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Giustizia internazionale: due pesi e due misure

di Sergio Romano - 14/03/2009

Dopo il mandato di cattura del Tribunale penale internazionale spiccato contro il leader sudanese Bashir per crimini contro l'umanità, sono rimasto esterrefatto dalla forte contrarietà manifestata da Paesi che rappresentano tre quarti di quell'umanità che la sentenza avrebbe voluto difendere: Africa, Cina, Russia, Paesi Arabi e forse altri che mi sfuggono. Capisco che vi siano questioni politiche ed economiche alla base di questo dissenso, ma questo si presenta così universale che una spiegazione simile non basta, e rimane il sospetto che la scala dei valori di noi occidentali (gli unici, mi sembra, che approvino) non sia condivisa, per un verso o per l'altro, dal resto del mondo. Potrebbe darci una spiegazione di questo fenomeno inquietante?


Ignazio Vesco

Caro Vesco,
Il Trattato per la istituzione del Tribunale penale internazionale fu firmato a Roma il 17 luglio 1998 ed è entrato in funzione il 1° luglio 2002. Non tutti i membri delle Nazioni Unite hanno accettato di firmarlo e ratificarlo. Il presidente americano Bill Clinton lo firmò nell'ultimo giorno della sua presidenza e lo inviò al Senato per la ratifica. Ma fu un gesto retorico, dettato dal desiderio di provare al mondo che la sua presidenza era stata liberale e progressista. Sapeva che il successore avrebbe revocato la firma e che la maggioranza dei senatori era contraria alla ratifica. George W. Bush non si limitò a rimettere il trattato nel cassetto. La diplomazia degli Stati Uniti, negli anni seguenti, fece forti pressioni (al limite del ricatto) per indurre un certo numero di Paesi firmatari a promettere che non avrebbero consegnato al Tribunale alcun cittadino degli Stati Uniti eventualmente presente nel loro territorio. Washington spiegò che l'America ha numerose forze militari distaccate in giro per il mondo e parecchi «consiglieri» impegnati nell'addestramento di truppe straniere, soprattutto per operazioni anti- guerriglia. Vi è quindi il rischio che i nemici degli Stati Uniti e dei loro alleati usino il Tribunale penale internazionale per boicottare e screditare la politica americana.
Argomenti analoghi o scuse d'altro genere furono usati da altri Paesi (Russia, Cina, Israele, Iran, Arabia Saudita, Egitto, Indonesia, Cuba) che non hanno alcuna intenzione di finire sotto accusa per il modo in cui affrontano, ad esempio, il problema della Cecenia, del Tibet, dei territori palestinesi o del loro coinvolgimento negli affari interni di altri Stati. Esiste quindi, nel campo della giustizia internazionale, un doppio standard. Vi sono i criteri che valgono per quanti sono disposti al sacrificio di una parte della propria sovranità pur di favorire la nascita di una società internazionale ispirata ai criteri dello Stato di diritto. E vi sono quelli che valgono per le grandi potenze e qualche battitore libero. Le sembra davvero sorprendente, caro Vesco, che l'incriminazione del leader sudanese Bashir sia parsa a molti africani e asiatici una forma di arrogante neo-colonialismo occidentale? Nelle grandi manifestazioni di protesta organizzate a Khartum e in altre città vi è certamente lo zampino di regimi illiberali e polizieschi. Ma vi sono anche la rabbia e l'indignazione di popoli che hanno avuto l'impressione di essere passati dal colonialismo politico-militare a quello giudiziario. Esiste poi un paradosso. Il mandato di cattura non avrà l'effetto di sloggiare Omar Hassan Al Bashir dal palazzo del potere, ma avrà certamente quello di tagliare le gambe della diplomazia occidentale. Non penso soltanto all'espulsione dal Sudan di organizzazioni non governative che hanno assistito i rifugiati del Darfur e dato un grande contributo alla ricostruzione del sud del Paese dopo una ventennale guerra civile. Penso soprattutto al fatto che il mandato di cattura ha bruciato i ponti alle spalle di Bashir e lo renderà ancora più intrattabile di quanto sia stato negli scorsi anni. Un uomo che da un eventuale accordo internazionale non ha più nulla da guadagnare è il peggiore degli interlocutori possibili.