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Heidegger: tramonto dell'Occidente, oblio dell'essere e sua autorivelazione poetica

di Paolo Scroccaro - 06/03/2006

Fonte: filosofiatv.org

 

 

 

1)      LA PIANURA DELL’OBLIO

Repubblica, 620 e-621 b: qui Platone descrive la Pianura di Lethe (Oblìo) come caratterizzata da “tremenda calura e afa”, per di più essendo “priva di alberi e di qualunque prodotto della terra”; errando in questo luogo terribile, avviene per l’anima l’accadimento dell’Oblìo: essa “si scorda di tutto”, cioè dimentica ciò che essa era prima di cadere nella Manifestazione, e più in generale si scorda del Non-Manifesto, in cui dimorava nascosta e custodita, e degli Archetipi iperuranici (v. Fedro).

 

2)      L’OCCIDENTE COME TERRA DELL’OBLIO

Secondo Heidegger, nell’Occidente avviene nel modo più radicale l’esperienza dell’Oblìo dell’Essere, esperienza temibile e inquietante che sarebbe iniziata già ai tempi di Platone. Nell’età moderna, si assiste poi all’espansione travolgente di tale dimenticanza dell’Essere: essa finisce per contrassegnare ogni aspetto della vita moderna e contemporanea, e tutto questo appare come il compimento di un Destino.

 

3)      CHE COS’ E’ L’OBLIO DELL’ESSERE, E COSA COMPORTA?

Esso è “l’oblìo della differenza tra l’essere e l’ente” (v. Il detto di Anassimandro, in Sentieri interrotti), per cui l’essere viene ridotto all’ente, e quindi “dimenticato” nella sua “differenza ontologica” e nel suo intimo relazionarsi all’ente. Conseguentemente, solo gli enti in quanto tali sono pensati come realmente esistenti: l’attenzione cade dunque esclusivamente su di essi, che non sono più intesi come manifestazione, sia pure parziale, dell’ ulteriorità dell’Essere.        

 

4)      IL PREDOMINIO DELLA RAGION CALCOLANTE

Tale predominio è correlato all’ Oblìo dell’Essere, cresce in proporzione all’intensità di tale “dimenticanza”, trattandosi di aspetti di uno stesso “destino”. Preliminarmente, occorre precisare che cosa sia “Ragione”, ed è l’etimologia stessa a consegnarcene il significato più essenziale, che non è solo quello strettamente “logico”.

Ratio = conto, calcolo, stima, valutazione (v. Ernout-Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Paris, 1932); da cui Rationarius = ragioniere, colui che è valente nel fare i conti; Rationarium = libro dei conti; Rationem ducere = condurre il conto (fino al totale) (v. E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, 1976).

A volte, Ratio ha anche il significato di piano, progetto, come in Cicerone: per cui  “Instituta ratio” = il piano (progetto) prestabilito. Come si può notare, calcolo e progettazione non sono aspetti secondari e occasionali della ragione, ma appartengono originariamente alla sua essenza, la quale non per caso ha dispiegato tali contenuti nel corso della storia dell’Occidente.

 

5)      LA DISPONIBILITA’ DEGLI ENTI ALLE PRETESE DELLA RAGIONE

La visione razionale del mondo esige alcuni presupposti tali per cui: a)gli enti sono anticipatamente pensati come eternamente accessibili alle progettazioni della ragione, la quale può disporne a piacimento, in vista degli impieghi ritenuti necessari; b) la potenza della ragione è pensata anticipatamente come illimitata, per cui qualsiasi ostacolo o vincolo può esser tolto nel corso del dispiegarsi della sua potenza: il pensiero tecnico-scientifico è la forma più potente di ragion calcolante, e come tale sostituisce le forme precedenti, troppo impacciate e ormai obsolete. Tali presupposti muovono comunque dall’Oblìo dell’Essere, poiché solo con tale evento essi risultano credibili; in caso contrario infatti….

 

6)      DAL PENSIERO COME COM-PRENSIONE AL PENSIERO COME  MEMORAZIONE

Il pensiero razionale tipico della tecnoscienza è essenzialmente “com-prensione” prevaricatrice, nella misura in cui il suo proposito è quello di circondare e catturare gli enti, per assicurarseli in qualche modo; nello stesso tempo, è “non-pensoso”, in quanto incapace di pensare l’Essere, avendolo “dimenticato”. L’alternativa ad esso è il pensiero pensoso, meditante, rammemorante, detto così perché, avendo “memoria” dell’Essere, ad esso si orienta: il suo simbolo è Mnemosyne, il suo atteggiamento di fondo è quello del “raccoglimento” e del “ringraziamento”.

 

7)      SULLE TRACCE DELL’ESSERE, FINO ALLA RADURA LUMINOSA, DOVE, NEL DIRADARSI DELLA FORESTA, ESSO TRASPARE…

Il cercatore “memorante” è tale perché, non rinchiudendosi nell’ente, si mette in cammino, sulle tracce dell’Essere…a volte esse si fanno sempre più esili, fino a perdersi nel folto del bosco…altre volte, esse conducono ad una schiarita, dove qualcosa dell’Essere traluce…Ma chi sa inoltrarsi nella foresta selvaggia senza farsi sviare? Per rispondere alla domanda, occorre partire non tanto dal cercatore, dalle sue abilità o dalle sue negligenze, quanto piuttosto dall’Essere stesso: è Esso infatti che, secondo  circostanze che appartengono esse stesse al “Destino dell’Essere”, si occulta o si disvela, si sottrae o si concede…

 

8)      IL PERICOLO ESTREMO E L’AUTORIVELAZIONE POETICA DELL’ESSERE

Un’elegia di Hölderlin chiede: A che i poeti, nel tempo della povertà?

Il tempo della povertà e del pericolo estremo è il nostro, in quanto ossessionato dalla furia calcolante e manipolatrice, correlata alla fuga degli dei e al ritrarsi dell’Essere; meditando la domanda di Hölderlin, Heidegger osserva che, da sempre, l’autorivelazione dell’Essere accade nell’autentica poesia sapienziale (per questo la Saggezza Aurorale presocratica si esprimeva nel linguaggio poetico, e non in quello concettuale). Veramente poeti sono quelli cui è concesso il non-sviamento, addentrandosi nei Sentieri dell’Essere.

 

9)      HÖLDERLIN, IL PRECURSORE

Nel tempo della “povertà”, Hölderlin è considerato da Heidegger il precursore per eccellenza, poiché in lui comincia a riaffiorare nuovamente l’esperienza e la grandezza della Poesia disvelante, rivelatrice dell’Essere. Da essa sgorga l’invito al “Soggiornare poetico” sulla Terra, sotto il Cielo: tale quieto soggiornare, raccolto e pensoso, è senza-calcolo e disarmato, avendo riguardo e rispetto per tutti gli esseri, poiché in essi vede ovunque un segno del Cielo e del Divino inaggirabile, cioè dell’ Essere e dei suoi ritmi di rivelazione e nascondimento.