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Globalizzazione e prospettiva eurasiatica

di Augusto Marsigliante - 08/03/2006

Fonte: Stefano Serafini

 

Il 4 marzo, grazie a Progetto Torino, anche nella città della Mole finalmente si parla di Eurasia, presenti Tiberio Graziani, direttore della rivista Eurasia, il filosofo Costanzo Preve, collaboratore della stessa, e l'editore Claudio Mutti, il quale introduce l'incontro di fronte ad una platea gremita, soprattutto di giovani.

Eurasia, spiega Mutti, non è certo la prima rivista italiana ad occuparsi di geopolitica: la prima fu la rivista di studi geopolitici di Ernesto Massi, nata nel '38 e soppressa nel '43. Oggi, oltre ad Eurasia ve ne sono altre due: Imperi e Limes, riviste di apparente obiettività, ma in realtà complementari fra loro in termini di orientamento occidentalista ed atlantista, con una leggera differenza essendo la prima declinata a destra e la seconda invece espressione di una certa sinistra americaneggiante. Di fronte a questa situazione, Eurasia rompe gli schemi e si pone nel panorama italiano come vera e finora unica alternativa a questa visione, collocandosi infatti su posizioni non-occidentaliste.

Chiarito ciò, Mutti passa a definire meglio la nozione di geopolitica: essa è la disciplina che indaga i rapporti fra la geografia e la politica, studia l'influenza della geografia e della politica sulla storia, nella misura in cui le scelte politiche si assume che siano determinate dalla situazione geografica di ciascun paese. E' la geopolitica schmittianamente intesa quella di cui parla Mutti, che vede l'opposizione di Terra e Mare caratterizzante la Storia: un'opposizione irriducibile fra potenze talassocratiche (Atene, Cartagine, fino agli Stati Uniti) e potenze terrestri (Sparta, Roma, fino all'Unione Sovietica), fra una logica continentale eurasiatica ed una logica insulare anglo-americana. Il Mare come spazio indistinto e piatto dunque, come deserto liquido all'interno del quale flussi indistinti si mescolano fra loro. Uno spazio caratterizzato dall'assenza di un Centro.

E la globalizzazione, cos'altro è se non un flusso indistinto di modelli, di merci, di uomini e di tecnologie, che abolisce ciò che è radicato nella Terra? La logica del capitalismo, conclude Mutti, è estranea alla cultura eurasiatica, la quale si oppone all'universalizzazione del punto di vista occidentale e all'imposizione del paradigma atlantico.

La parola passa quindi a Preve, che approfondisce il retroterra filosofico della concezione eurasiatista, dato che l'avvento dell'americanismo produce i suoi effetti anche sulla filosofia e la interessa perciò da vicino. Quella americanista, afferma il filosofo torinese, è una concezione messianica, protestante, ed espansiva; una missione, quella di salvare il mondo, data da Dio all'America, fedele alleata per ciò stesso della divinità. Una concezione questa che troviamo ad esempio nella civiltà assiro-babilonese ma che è invece completamente estranea alla filosofia greca e latina, nelle quali non c'è traccia di popolo eletto e di messianesimo.

Secondo lo studioso di marxismo, poi, esistono due "versioni" di eurasiatismo, differenti ma non per questo incompatibili fra loro: una forte, fondata su presupposti storici, mitici, culturali, sociali e letterari (non solo geografici dunque), ed una debole, che vede nell'Eurasia un aggregato geografico-politico che abbia la forza di opporsi al programma americanista di dominio del mondo.

A detta di Preve, infatti, l'Occidente, in senso storico globale, è messo in pericolo dal modello americano, che è un caso particolare ed autonomo della storia d'Occidente.

Egli poi, da Uomo di grande onestà intellettuale qual è, aggiunge una considerazione condivisibilissima: le lotte di identità politica fra destre e sinistre, lotte che a suo giudizio sono terminate storicamente 60 anni fa, che sono tenute in piedi artificiosamente, e che tanti morti hanno causato da una parte e dall'altra soprattutto negli anni '70, non possono che nuocere alla causa eurasiatista. E' necessario dunque che si chiuda questo contenzioso storico, che si riflette oggi in una destra ed in una sinistra assolutamente complementari, speculari e simmetriche fra loro. Nei rapporti con gli Stati Uniti, difatti, non c'è alcuna differenza tra un Fini o un d'Alema. Ci si trova di fronte ad una "spettacolo ideologico" atto alla riproduzione sociale del ceto medio, di quello salariato, dei disoccupati e dei poveri.

La simulazione più riuscita, aggiunge il professore, e quella con la maggiore "long durèe", anche in proiezione futura, è quella tra fascismo ed antifascismo. Un secolo breve, il Novecento, che in realtà non finisce mai.

Eurasia, quindi, non deve avere solo una funzione negativa, di contrasto del sistema unipolare, ma anche positiva e propositiva; la rivista si fa portatrice di una nuova teoria politica, di una nuova concezione filosofico-culturale, che dia vita ad aggregazioni sociali vere, che aiuti chi ha un ruolo innovativo, anticipatore, di testimonianza, e che ostacoli i mistificatori. Preve qui esprime tutta la sua sfiducia nel fatto che possa nascere una massa critica minima in grado di coalizzarsi e di opporsi alla globalizzazione imperialista di dominanza americana. Il filosofo conclude affermando che non esiste nessun Impero Americano, per come la vede lui: l'impero infatti presuppone una convivenza multireligiosa, multietnica, e multiculturale, mentre gli Stati Uniti sono solo uno stato nazione militarizzato, messianico, ed imperialista.

Infine è la volta di Graziani, che si riallaccia alle considerazioni finali di Preve: l' Impero è la più alta sintesi geopolitica, organizzata su una gerarchia di poteri che svolga una funzione di protezione verso ogni cultura, religione, etnia, classe, individuo, popolo e nazione presenti all'interno del proprio Spazio. Questo presuppone un'attenta gestione dello spazio e delle sue periferie: ogni area con la sua funzione. L'Impero si basa quindi sulla funzionalità dei propri spazi, di pari valore ma non uguali. La disgregazione dell'equilibrio e quella conseguente dell'Impero interviene proprio quando ogni parte si pretende uguale all'altra: ogni ceto persegue, inorganicamente, i propri interessi, nascono i nazionalismi, che a loro volta provocano gli imperialismi. Il direttore di "Eurasia" cita in proposito due esempi: quello degli Stati Uniti, nazionalismo tramutatosi in imperialismo, e quello di Israele, entità nazionalista colonialista infiltrata forzatamente nell'ambito di un contesto imperiale vacillante (quello dell'Impero Ottomano), con una funzione quindi eminentemente distruttiva. La concezione geopolitica di "Eurasia" ovviamente si contrappone in maniera netta a quella statunitense che considera l'Europa come portaerei per una definitiva incursione geostrategica negli immensi spazi russi: la rivista, infatti, auspica la nascita di un mondo veramente multipolare, visto che oggi si è di fronte ad una reggenza unipolare.

La globalizzazione, prosegue Graziani, si è sviluppata attraverso la tecnologia, al servizio di una sola potenza; l'alter-globalizzazione propugnata da Dugin e da tutti gli eurasiatisti è invece una globalizzazione di segno contrario, è un reagire ad uno stato di cose mettendo in campo forze antitetiche. E' la costruzione di un sistema multipolare che nasce e si fortifica attorno alla Russia di Putin, vero punto di riferimento e stato-perno della massa continentale eurasiatica.

Una tendenza questa che, se si sta rivelando vincente in Europa Orientale, al contrario trova impreparata l'Europa Occidentale, da 60 anni testa di ponte della potenza d'oltreoceano. I recenti accordi strategici tra Russia, Cina, India, stanno a dimostrare che esiste già un asse consolidato fra Mosca Pechino e Nuova Delhi, al quale si sta affiancando un asse ancora in fieri, che è quello fra Parigi Berlino e Mosca. [Per ulteriori approfondimenti sull'India, passata in breve tempo da potenza regionale a ricoprire un ruolo di potenza mondiale, si rimanda al prossimo numero della rivista, che tratterà la questione molto approfonditamente]. A questi interventi è seguito un lungo dibattito, dal quale brevemente vale la pena estrapolare un paio di interventi: il primo si riferiva alla situazione in Cina, oggi divisa tra un comunismo asfissiante e centralizzatore sul piano interno, e un capitalismo altrettanto deleterio su quello esterno; secondo Preve queste situazione non durerà in eterno, visto che la Cina, come anche la Russia e l'India, hanno più volte dimostrato durante la propria Storia di "avere gli anticorpi" per superare situazioni terribili. L'uomo possiede infatti due caratteristiche vitali, che anche se latenti per decenni, alla fine sempre riemergono: la Libertà e la Solidarietà.

Il secondo intervento da citare riguarda la situazione cecena: la sua "indipendenza" (come quella del Kosovo, d'altronde), la trasformerebbe in una colonia anglo-americana. L'intento, difatti, è quello di spaccare la Russia in decine di principati, accerchiando ed in questo modo mettendo definitivamente al tappeto il gigante eurasiatico. La secessione, precisa Preve, è legittima solo se legata alla sopravvivenza di una lingua e di un popolo (come ad esempio nei Paesi Baschi).

Invece l'indipendenza di microscopici staterelli, strettamente legati alla madrepatria, come nell'ambito della C.S.I., darebbe il via ad un massacro reciproco stile ex-Jugoslavia, anche di dimensioni più ingenti. Preve conclude questa riflessione con un'inquietante domanda: chi mette in pericolo oggi l'identità italiana? Un immigrato povero di religione musulmana o chi offende e svilisce il Nostro Paese definendolo "Azienda Italia", e chi parla di diventare tutti come gli Stati Uniti?

Termina così l'incontro tenutosi nel capoluogo piemontese, per il quale vanno ringraziati, oltre ai relatori ed ai numerosi partecipanti, anche gli organizzatori di B.M. Progetto Torino, senza i quali quest'importante iniziativa non si sarebbe potuta tenere.