Controllare il Medio Oriente: la chiave della strategia americana
di Mohammad Akef Jamal - 13/03/2009
Il nuovo piano di ritiro risulta essere parte di un accordo tra Obama ed i generali del Pentagono, che avevano pareri differenti dal suo a questo riguardo. Il generale David Petraeus, che dirige il Comando Centrale americano, aveva pensato ad un piano di ritiro in 23 mesi, mentre Obama aveva promesso tempi molto più brevi. Come risultato, sembra che entrambi abbiamo fatto un passo in direzione dell’altro, raggiungendo un compromesso. Sebbene Obama voglia che il ritiro delle truppe avvenga secondo le linee dello "Status of Forces Agreement" (SOFA), l’accordo di sicurezza firmato da Stati Uniti e Iraq pochi mesi fa, egli non ha parlato del resto delle truppe che dovranno essere ritirate dall’Iraq nel 2011, secondo l’accordo di sicurezza. In precedenza, quando i dettagli del piano di Obama in Iraq cominciarono ad emergere, la leadership democratica al Congresso rimase sorpresa dalla sua intenzione di tenere una forza compresa fra i 35.000 ed i 50.000 uomini nel paese oltre il 2010. Di fronte alla reazione negativa sia dei democratici che dei repubblicani, il numero "35.000" è stato proposto per mitigare il sapore amaro che lasciava una cifra alta come "50.000" uomini. Queste forze saranno in grado di condurre combattimenti in prima linea, specialmente perché godono del vantaggio della copertura aerea e di un preciso e dettagliato "database", oltre che delle armi più avanzate e sofisticate. Esse avranno anche un appoggio politico. Ci sono circa 195 paesi al mondo, e gli Stati Uniti hanno truppe in 135 di essi. Ciò significa che gli Stati Uniti hanno truppe nel 70 % del mondo. Il numero delle truppe varia da una località all’altra, ed in base all’importanza strategica della regione – da un punto di vista geografico o in termini di risorse. In Europa, sono presenti 42.000 militari americani, e vi sono piani per ridurli a 32.000 nei prossimi 5 anni. In Giappone, l’America ha 47.000 soldati e ve ne sono altri 37.000 che stazionano nella Corea del Sud. Gli Stati Uniti intendono ridurre il numero delle truppe anche in questi due paesi. L’invasione del 2003 in Iraq non è stata un evento involontario causato dalle azioni del precedente regime iracheno. Non aveva nulla a che fare con i presunti rapporti del regime baathista con al-Qaeda, o con le famigerate "armi di distruzione di massa". L’invasione ha avuto luogo nel contesto di una strategia di lungo periodo pensata per l’era successiva alla Guerra Fredda. Entrambi, democratici e repubblicani, hanno contribuito ad elaborare un piano che è stato concepito quando il Congresso americano ha approvato l’Iraqi Liberation Act del 1998. Per far sì che tale piano avesse successo, gli Stati Uniti hanno dovuto compiere alcuni passi determinanti, come quello di controllare le fonti energetiche al fine di mettere sotto pressione gli altri paesi. Gli Stati Uniti hanno anche iniziato a sviluppare le proprie potenzialità militari offensive, mentre privavano gli altri paesi del loro potenziale nucleare strategico di deterrenza. Gli Stati Uniti hanno più di 250.000 soldati in Medio Oriente, alloggiati in svariate basi militari. Una riduzione di questo numero non è prevista nel prossimo futuro. Ad ogni modo, un ridispiegamento potrebbe aver luogo a seconda delle circostanze. Nel 2007, il generale John Abizaid, ex comandante americano in Iraq, aveva affermato che le truppe americane sarebbero rimaste nella regione per i prossimi 50 anni. Abizaid attribuiva questo fatto all’importanza strategica della regione ed alla sua ricchezza di idrocarburi. L’Iraq sarà il centro di comando delle truppe americane nella regione poiché l’America ha costruito il più grande centro di comando e controllo a Baghdad, nella sua ambasciata, considerata la più grande ambasciata del mondo. Gli Stati Uniti sono anche fermamente intenzionati a neutralizzare il potenziale nucleare russo, proponendo una riduzione dell’80% delle testate nucleari in entrambi i paesi. La proposta comporterebbe per entrambi i paesi una riduzione a 1.000 testate nucleari ciascuno, senza minacciare il progetto americano di scudo missilistico. Secondo gli esperti russi, l’accettazione della proposta americana priverebbe la Russia della propria capacità strategica di contrattaccare, poiché 1.000 missili con testate nucleari non sarebbero sufficienti a vincere lo scudo missilistico americano. La strategia dell’establishment americano e le sue ambizioni imperiali sono troppo grandi per essere cambiate da un presidente che non è in grado di controllare i falchi del Pentagono, o di mantenere le sue promesse elettorali. Il controllo del Medio Oriente è la chiave, per gli Stati Uniti, per rimanere una superpotenza, anche dopo l’era del petrolio. Mohammad Akef Jamal è un giornalista e scrittore iracheno residente a Dubai Titolo originale: |