L'assoluzione di Tareq Aziz
di Franco Cardini - 06/03/2009
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Foto di Giliola Chistè, www.giliolachiste.com |
La notizia dell’assoluzione almeno parziale di Tareq Aziz, ex-vicepresidente di Saddam Hussein, da parte di un Tribunale Speciale irakeno (il nome di “Tribunale speciale” si commenta da sola), si diffuse nel pomeriggio di lunedi 2 marzo 2009. Il quotidiano romano “Il Tempo” mi chiese un commento, che naturalmente buttai giù a caldo, e che era del tenore seguente:
“Anzitutto una testimonianza personale. Nel 1993 partecipai a una missione guidata da Roberto Formigoni nell’ Iraq governato da Saddam Hussein per contribuir a risolvere una questione che qualcuno ricorderà, quella di alcuni italiani là detenuti come ostaggio, e a onor del vero trattati con qualcosa di più della doverosa correttezza. In quell’occasione ebbi modo di venir ricevuto personalmente da Tareq Aziz, allora vicepresidente, e d’intrattenermi non pochissimo tempo con lui. Riportai un’ottima impressione della sua cultura, del suo equilibrio, delle sue doti umane. Parlammo a lungo dei cristiani irakeni, distinti in due grandi confessioni: i “caldei”, aderenti alla Chiesa cattolica e allora splendidamente guidati da un grande prelato, il cardinal Bidawi, e gli “assiri”, rappresentanti del credo nestoriano, di cui Tareq faceva parte. Parlammo anche dell’embargo che gli Stati Uniti avevano imposto all’Iraq, della difficoltà della gente a vivere, della situazione internazionale. Mi colpì la sua moderazione: ebbi la netta sensazione di trovarmi dinanzi a un uomo sinceramente buono e politicamente molto affidabile.
Non mi piacque dunque dieci anni dopo, al principio del 2003, la decisione del mio vecchio amico Walter Veltroni, allora sindaco di Roma, di non ricevere Aziz che, allora in visita a Roma, aveva naturalmente ottenuto udienza da papa Giovanni Paolo II. Era chiaro che gli Stati Uniti di Bush avrebbero ormai, di lì a poco, scatenato l’attacco militare: in una circostanza del genere il rifiuto di colloquio opposto da Veltroni mi parve scorretto sotto il profilo formale (si trattava comunque del vicepresidente di uno stato riconosciuto dalle Nazioni Unite), ingiustificato sotto quello politico e, se debbo dir fino in fondo quel che penso, anche molto ingeneroso se non un po’ vigliacco. Stimo Walter: e quindi non credo che in quell’occasione egli abbia fatto un’azione degna di lui e ritengo che non se ne vanti.
Poi scoppiò la guerra, giustificata anzitutto dall’accusa, rivolta all’Iraq saddamista, di detenere micidiali armi segrete di distruzione di massa. E’ molto umiliante ricordare che perfino un pensatore cattolico statunitense del livello e della serietà di Michael Novak, e un soldato integerrimo come Colin Powell potessero arrivar ad avallare quella miserabile menzogna, che tutti gli osservatori equilibrati e non asserviti (cioè quasi nessuno, purtroppo, in Italia) giudicarono un’infamia. Ma tant’è: e nessuno dei nostri politici e dei nostri opinion makers ha avuto il coraggio e l’onestà di chieder scusa all’opinione pubblica per averla a suo tempo ingannata.
Tareq Aziz, dopo la fine della guerra irakena, figurò a lungo come un desaparecido. Era anziano, lo si sapeva anche gravemente ammalato: si temeva per lui. Va detto a suo onore che soltanto Marco Pannella osò forare la cortina del silenzio complice e vigliacco che si era fatto attorno all’ex-vicepresidente irakeno. Poi si seppe che Tareq era accusato in quanto corresponsabile di alcuni delitti politici: e, per quanto vi sia sempre da diffidare della giustizia impartita dal vincitore, la cosa era purtroppo verosimile.
Alcune ombre permangono infatti sulla sua immagine politica. Ma sappiamo oggi che, almeno relativamente a un addebito che gli si moveva a proposito di un episodio del ‘92, il “Tribunale Speciale” irakeno che lo giudica lo ha assolto. Egli resta imputato per altri crimini: può sempre venir dunque condannato. Ma non è impossibile che la stima che circonda l’anziano uomo politico, e che sembra non esser venuta meno nel paese, si sia affiancata a sagge considerazioni circa l’opportunità di avviare sul serio un processo di pacificazione nazionale e ci si stia orientando a fornire, assolvendolo pienamente o condannandolo solo in modo lieve, una prova di buona volontà. La situazione politica irakena è notoriamente pesante: e purtroppo anche là siamo ormai in pieno scontro fra comunità religiose, una realtà sconosciuta al regime saddamista, e non solo per motivi legati alla repressione poliziesca.
Mi piacerebbe avere tra breve notizia della piena liberazione di quel vecchio, dignitoso signore. Credo che ciò farebbe bene al suo povero paese e alla causa della pace. E farebbe bene anche all’attuale governo irakeno, che finora ha dato prove soprattutto di collaborazionismo nei confronti degli occupanti”.
“Il Tempo” pubblicò con qualche taglio questo articolo, sotto il titolo redazionale di E ora Tareq Aziz libero in nome della pace, il martedi 3 marzo a p.17. Accanto al mio – nello stile del giornalismo anglosassone – era pubblicato un articolo del generale Mario Arpino, sullo stesso argomento, dal titolo Era tutt’uno col rais. Non dimentichiamolo. Il generale Arpino, che ha nei confronti del Vicino Oriente la competenza che tutti gli riconoscono, affrontava l’argomento con un taglio evidentemente diverso dal mio e non certo ad esso opposto – anch’egli in fondo esprimeva una qualche soddisfazione per la vicenda -, ma comunque formulando qualche riserva in più. Richiamava la lunga carriera di Aziz nel partito Baath e la sua costante corresponsabilita con Saddam – il che è senza dubbio vero – e formulava l’ipotesi che, al di là delle esigenze di pacificazione interna, l’assoluzione dipendesse in qualche modo da una mediazione diretta o indiretta del presidente degli Stati Uniti e/o della Santa Sede. E’ del tutto probabile.
Mi ha tuttavia colpito, nel pacato articolo di Arpino, un involontario tono umoristico. Il generale ha fatto benissimo a richiamare, al di là della simpatia di Aziz, le sue corresponsabilità. Solo che quel duro mònito gia compreso nel titolo (Non dimentichiamolo) fa un po’ sorridere e ci richiama, al contrario, a uno dei piu gravi difetti dell’opinione pubblica occidentale: la memoria corta. In effetti, se Aziz ha delle colpe (e personalmente credo ne abbia molte, esse risalgono soprattutto al tempo nel quale il rais Saddam non solo massacrava beatamente curdi, sciiti e iraniani (alludo al tempo della “guerra dimenticata”), ma lo faceva anche “in conto terzi” a nome, con il danaro, le armi e la benedizione degli Stati Uniti d’America e del “nostro Occidente”. Il quale lo ringraziava: l’ineffabile Kissinger lo aveva soprannominato “il Presidente del Sorriso”, l’innominabile Rumsfeld volava da Washington a stringergli la mano, l’invivibile città di Detroit lo nominava Cittadino Onorario. Era un boia al servizio dell’Occidente, uno dei tanti che sono dei “presidenti” finchè servono salvo poi divenire “dittatori” quando non servono più: a son of a bitch, but our son of a bitch. Appunto, generale Arpino. Come suona il titolo del suo articolo: Non dimentichiamolo. Non dimentichiamo i Quisling che l’Occidente semina per il mondo, salvo poi far il gioco delle tre carte e cercar di addossare a loro soli la responsabilita delle infamie commesse a suo vantaggio.