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La nuova divisione dell’Europa

di Richard Hiault - 14/03/2009

    
 
 

 
I paesi dell’Unione Europea non hanno raggiunto un accordo per aiutare i paesi dell’Est duramente colpiti dalla crisi mondiale. Le imprese occidentali avevano aperto numerosi stabilimenti negli ex paesi sovietici, sfruttando il vantaggio derivante dalla manodopera a basso costo. L’accesso al credito occidentale ha poi reso particolarmente esposte le famiglie che hanno contratto debiti in euro. Ora che le imprese cominciano a ridurre la propria attività o a chiudere e che le banche non possono concedere ulteriori crediti, le economie orientali corrono gravi rischi. Se l’Europa non si impegnerà per salvarle, le popolazioni dell’Est potrebbero maturare non solo un euroscetticismo derivante alle peggiorate condizioni di vita, ma anche pericolosi estremismi politici, con la possibilità di un riavvicinamento alla Russia.

“Sarebbe un’immensa tragedia se l’Europa si dividesse di nuovo in due blocchi”. Questa frase del presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick, riassume da sola la posta in gioco nel vecchio continente. La crisi minaccia un’intera regione uscita dal blocco comunista appena vent’anni fa. Il fallimento del sistema sovietico e l’apertura dei paesi dell’est all’occidente avevano consacrato la riconciliazione dell’Europa. Le tappe più importanti di questa riunificazione sono state quelle del 2004 e del 2007, quando l’Unione europea ha accolto dodici paesi dell’est, e la loro integrazione nella zona dell’euro sembrava solo questione di anni. Invece la crisi attuale ha colpito duramente questi nuovi campioni del capitalismo liberista e potrebbe aggravare la recessione all’ovest, soprattutto in Austria e in Germania. Senza un piano di aiuti, l’Europa potrebbe spaccarsi di nuovo. L’opinione pubblica e i leader politici dei paesi dell’est non capiscono perché i membri storici dell’Ue non li stanno soccorrendo. La conseguenza potrebbe essere il rifiuto dei valori dell’Unione, senza contare il possibile riemergere degli estremismi. Le banche e le imprese dell’ovest hanno ampiamente approfittato della crescita dei paesi dell’est negli ultimi vent’anni. Molte fabbriche sono state aperte in Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Romania per sfruttare i bassi salari della manodopera locale. Le banche occidentali hanno partecipato al gioco, fin qui vincente, dei crediti concessi alle economie orientali. Le cifre parlano chiaro: secondo il rapporto di febbraio dell’Istituto di finanza internazionale (Ifi), nel 2007 i flussi bancari verso i paesi emergenti dell’Europa dell’est sono stati di 217 miliardi di dollari. [...] Ma per quest’anno le previsioni dell’Ifi sono catastrofiche: si prevedono solo 30,2 miliardi di dollari di flussi finanziari.
Ci sono tutte le condizioni per una grave crisi: la crescita economica crolla, i deficit pubblici aumentano, le monete locali si indeboliscono e le bilance commerciali sono in rosso. Inoltre, la liberalizzazione dei mercati finanziari locali ha portato al boom del credito. [...] Le famiglie dell’Europa dell’est, in particolare in Ungheria e Romania, invece di indebitarsi nella valuta locale hanno contratto prestiti in euro. Questo gioco pericoloso ha avuto successo perché l’ingresso dei capitali stranieri aveva spinto al rialzo alcune valute locali – soprattutto in Polonia e Ungheria – rendendo più conveniente il rimborso dei prestiti in euro. Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, a settembre i prestiti concessi nei paesi dell’est da banche estere – in maggioranza dell’Europa occidentale – erano di 1.656 miliardi di euro. Ma con la crisi il sistema è diventato subito instabile. Inoltre le banche occidentali potrebbero tornare a concentrarsi sul loro mercato interno, prosciugando il credito all’est. Secondo la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), il sistema bancario dell’est europeo ha bisogno quest’anno di duecento miliardi di dollari. L’annuncio di un piano di sostegno di 24,5 miliardi di euro da parte di Banca mondiale, Banca europea per gli investimenti e Bers arriva al momento giusto. Ma non può che essere un primo passo. L’Austria, le cui banche hanno i maggiori investimenti esteri nella regione, sostiene la necessità di un piano di aiuti da cento miliardi di euro. La sfida è enorme. Se non si fa niente, gli allargamenti del 2004 e del 2007, che hanno messo fine alla divisione dell’Europa, hanno consolidato la democrazia e offerto vantaggi economici a tutti i paesi dell’est, potrebbero essere rimessi seriamente in discussione. [...]