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Pakistan: opposizione vietata

di Eugenio Roscini Vitali - 15/03/2009

 
 


Contro le manifestazioni organizzate nelle province di Sindh e Punjab dalla Lega musulmana-N, il presidente Asif Ali Zardari usa il pugno di ferro e, tanto per far capire che in Pakistan la musica non è cambiata, applica la Section 144, la norma che vieta a più di quattro persone di dar vita ad ogni forma di assembramento pubblico e limita il diritto di protesta. Vietata la lunga marcia che si oppone al verdetto della Corte suprema che dallo scorso 25 febbraio ha interdetto dalla vita politica il capo dell’opposizione Nawaz Sharif e suo fratello Shahbaz; limitata la loro libertà di movimento e fermati molti esponenti del partito, tra cui Raja Zafarul Haq; arrestati più di mille tra attivisti, difensori dei diritti umani e avvocati che chiedono il reinserimento dei giudici sospesi dall’ex presidente Pervez Musharraf; irruzioni della polizia nelle abitazioni di molti esponenti dell’opposizione, compresa quella del leader del partito Tehreek-e-Insaaf, Imran Khan, e di una famosa attivista per i diritti umani che da tempo lavora per l’indipendenza del sistema giuridico, Tahira Abdullah.

Invocata da altri governi come mezzo restrittivo alle contestazioni politiche e religiose ed utilizzata dagli inglesi durante in dominio britannico per difendere gli interessi coloniali di Londra, la Section 144 è stata applicata dal dall’ex generale Musharraf per soffocare le manifestazioni e la reazione della società civile al regime militare che ha governato il Pakistan dal 20 giugno 2001 al 18 agosto 2008. Un atto gravissimo che mette in dubbio le più basilari norme della democrazia e va contro l'articolo 16 dell’attuale Costituzione e contro l’articolo 20 comma 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948: ogni individuo ha il diritto alla libertà di riunione e di associazione pacifica.

L’alleanza tra Asif Ali Zardari e Nawaz Sharif che aveva permesso l’elezione a presidente del vedovo di Benazhir Bhutto e che si era cementata intorno ad un comune obbiettivo, quello che vedeva come scopo finale il rovesciamento del regime militare del generale Musharraf, è dunque ufficialmente finita. Il verdetto della Corte suprema ha aperto lo scontro frontale tra il capo della Lega Musulmana-N e il governo ma in realtà i due leader non avevano mai dimostrato una grande affinità politica, soprattutto in merito a questioni di carattere istituzionale, come ad esempio i poteri del presidente, il ruolo della Corte suprema e la reintegrazione dei giudici sospesi da Musharraf, primo fra tutti il giudice Iftikhar Muhammad Chaudhry, uomo-simbolo della lotta contro il regime; punti che secondo i patti pre-elettorali erano in cima all’agenda parlamentare ma che in realtà Zardari ha sempre glissato.

L’applicazione della Section 144 e gli arresti di decine di attivisti del movimento degli avvocati, che si sono detti pronti ad aderire alla lunga marcia di protesta organizzata dall’opposizione, è l’indice del grande nervosismo che attanagli i vertici e della grave crisi nella quale sta sprofondando il paese. Nawaz Sharif accusa il governo di agire come una “dittatura eletta” e puntando il dito contro il suo rivale politico non esclude un complotto che miri ad assassinarlo: “da fonti affidabili ho ricevuto informazioni su alcune forze che starebbero operando contro la mia persona…. i rischi ci sono ma non posso abbandonare la mia missione. Si tratta di una causa nobile, una missione che vuole riportare il paese sulla strada della democrazia”.

Nawaz Sharif accusa il presidente pakistano di aver lasciato il paese in mano al terrorismo e di non aver alcun rispetto per il mandato consegnato dagli elettori ai partiti dell’opposizione. Due i fatti principali ai quali si riferisce l’ex premier: la decisione di Zardari di sciogliere il governo della provincia di Punjab, detenuto fino ai primi di marzo dalla Lega musulmana-N, e l’accordo raggiunto il 16 febbraio scorso con il governo della Provincia di frontiera Nord Occidentale (North West Frontier Province) e con il leader del Tehreek-e-Nifaz-e-Shariat Muhammadi, Sufi Mohammad, per l'introdurre la legge islamica nella regione di Malakand. Un fatto che apre le porte a nuove sviluppi, non del tutto coerenti con la politica americana nell’Asia meridionale: abolire tutte le leggi statali e provinciali contrarie alla sharia equivale infatti a scendere a patti con i gruppi estremisti islamici che controllano gran parte dei distretti di Malakand, Shangla, Buner, Dir, Chitra e Swat; un accordo che avrebbe già portato alcuni movimenti nazionali a chiedere l’applicazione della stessa legge a tutto il territorio pakistano.

Per il vedovo di Benazir Bhutto le affermazioni dei suoi oppositori non sono altro che “propaganda”, una campagna diffamatoria volta a sottostimare la volontà del popolo pachistano e la resistenza delle istituzioni democratiche. Zardari, che descrive il Pakistan di oggi come una democrazia vitale e dinamica capace di affrontando la sfida contro il terrorismo e l’estremismo, afferma che l’intenzione del governo è quella di guidare il paese verso la stabilità e il benessere. Sta di fatto che, secondo le fonti stampa, nei giorni che hanno proceduto l’applicazione delle leggi antisommossa e la conseguente ondata di arresti, il capo dell’esercito Ashfaq Parvez Kiyani e il premier Yousaf Raza Gilani, si sarebbero incontrati per discutere la gravità della situazione e come affrontarla.

Dalle notizie che arrivano dal Pakistan la Section 144 e i fermi di polizia non fiaccano comunque la protesta; partendo da tutti gli angoli del paese i manifestanti si starebbero muovendo verso Islamabad dove il 16 marzo dovrebbe aver luogo un sit-in che secondo le stime potrebbe coinvolgere centinaia di migliaia di cittadini. Per giustificare l’intervento della polizia il governo ha già lanciato l’allarme attentati ma le decisioni anti-democratiche di Zardari sono ormai davanti agli occhi di tutti: Human Rights Commission of Pakistan (http://www.hrcp-web.org), l’organizzazione indipendente ed apolitica fondata nel 1986 per la difesa dei diritti del popolo pakistano e contro ogni forma di abuso e di violenza, parla di decisioni paragonabili alle leggi militari imposte da Pervez Musharraf. Accusa confermata da uno dei portavoce del giudice Chaudhary, l’avvocato Athar Minallah, che durante una conferenza stampa ha affermato che l’attuale regime politico è bel lontano dall’essere un governo democratico e che in Pakistan l’eredità politica lasciata dal generale Musharraf è ancora forte.