oriente di individuare un chiaro e dichiarato obbiettivo: ad esempio risolvere il conflitto con la creazione di due stati indipendenti in accordo con il diritto internazionale. La comunità internazionale ha poi ulteriormente mancato di combattere razzismo e discriminazione razziale così come era previsto nella dichiarazione di Durban e nel suo programma d’azione.


PARTE II

1.
Il ruolo delle Nazioni Unite, degli Organismi di tutela dei Diritti Umani e degli Esperti Indipendenti.

25. Nonostante il fatto che nessun meccanismo di tutela ed azione della conferenza di Durban è stato reso disponibile, l’assemblea generale delle Nazioni Unite, Organismi di tutela dei diritti Umani ed esperti indipendenti hanno fornito importanti contributi all’esecuzione in Israele dei principi stabiliti nella Dichiarazione di Durban e nel suo relativo programma d’azione nella tutela del popolo palestinese. Lo hanno fatto in diverse maniere:

(i) richiamando l’attenzione sulla sistematica discriminazione razziale perseguita da Israele nei confronti del popolo palestinese, includendo segregazione ed apartheid; (ii) individuando risorse, cause, forme e manifestazioni contemporanee di questo regime; e, (iii) raccomandando e prendendo misure pratiche al fine di fermare e capovolgere le sue manifestazioni 22.

Discriminazione Razziale istituzionalizzata:

La Convenzione sull’eliminazione della discriminazione razziale (CERD) definisce esaurientemente la discriminazione razziale come ‘ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza che si basi su razza, colore, discendenza origine nazionale ed etnica che ha lo scopo o l’effetto di annullare o danneggiare il riconoscimento o godimento di un paritario esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel campo politico, economico, sociale culturale o in qualsiasi altro ambito della vita pubblica.’ Si parla di discriminazione razziale istituzionalizzata nei casi in cui si possa dimostrare che esiste un modello ricorrente e massiccio in particolare nella segregazione secondo appartenenza razziale, come risulta dalle leggi, politiche o pratiche attuate nel tempo. La discriminazione razziale istituzionalizzata è proibita e può diventare apartheid. L’articolo 3 della convenzione richiede agli stati membri di condannare la segregazione razziale e l’apartheid intraprendendo misure atte a prevenirle, proibirle, ed eliminarle dal territorio.

26. La natura del regime Israeliano discriminazione razziale istituzionalizzata e apartheid

– Tutti i trattati di comitati sui diritti umani e gli inviati speciali delle Nazioni Unite si sono detti preoccupati perché Israele sistematicamente evita di mettere in pratica i trattati sui diritti umani nei Territori Palestinesi occupati che sono sotto il suo controllo effettivo23.
– Alcuni, tra cui il comitato sui diritti del bambino (CRC) e il comitato contro la tortura (CAT) si sono detti preoccupati per la diffusione della tortura e per la differenza con cui si definisce il/la bambino/a in Israele (persone al di sotto dei 18 anni) e nei Territori Occupati (persone al di sotto dei 16 anni) nella legislazione israeliana24.
– Molti di loro, incluso il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (CESCR), il CERD l’inviato speciale delle Nazioni Unite al diritto per alloggi adeguati e l’inviato speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo si sono detti preoccupati per il fatto che leggi, politiche e pratiche israeliane in Israele e nei Territori Occupati influenzano l’accesso palestinese ai diritti fondamentali: all’abitazione, alla terra e all’acqua. Questo sembra potersi ascrivere ad una pratica sistematica di discriminazione razziale25.
– Il comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) nel suo esame del 2007 riguardo allo stato d’Israele ripete per cinque volte la propria preoccupazione rispetto alla violazione dell’Articolo 3 della convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale nella quale si condanna la segregazione razziale e l’apartheid e si raccomanda di intraprendere misure atte alla prevenzione, proibizione ed eliminazione ditali pratiche26.
– A partire dal 2005 i reportages dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati hanno allertato le Nazioni Unite per il fatto che il protrarsi dell’occupazione militare di Israele non è una forma di occupazione ‘normale’ (legale), ad esempio: una misura ad interim volta a mantenere l’ordine di un territorio in seguito ad un conflitto armato, ma piuttosto un regime di una potenza colonizzatrice sotto le spoglie d’occupazione che include le peggiori caratteristiche di un regime d’apartheid: frammentazione del territorio, politica di detenzione massiccia, sistema di strade separate e permessi che restringe la libertà di movimento sulla base dell’ appartenenza nazionale, religiosa ed etnica27.

27. Radici, cause e manifestazioni odierne del regime di discriminazione razziale israeliano:
– Il CESCR (1998)28 ha notato con grave preoccupazione il fatto che ‘la Legge sullo Status di cittadinanza del 1952 autorizza l’Organizzazione mondiale Sionista e l’Agenzia Ebraica ed i loro assistenti, incluso il Fondo Nazionale Ebraico, a controllare la maggior parte della terra in Israele, in quanto queste tre organizzazioni hanno lo scopo di beneficiare esclusivamente la popolazione ebraica’. Il comitato ha espresso l’opinione secondo cui la sistematica e diffusa confisca della terra e delle proprietà palestinesi da parte dello stato e il loro trasferimento alle già menzionate agenzie costituisce una forma di discriminazione istituzionalizzata in quanto tali agenzie negano per definizione l’uso di queste proprietà ai non ebrei. Queste pratiche risultano dunque essere una violazione degli obblighi che vincolano Israele alla Convenzione’ (par. 11). Il CESR ha inoltre notato con preoccupazione ‘che la legge sul ritorno, che permette ad ogni persona ebrea di emigrare in Israele da qualsiasi parte del mondo potendo automaticamente godere del diritto di residenza ottenendo la cittadinanza israeliana, è discriminatoria nei confronti dei palestinesi della diaspora ai quali il governo di Israele ha imposto condizioni restrittive che rendono pressoché impossibile il ritorno alla loro patria d’origine’ (par. 13). Nel rapporto periodico che il CESR fa a proposito di Israele nel 2003 si nota con rammarico che le precedenti osservazioni non hanno avuto riscontro e le questioni coinvolte rimangono irrisolte29. Il CESR aggiunge inoltre che ‘era particolarmente preoccupato per la questione della ‘nazionalità ebraica’ che è oggetto di trattamento preferenziale nella legge israeliana sul ritorno. Essa garantisce infatti la cittadinanza automatica e benefici finanziari da parte del governo, in pratica trattando in maniera discriminatoria le persone che non sono ebree, in particolare i rifugiati palestinesi’ (par. 18).
–Nel 2007, il CERD30 ha definito segregazione la pratica israeliana di mantenere ‘settori arabi ed ebraici’ nell’ educazione, nella sanità e nelle strutture abitative insieme alla mancanza di accesso paritario allo stato e ai servizi pubblici dei cittadini palestinesi di Israele (all’interno delle linee di demarcazione decise in seguito all’armistizio del 1949; par. 22). Nei confronti dei Territori Palestinesi occupati il CERD nota con preoccupazione l’applicazione di leggi e pratiche differenziate per israeliani e palestinesi (par. 35). In particolare si è detto preoccupato per le pratiche israeliane: includendo la segregazione che in tutte le sue forme è conseguente al muro ed al regime ad esso associato, l’espansione degli insediamenti ebraici e la severa restrizione della libertà di movimento dei palestinesi, così come la distribuzione disuguale delle risorse e dei servizi, e infine, la demolizione di case, ascrivibile alla discriminazione razziale, che altera la composizione demografica del paese. (par. 14, 32 35).

28. Raccomandazioni e misure pratiche intraprese al fine di fermare ed eliminare le manifestazioni del regime israeliano negli aspetti di apartheid/discriminazione istituzionalizzata, colonizzazione ed occupazione armata includono immancabilmente allo stesso tempo raccomandazioni ad Israele di rispettare i suoi doveri di fronte al diritto internazionale e raccomandazioni agli stati delle Nazioni Unite di astenersi dall’approvare misure che sostengano la corrente situazione di illegalità agendo piuttosto perché Israele osservi il diritto internazionale:

– Su iniziativa dell’ Assemblea Generale la Corte Internazionale di Giustizia ha redatto nel 2004 le Note di raccomandazione sulle conseguenze legali della costruzione del muro israeliano e della situazione che ne è derivata nei Territori Occupati. La CU ha riconosciuto l’applicabilità dei diritti umani e di tutte le norme del diritto umanitario internazionale nei Territori Occupati, chiedendo ad Israele di smantellare il muro illegale e le sue conseguenti infrastrutture, assicurando il completo risarcimento per i danni subiti alle vittime e si è raccomandato che gli stati si astengano da misure che aiutino a mantenere la corrente situazione di illegalità. Successive risoluzioni dell’Assemblea Generale hanno poi dato vita ad un registro dei danni compilato dalle Nazioni Unite (UNR0D) il quale non è ancora stato reso operativo in questa seconda metà del 2008.

– Nel 2007, il CERD ha richiamato Israele perché facilitasse il ritorno dei rifugiati palestinesi alla loro terra e alle loro proprietà e mettesse in pratica il diritto all’uguaglianza di tutti i cittadini come norma generale fondamentale del diritto civile (tale diritto all’uguaglianza infatti non è oggi riconosciuto in Israele). Il CERD si è poi detto preoccupato per il fatto che istituzioni para statali israeliane quali il Fondo Nazionale Ebraico, l’Organizzazione Mondiale Sionista e l’Amministrazione per la Terra Israeliana stanno gestendo terra, abitazioni e servizi in maniera discriminatoria a vantaggio della popolazione ebraica e hanno richiamato Israele perché si assicuri che tali organismi rispettino il principio di non discriminazione (par. 1621). Il CERD si è inoltre raccomandato affinché la definizione di Israele come stato ebraico non diventi in nessun modo motivo di discriminazione sistematica basata su criteri legati a razza, colore, discendenza, origine etnica o nazionale (par. 17). Raccomandazioni simili sono state pubblicate dal CESCR a partire dal 1998.

– Fin dal 2006 l’inviato speciale per i diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati ha ricordato alla comunità internazionale ‘l’inutilità delle raccomandazioni al governo di Israele perché adempia al rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani’ e che ‘ i membri delle Nazioni Unite hanno l’obbligo legale di proteggere il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e prendere misure allo scopo di assicurarsi che Israele rispetti il diritto internazionale’. Si è poi fatto appello agli stati occidentali in particolare, alleati d’Israele, perché prendessero misure ‘volte alla salvaguardia della credibilità degli organismi di tutela dei diritti umani internazionali’. L’inviato speciale ha deplorato il fatto che l’impegno internazionale di pone fine ad occupazione, colonizzazione ed apartheid israeliane sembrasse dimenticato e che la comunità internazionale fosse divisa tra Occidente e resto del mondo. Ha richiesto alla Segreteria Generale delle Nazioni Unite di indietreggiare dal quartetto che ha di fatto imposto sanzioni economiche al popolo palestinese per avere, con mezzi democratici, eletto un governo che l’Occidente ed Israele ritenevano inaccettabile. Ha inoltre richiesto una seconda opinione della Corte Internazionale di Giustizia a proposito: ‘delle conseguenze legali del lungo regime Israeliano e dell’occupazione che include elementi di apartheid e colonialismo’31.

– Nel 2007 il comitato speciale delle Nazioni Unite che investigava sulle pratiche israeliane a danno dei diritti umani del popolo palestinese e di altre persone di origine araba nei Territori Occupati ha raccomandato all’ Assemblea Generale di ‘spingere il Consiglio di Sicurezza verso la considerazione di sanzioni contro Israele qualora quest’ultimo continuasse a non rispettare i suoi obblighi rispetto al diritto internazionale assicurandosi che ‘altri stati non supportino in nessun modo, direttamente o indirettamente, la costruzione del muro di separazione che attraversa i Territori Palestinesi occupati, e che accordi bilaterali tra Israele ed altri stati non violino i loro rispettivi obblighi rispetto al diritto internazionale’32.

29. Ulteriori misure pratiche intraprese includono nuovi sforzi volti al miglioramento della protezione internazionale delle vittime palestinesi e limitati sforzi per ottenere che gravi violazioni del diritto internazionale siano sottoposte a regolare processo:

– Sforzi per proteggere in maniera più effettiva la popolazione palestinese occupata attraverso il monitoraggio, la documentazione, l’assistenza e la difesa sono stati intrapresi dalle agenzie delle Nazioni Unite e dalle NGO dei Territori occupati sotto il controllo di OCHA e OCHR. Un’iniziativa che riveste particolare importanza nell’ eliminazione delle cause del conflitto è il Gruppo di Lavoro permanente sul Dislocamento Forzato, che si è formato nel 2008 mettendo in pratica la Risposta di collaborazione al Dislocamento forzato nei Territori Occupati basata sui Principi Guida sul Dislocamento Interno del 1998.

– La commissione generale di UNRWA, l’Alta Commissione dei diritti Umani e l’Arcivescovo Desmond Tutu sono stati tra i pochi coraggiosi che hanno pubblicamente richiesto la fine dell’impunità per le massicce violazioni dei diritti umani e per i crimini di g