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Ultime notizie dal mondo

di Redazionale - 22/03/2009

 

a) La Francia rientra a pieno titolo nell'Alleanza Atlantica, ovvero nel suo comando militare integrato. Si chiude così un'era lunga 43 anni, iniziata il 7 marzo 1966, quando il generale Charles de Gaulle decideva di far uscire la Francia dal comando NATO (cfr. 11 e 12).

 

b) Afghanistan. Obama pronto a trattare con i “talebani moderati” che però non si sa chi siano e, se ci sono, rappresentano poco, molto poco (8). Intanto Il generale David McKiernan, capo delle truppe USA e NATO (missione ISAF) in Afghanistan, ammette alla Bbc che in molte zone dell’Afghanistan, in particolare nel Sud, «non stiamo vincendo» (10). Per finire, una chicchetta di cronaca giudiziaria al 13.

 

c) USA / Unione Europea. L'integrazione militare e di politica estera dell'Unione Europea nella NATO continua a ritmo sostenuto. A ricordare la valenza coloniale del progetto europeista sostenuto e finanziato da Washington già dalla fine degli anni Quaranta (12). Intanto l’Europa orientale rischia il crollo economico, con effetto domino sulle banche “occidentali”. Tutto questo a causa dell’adozione del modello economico neoliberista statunitense (1). In relazione a tutto questo val la pena dare un occhio alle riflessione di uno studioso, Nouriel Roubini, secondo il quale il sistema finanziario statunitense è di fatto insolvente (14). Da leggere a USA (9) il crack dell'Aig e le crescenti preoccupazioni per la crisi finanziaria (10).

 

 

Sparse ma significative:

 

·    Irlanda del Nord. Torna parte delle truppe d'élite britanniche (7). Uno sguardo al panorama delle organizzazioni repubblicane (10 e 11). Eire. Crisi sociale ed economica. Il Sinn Féin, in crescita di consensi, lancia la sfida al duopolio tradizionale del Fianna Fail e Fine Gael.

 

·    Sudan. Le finalità politiche dei «due pesi e due misure» del Tribunale Penale Internazionale (TPI) sull'ordine di arresto contro il presidente del Sudan, Omar al-Bashir, per crimini di guerra e lesa umanità nel Darfur. Insorgono Unione Africana, Cina e Russia che chiedono che non si arresti Al-Bashir. La partita a scacchi geopolitica si gioca anche in Africa (5).

 

·    Libano. Unifil: non è Hezbollah a lanciare razzi in Israele (4). Crescono intanto prestigio, consenso e forza di Hezbollah in vista delle elezioni previste per il 7 giugno. La Gran Bretagna ora apre ad Hezbollah (7). Già si prepara al mutamento di scenario politico nel Paese dei Cedri, a meno di sorprese dell'ultima ora o di pesanti interferenze esterne.

 

·    Pakistan. L'esito della guerra in Afghanistan lo si gioca anche in Pakistan, altra area di significativa rilevanza geopolitica e geostrategica, in preda a forti turbolenze politiche interne (14, 15).

 

·    USA / Cina. Le preoccupazioni cinesi sul debito pubblico statunitense (13). Altro al 10.

 

·    Russia: verso una NATO moscovita? (1). Putin analizza la crisi finanziaria in atto (13). Infine una chicchetta con il Venezuela bolivariano in tema di logistica militare (14).

 

·    Israele / Iraq. Il progetto espansionistico della “Grande Israele” guarda con insistenza all'Iraq (6). Intanto gruppi di pressione filoisraeliani degli Stati Uniti fanno fuori dalla corsa alla presidenza del Consiglio dell'intelligence nazionale (uno dei massimi livelli nei servizi segreti statunitensi), Charles Freeman, da molto tempo critico della politica d'Israele in Medio Oriente (Israele / USA al 12). Pressoché certo l'incarico di ministro degli Esteri, nel nuovo esecutivo di Benyamin Netanyahu, al razzista Avigdor Lieberman (cfr. Israele al 15). Intanto in Palestina continua il programma israeliano di demolizione di case palestinesi a Gerusalemme est nel quadro di un programma che per molti è di "pulizia 'etnica'" (4). Cresce la popolarità di Hamas dopo l'offensiva israeliana "Piombo fuso" (10). Infine, sempre per il campo palestinese, un paio di notiziole al 13 e al 15.

 

 

Tra l’altro:

 

Belgio (11 marzo).

Italia (10, 14 marzo).

Somalia (13 marzo).

Iraq (13 marzo).

Iran (2, 10, 11 marzo).

Kirghizistan (4 marzo).

Sri Lanka (9 marzo).

Venezuela (6 marzo).

Salvador (13 marzo).

Colombia (1 marzo).

Bolivia (9 marzo).

 

 

  • Unione Europea. 1 marzo. L’Europa orientale rischia il crollo economico, con effetto domino sulle banche “occidentali”. Tutto questo a causa dell’adozione del modello economico neoliberista statunitense. Secondo quanto riferisce l’analista politico Mike Whitney, «l’Ucraina sta dondolando sull’orlo della bancarotta. Polonia, Lettonia, Lituania e Ungheria sono tutte scivolate in una lenta depressione. I paesi che hanno seguito il regime economico di Washington sono quelli che stanno soffrendo di più. Essi credevano che una crescita fomentata dal debito e dalle esportazioni avrebbe portato alla felicità. Quel sogno è andato in pezzi. Non hanno sviluppato i loro mercati di consumatori, quindi la domanda è debole (…) C’è bisogno di fondi extra per coprire il valore in caduta del loro capitale. Hanno bisogno dell’aiuto del FMI, o le loro economie continueranno a deteriorarsi».

  • Unione Europea. 1 marzo. Il prestigioso giornalista economico Ambrose Evans-Pritchard lo definisce «il disastro dei subprime dell’Europa». Sul quotidiano britannico Daily Telegraph, Pritchard rileva come il grosso dei debiti dell’Est Europa sia detenuto da banche austriache, svedesi, greche, italiane e belghe. «In più, gli europei sono titolari di un sorprendente 74% del portfolio complessivo di 4900 miliardi di dollari di prestiti ai mercati emergenti. Essi sono cinque volte più esposti a questa ultima crisi rispetto alle banche americane o giapponesi, e hanno un rapporto di indebitamento più alto del 50% (dati del FMI)». Per questo motivo «il ministro della finanza austriaco, Josef Pröll, ha fatto degli sforzi frenetici la scorsa settimana per mettere assieme la somma di 150 miliardi di Euro per soccorrere i paesi dell’ex blocco sovietico (…) Le sue banche hanno concesso prestiti alla regione per 230 miliardi di Euro, corrispondenti al 70% del PIL dell’Austria (…) Un tasso di fallimento del 10% [inteso come mancato rientro dei prestiti, ndr] porterebbe al collasso del settore finanziario austriaco».

 

  • Russia. 1 marzo. Concesso alla Bielorussia un finanziamento di 2 miliardi di dollari per creare un sistema unificato di difesa aerea. L’Armenia ha ottenuto un credito di 500 milioni di dollari per la stabilizzazione della critica situazione economica interna. Al Kirghizistan sono stati concessi crediti fino a 2 miliardi di dollari, in cambio della decisione, ratificata pochi giorni dopo il vertice dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), di “sfrattare” i militari USA dal territorio nazionale, attraverso la chiusura della base aerea di Manas, ottenuta in concessione dagli Stati Uniti al tempo dell’attacco contro l’Afghanistan. Alcune settimane fa, il 4 febbraio 2009, nel corso del vertice dei paesi membri dell'OTSC della Confederazione degli Stati Indipendenti (CSI), i presidenti di Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan hanno sottoscritto un accordo per la creazione di una forza collettiva di reazione rapida, ricalcata, anche per dimensione delle forze militari, sull'analoga forza dell’Alleanza Atlantica.

 

  • Russia. 1 marzo. Gli obiettivi del Cremlino mirano, in tutta evidenza, non solo a fronteggiare qualsiasi tentativo di aggressione esterna, ma soprattutto a porre termine all’espansione degli Stati Uniti e del suo sistema di alleanze nello spazio ex sovietico. Ad accelerare la decisione ha pesato la situazione venutasi a creare dopo il conflitto russo-georgiano dell’estate scorsa, che di fatto ha saggiato la capacità di reazione militare della Russia. Per far fronte agli impegni imposti dal nuovo accordo, tutti i paesi membri dell’OTSC dovranno rivedere la propria legislazione, per eliminare i possibili impedimenti alla partecipazione a quello che si configura, se non come un vero e proprio blocco militare, come un accordo di stretta cooperazione.

  • Iran / Iraq. 1 marzo. Khamenei: Washington deve lasciare l’Iraq quanto prima. La Guida suprema iraniana, l'Ayatollah Ali Khamenei, ha affermato che gli Stati Uniti dovrebbero lasciare l’Iraq molto prima di quanto previsto. Lo ha detto ricevendo a Tehran il presidente iracheno Jalal Talabani. «Le forze d'occupazione anglo-americane stanno preparando il terreno per una permanenza a lungo termine in Iraq. Si tratta di una questione seria che le autorità irachene non dovrebbero trascurare», ha dichiarato Khamenei, aggiungendo che «gli occupanti devono lasciare l'Iraq al più presto, perché anche un giorno di ritardo nel loro ritiro infligge più danni alla nazione irachena». L'ayatollah Khamenei ha anche sollecitato il governo di Baghdad a realizzare l’accordo raggiunto con Teheran per quanto riguardo l’espulsione dal suolo iracheno dei "Mujaheddin del popolo", autori di numerosi attentati terroristici nella Repubblica islamica e presenti sul territorio iracheno con diverse basi militari, tra cui la principale di Ashraf, nei pressi di Baquba. Organizzazione sostenuta dagli Stati Uniti che la considerano un valido strumento per cercare di destabilizzare l'Iran. Talabani, da parte sua, ha definito «positivo e costruttivo» l'esito dei colloqui con le autorità iraniane e ribadito che un rafforzamento delle relazioni tra Teheran e Baghdad favorirebbe anche la pace e la stabilità nella regione.

 

  • Colombia. 1 marzo. Per le FARC, la morte di Reyes ha chiuso le vie per un accordo politico. Le Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (FARC) hanno così ricordato il bombardamento su suolo ecuadoriano (con logistica d'appoggio USA) di un anno fa di una base guerrigliera, in cui morì il suo portavoce Raúl Reyes ed altre 25 persone. Le FARC hanno detto che la morte di Reyes è stato «un colpo sensibile per la nostra organizzazione. Ma molto di più è stata una pugnalata che ha colpito in modo molto significativo la possibilità reale di conquistare la pace in Colombia».

 

  • Iran. 2 marzo. Teheran ribadisce di non volersi dotare di armi nucleari. «È solo propaganda», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Hassan Qashqavi, in merito alle affermazioni del capo di Stato maggiore degli Stati Uniti, il generale Michael Mullen, secondo cui Teheran possiede già una quantità di uranio arricchito che, sottoposto ad ulteriori processi, potrebbe essere impiegato per costruire la prima bomba atomica del Paese. Qashqavi non ha confermato o smentito la quantità di uranio arricchito a basso livello in possesso di Teheran, ma ha detto che, se anche la Repubblica islamica volesse avanzare con il processo di arricchimento dell’uranio, l'Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica lo scoprirebbe subito perché essa «controlla con le telecamere le nostre attività, esamina il livello di arricchimento e sa quanto uranio abbiamo fino all'ultimo grammo». L’uranio arricchito fra il 3 e il 5%, come quello prodotto finora dall'Iran nell’impianto di Natanz, può essere impiegato per alimentare centrali nucleari per la produzione di energia elettrica. Per costruire ordigni nucleari è necessario ottenere uranio arricchito almeno al 90%. Intanto mentre il programma nucleare pacifico dell’Iran è oggetto di continue ispezioni da parte dell’AIEA, Israele, in possesso di almeno 200 testate nucleari, non ha mai visto sul suo territorio un solo ispettore dell’AIEA.

 

  • Iran. 2 marzo. Il capo del Pentagono, Robert Gates, smentisce Mike Mullen sul nucleare iraniano. Gates, parlando in un'intervista alla Nbc, ha ribadito di essere certo che l'Iran «al momento non è vicina ad avere il quantitativo necessario di uranio arricchito e non sono vicini a realizzare una bomba e pertanto c'è ancora del tempo». Le parole di Gates seguono una dichiarazione dell'ammiraglio Mullen che aveva annunciato alla CNN: «Possiamo dire con una certa franchezza che Teheran ha abbastanza materiale per costruire un ordigno nucleare». Si tratta quindi della prima disputa pubblica tra il capo del Pentagono, uno dei ministri repubblicani confermato da Barack Obama, ed il militare più alto in grado nominato da George Bush nel giugno 2007.

 

  • Israele. 3 marzo. Procede la colonizzazione israeliana. Stando all'organizzazione israeliana Peace Now, Israele progetta la costruzione di oltre 73.300 nuove unità abitative nei Territori palestinesi occupati della Cisgiordania per ingrandire le colonie sioniste illegali. Se il progetto venisse realizzato, la colonizzazione illegale dei Territori palestinesi registrerebbe una crescita del 100%. Un dossier israeliano, citato dall'agenzia Infopal, ha rivelato che il Ministero dell'Edilizia Abitativa ha progettato la costruzione di 73.300 unità abitative nelle colonie che si trovano in Cisgiordania e nella parte orientale di Gerusalemme. L'organizzazione israeliana per i diritti umani Peace Now ha dichiarato in un suo rapporto che il Ministero ha decretato la costruzione di almeno 15mila unità abitative. Vi sarebbero inoltre progetti per la costruzione di altre 58mila ancora da approvare. Peace now ha raccolto questi dati sul sito online denominato Portale Geografico Nazionale, in cui si trovano carte e informazioni attinenti ai progetti abitativi israeliani. Le unità abitative pianificate sarebbero 73.302, di cui 5.722 nella parte orientale di Gerusalemme. Sarebbero state approvate 15.156 unità, di cui 8.950 già costruite, mentre altre 58.146 unità sarebbero in fase di progettazione. Peace Now ha riferito che con la realizzazione di questi progetti il numero dei coloni dovrebbe aumentare di almeno 300mila unità.

 

  • Israele. 3 marzo. Il segretario di Peace Now, Yariv Ovenhaimer, ha dichiarato alla radio dell'esercito israeliano che «nel caso in cui venga realizzato, questo progetto coloniale impedirà definitivamente la nascita di uno Stato palestinese». Ha quindi sottolineato con forza che «l'esistenza stessa di questi progetti significa la fine della prospettiva di due Stati per due popoli. Significa trasformare l'area compresa tra il Giordano e il Mediterraneo in un unico Stato che impedirà il raggiungimento di una soluzione reale alla questione palestinese».

 

  • USA. 3 marzo. La CIA ha distrutto 92 video sulle tecniche utilizzate negli interrogatori contro i “presunti terroristi”. Secondo quanto riportato da Fox News, alcuni video avrebbero mostrato anche immagini sul ricorso al waterboarding, la discussa pratica di tortura della sensazione di affogamento con la testa immersa nell'acqua, più volte denunciata.

 

  • Libano. 4 marzo. Unifil: non è Hezbollah a lanciare razzi in Israele. La missione ONU in Libano Unifil comunica di aver appurato con certezza che i misteriosi razzi lanciati recentemente verso Israele dal Libano non sono opera di Hezbollah. Secondo la rete satellitare Press Tv, la dichiarazione fatta dal rappresentante del segretario generale Ban Ki Moon in seno alle forze Unifil conferma le precedenti dichiarazioni degli Hezbollah libanesi che avevano negato ogni sorta di coinvolgimento nel lancio dei razzi.

 

  • Israele. 4 marzo. Prosegue il programma israeliano di demolizione di case palestinesi: previsto l'abbattimento di decine di abitazioni a Gerusalemme est con inquilini che potrebbero lasciare la città. La decisione del proseguimento di questo programma di "pulizia 'etnica'" è stata criticata dalla segretaria di Stato USA che non lo gradisce per chiare ragioni di inopportunità politica 'di fase'.

 

  • Kirghizistan. 4 marzo. Il presidente kirghizo fa marcia indietro e consentirà la permanenza alle truppe USA. Il presidente Kurmanbek Bakiyev ha nuovamente aperto la porta alla possibilità di utilizzo statunitense della base aerea nel nord del Paese, principale scalo per le operazioni NATO in Afghanistan. La base statunitense Manas si trova a solo due ore di volo da Kabul e da qui passano ogni mese 15mila soldati, nelle loro via di ingresso e d'uscita per l'Afghanistan. Il mese scorso ne era stata annunciata la chiusura, ma oggi il presidente in un'intervista rilasciata alla Bbc ha detto che l'utilizzo della base sarà soggetto a nuovi negoziati. Il parlamento aveva votato con una maggioranza schiacciante per la chiusura della base e gli Stati Uniti avevano iniziato la ricerca di nuove vie per gli approvvigionamenti militari da inviare a Kabul. Bakiyev ha dichiarato che la sua precedente decisione era legata al rifiuto di Washington di pagare un affitto più alto. La nuova decisione arriva in una fase difficile per l’amministrazione Obama, poiché a breve verranno incrementate di alcun migliaia di unità le truppe USA presenti in Afghanistan. Intanto proseguono i negoziati con Russia, Uzbekistan e Kazakistan per ottenere corridoi di rifornimento sotto la gestione NATO.

 

  • Sudan. 5 marzo. Unione Africana, Cina e Russia chiedono che non si arresti Al-Bashir. La Presidenza dell'Unione Africana (UA) ha inoltrato al Consiglio di Sicurezza dell'ONU la richiesta di «sospensione» dell'ordine di arresto contro il presidente del Sudan, Omar al-Bashir, per crimini di guerra e lesa umanità nel Darfur. Ha quindi denunciato «i due pesi e le due misure» del Tribunale Penale Internazionale (TPI) per non «perseguire gli autori dei crimini contro l'umanità in Afghanistan, Palestina e Irak». Cina e Russia, insieme ad altri paesi arabi ed africani, hanno sottoscritto questa richiesta di interruzione esecutiva dell'ordine «per dare un'opportunità alla pace in Sudan». L'art. 16 dello Statuto di Roma, il testo fondativo di questo tribunale, permette al Consiglio di Sicurezza di sospendere qualunque processo in corso. Allo stesso tempo la UA ha chiesto al governo sudanese di continuare «sulla via della pace». A spingere sul Tribunale Penale Internazionale sono gli USA che, senza nemmeno il sostegno delle Nazioni Unite, e nemmeno riconoscendo la legittimità del TPI per evitare che si indaghi e si condanni sui propri crimini, hanno esercitato pressioni perché questo Tribunale spiccassee un mandato di cattura per “genocidio” contro il presidente del Sudan.

 

  • Sudan. 5 marzo. Accuse ad Israele di essere dietro al conflitto del Darfur. A muoverle è il presidente libico Muhamar el-Gadafi, attualmente presidente di turno dell'Unione Africana (UA), che ha aggiunto di avere «prove tangibili ed inequivocabili» che dimostrano che il conflitto è «alimentato da forze straniere». Qin Gang, portavoce del ministero degli Esteri cinesi, ha dichiarato senza mezzi termini che Pechino si opporrà a «qualunque atto che interferisca nella situazione in Sudan e nel Darfur». Entrambi i paesi mantengono importanti accordi commerciali. Anche Algeria ed Iran si sono espressi contro il possibile arresto di Al-Bashir ed il doppiopesismo della cosiddetta "comunità internazionale". Intanto nella capitale sudanese, Khartoum, una manifestazione oceanica si è concentrata in strada per sostenere Al-Bashir. Questi, parlando alla folla, ha sottolineato che «coloro che dovrebbero essere portati davanti alla Giustizia sono quelli che hanno sterminato il popolo in Vietnam, quelli che hanno commesso il genocidio di Hiroshima e Nagasaki e quelli che hanno assassinato il popolo dell'Iraq con ogni tipo di arma proibita (...). «I veri criminali si trovano negli Stati Uniti ed in Europa».

 

  • Sudan. 5 marzo. Non sono solo le pur importanti riserve minerarie del Darfur, tra cui l’uranio, nonché la scoperta di ingenti riserve petrolifere in Darfur (i cui diritti d’estrazione il governo sudanese ha tolto alle multinazionali "occidentali" per affidarli alla Cina), che hanno spinto USA e in subordine Francia ad intervenire per soggiogare un regime politico non compiacente. Ci sono anche peculiari e differenti ambizioni di potenza: Washington mira a contrastare la penetrazione cinese in Africa; Parigi a mantenere una grandeur tardo-coloniale nel continente. Da qui la volontà di esasperare un conflitto tramite embargo e fomentando la guerra civile nel Darfur, con il sostegno anche armato a certi gruppi, con ricadute d'interesse più ampio nell'area attraverso l'internazionalizzazione del conflitto. Voluto è il coinvolgimento, a diverso titolo, di paesi confinanti con il Sudan, come il Ciad e la Repubblica Centro-Africana da un lato, ed Egitto, Libia, Etiopia e Eritrea dall'altro.

 

  • Israele / Iraq. 6 marzo. Il progetto espansionistico della “Grande Israele” prosegue in Iraq. L'obiettivo è assumere non solo il controllo totale della Cisgiordania, della Striscia di Gaza, delle alture del Golan (in territorio siriano) ed espandersi nel Sud del Libano, ma anche una porzione dell'Iraq, considerata parte della “Grande Israele” biblica dal Nilo all’Eufrate. Il giornalista statunitense Wayne Madsen ha rivelato in un resoconto circolato sulla stampa statunitense la segreta ma estesa campagna di infiltrazione degli israeliani in Iraq a partire dalla conquista della regione del Kurdistan. Sionisti di origini curde vengono inviati da Israele nella regione e, sotto la copertura di attività religiose, le delegazioni si occupano di acquisti di terre, in pratica ripetendo lo scenario degli inizi del secolo scorso in Palestina. Nel giugno del 2003 una delegazione israeliana ha visitato Mossul affermando che era intenzione di Israele, con l'aiuto di Barzani, porre i santuari di Giona e di Nahum, a Mossul stessa, sotto il controllo israeliano. Pellegrini israeliani, fu dichiarato, avrebbero raggiunto l'area di Mossul attraverso la Turchia e rilevato i terreni dove avevano vissuto i cristiani iracheni.

 

  • Israele / Iraq. 6 marzo. Da Israele migliaia di israeliani vengono inviati in città irachene come quelle di Mossul e Ninive, in un’operazione che sarebbe condotta in accordo con il Governo Regionale kurdo ed il consenso dei leader Talabani e Barzani. Kurdi, iracheni sunniti e turkmeni hanno notato che i kurdi israeliani hanno cominciato a comprare terre nel Kurdistan iracheno dopo l'invasione statunitense del 2003. Gli israeliani sono particolarmente interessati ai santuari del profeta ebreo Nahum, che si trova ad al-Qush, a quello del profeta Giona, che si trova a Mossul e alla tomba del profeta Daniele, a Kirkuk. Gli israeliani stanno anche cercando di rivendicare “proprietà ebraiche” al di fuori della regione curda, fra di esse il santuario di Ezechiele, nel villaggio di al-Kifl, in provincia di Babele, vicino a Najaf e la tomba di Ezra, ad al-Uzayr, nella provincia di Misan, vicino a Bassora, entrambi nel Sud dell'Iraq, in territorio sciita. Gli espansionisti israeliani considerano queste tombe e questi santuari parte della “Grande Israele”, alla stregua di Gerusalemme e della Cisgiordania, che loro chiamano Giudea e Samaria. Per scacciare le popolazioni residenti nei territori rivendicati da Israele, elementi del Mossad organizzano attacchi terroristici contro i caldei cristiani, in particolare a Ninive, Irbil, al-Hamdaniyya, Bartalah, Talasqaf, Batnayah, Bashiqah, Elkosheven, Uqrah e Mossul. Gli attacchi degli israeliani e dei loro alleati sono normalmente attribuiti ad “al-Qaeda” e ad altri gruppi della “jihad islamica”. Il Mossad si occupa tra l’altro di addestrare le truppe kurde dei Peshmerga.

 

  • Venezuela. 6 marzo. Esproprio degli impianti della transnazionale statunitense, Cargill, ed un'«inchiesta giudiziaria» contro la stesssa. A disporlo è stato il presidente venezuelano, Hugo Chávez. L'accusa: «violazione» delle leggi locali che garantiscono l'accesso all'alimentazione di qualità e a buon mercato.

 

  • Irlanda del Nord. 7 marzo. Malessere per la richiesta del ritorno delle truppe d'élite britanniche in Irlanda. La richiesta è venuta dalla più alta carica politica nordirlandese, Hugh Orde, che ha chiesto l'intervento delle forze d'élite militari britanniche nella sicurezza nordirlandese. Lo ha fatto senza nemmeno consultare o informare i rappresentanti politici del Consiglio di Polizia. Si tratta di un grave colpo inferto al compromesso raggiunto, anche in merito alla sicurezza dell'Irlanda del Nord, con il processo di pace. Per il Sinn Féin ciò rende più urgente il trasferimento dei poteri giudiziari e di polizia all'esecutivo di Belfast, che ci si aspetta abbia luogo per quest'estate.

 

  • Libano. 7 marzo. Hezbollah “terrorista”? No per il fedele alleato degli USA, la Gran Bretagna. L’ambasciatrice britannica a Beirut ha definito molto importante il ruolo e il potere politico del partito Hezbollah. L'annuncio britannico di aver dato via libera a contatti con il movimento di resistenza libanese Hezbollah, confermato ieri anche dal ministro degli Esteri David Milliband, è stato giudicato come un «passo nella direzione giusta» da Ibrahim al Moussawi, portavoce di Hezbollah, citato da Al Manar. Secondo al Moussawi, ora, si tratta di vedere come esso si tradurrà «in passi concreti». Nell’ambito di una riunione di un comitato parlamentare britannico, il ministro per il Foreign Office Bill Rammell aveva affermato ieri che Londra ha «rivisto la propria posizione» riguardo al movimento libanese Hezbollah «alla luce di sviluppi positivi avvenuti in Libano», come la formazione del governo di unità nazionale nell'estate del 2008. «Per questa ragione abbiamo esplorato le vie per creare relazioni» con il movimento di resistenza libanese, ha spiegato Rammell. Pochi giorni fa, il vice segretario generale di Hezbollah lo sceicco Naem Kassem ha dichiarato che ambasciatori e inviati stranieri farebbero «la fila» per poter incontrare esponenti della resistenza islamica libanese. Intanto, in prossimità delle elezioni parlamentari in Libano, il regime sionista israeliano ha aumentato notevolmente la presenza dei propri aerei da bombardamento nel cielo del Libano, in aperta violazione (l’ennesima) della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite.

 

  • Libano. 7 marzo. Hezbollah, “partito di Dio”, nato agli inizi degli anni Ottanta in conseguenza dell’invasione israeliana nel sud del paese, è il grande favorito alla vittoria nelle prossime elezioni previste per il 7 giugno. Una vittoria elettorale di Hezbollah in Libano risulterebbe un nuovo smacco per i sionisti. Ely Karmon, esperto di antiterrorismo di Israele, già consulente del Ministero della Difesa di Tel Aviv ed autore di saggi di politica internazionale, intervistato recentemente da Roberto Santoro per L'Occidentale afferma: «Secondo la maggioranza degli osservatori sarà questo il risultato delle prossime elezioni. Hezbollah avrà la maggioranza. Ci sono delle ragioni di tipo demografico ma anche politiche: consideriamo il fatto che Hezbollah è alleato con i cristiano-maroniti di Michel Aoun, per esempio. Se Hezbollah vincerà in Libano avremo un altro Paese che da essere filo-occidentale diventa filo-iraniano. Sfortunatamente questo è il risultato della politica estera portata avanti dalle grandi potenze, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, ma anche da parte di Israele (...). Adesso è troppo tardi. La probabile vittoria di Hezbollah è anche causata dal comportamento dei Paesi del Golfo, come il Qatar, un altro di quegli Stati filo-iraniani più che filo- occidentali».

 

  • Libano. 7 marzo. Un’opzione militare contro il Libano, dopo la guerra dell’estate 2006, viene per il momento considerata assolutamente improponibile. Attualmente Israele non ha la forza, né la capacità militare, per opporsi nuovamente e su vasta scala al movimento di liberazione nazionale libanese. Vari servizi di sicurezza hanno lanciato più volte l'allarme: qualora Tel Aviv intendesse invadere il Libano, le sorprese sarebbero amarissime. Politicamente Hezbollah è più forte di tre anni fa. Nell'ultimo grande raduno organizzato un mese or sono a Beirut sud dal movimento sciita, in occasione del primo anniversario del martirio di Imad Moughnyeh (capo militare di Hezbollah assassinato dal Mossad a Damasco con un'autobomba nel febbraio 2008), Nasrallah aveva sostenuto che la Resistenza libanese aveva il diritto di dotarsi di un valido sistema anti-aereo per difendere i cieli del Libano meridionale dalle continue incursioni spionistiche dell'aviazione di Tel Aviv. Nell'occasione dichiarava che «è un nostro diritto inalienabile dotarci di qualunque mezzo, qualsiasi tipo di armamento anche anti-aereo, e di servircene se lo riterremo opportuno, per difendere il nostro popolo» e lasciava intendere che, con molta probabilità, il gruppo disporrebbe già di sofisticati sistemi di difesa anti-aerea provenienti dalla vicina Siria. Nasrallah ha insistito sull'elemento sorpresa che contraddistingue da sempre la strategia difensiva ed offensiva della Resistenza Islamica. «Se gli israeliani pensano di poter continuare a fare ciò che vogliono sui cieli libanesi noi diciamo loro che saremo pronti a difenderci in qualunque momento» e, negando di volere un nuovo conflitto (scatenato dai sionisti nell'estate di tre anni fa) ha però evidenziato come «se abbiamo o meno certe armi questo è affar nostro» affermando perentoriamente che «la Resistenza ha il coraggio e la volontà di utilizzare» simili dispositivi.

 

  • Libano. 7 marzo. Dopo le consultazioni elettorali di giugno Hezbollah, assieme agli alleati sciiti di Amal e al Movimento Patriottico Libero di Aoun, potrebbe addirittura accedere al governo del Libano. È in questo quadro che sono cominciate delle manovre diplomatiche da parte di numerosi governi europei per comprendere esattamente direzione ed indirizzi futuri della politica libanese. In particolare la Gran Bretagna sembra aver mutato atteggiamento. Contatti giudicati positivi dalla stampa libanese e confermati dagli stessi dirigenti del “Partito di Dio”. Una svolta nelle relazioni diplomatiche per Downing Street se si considera che soltanto otto mesi fa Londra aveva inserito l'ala militare del movimento sciita nella lista delle cosiddette «organizzazioni terroristiche» distinguendola però dal braccio politico. Una mossa che stante a fonti diplomatiche sarebbe concordata con Washington. All’interno di Hezbollah non si nutrono comunque molte aspettative alle offerte di distensione e al riavvicinamento tentato finora dalla nuova amministrazione statunitense guidata da Barak Obama. Da quanto filtrato alla stampa libanese pare che la nuova amministrazione USA abbia interesse ad aprire un canale privilegiato con gli uomini del Partito di Dio libanese ponendo condizioni definite «inaccettabili» per Hezbollah: il riconoscimento di Israele e il disarmo della Resistenza. Hezbollah non riconoscerà mai quello che viene definito «uno Stato criminale fondato sulla violenza ed il terrorismo contro i paesi arabi vicini» e «nemico della coabitazione pacifica» nella regione.

 

  • Afghanistan. 8 marzo. Obama pronto a trattare con i “talebani moderati”. L’amministrazione democratica, dopo aver invitato la Repubblica Islamica dell'Iran a prendere parte alla conferenza per la pace in Afghanistan, ha dovuto dichiararsi pronta a trattare con alcuni gruppi di “talebani moderati”. In un’intervista al New York Times, Barack Obama si è detto favorevole a questa ipotesi e ha ammesso che gli Stati Uniti d'America non stanno vincendo la guerra nel Paese asiatico. Tutto ciò mentre ieri centinaia di cittadini a Kabul hanno manifestato per le strade contro il massacro quotidiano di civili afghani durante le operazioni militari NATO. Facendo un parallelo con la strategia che ha consentito di avviare la smobilitazione in Iraq, Obama ha affermato che: «se parlate al Generale Petraeus, penso affermerà che parte del successo In Iraq è consistito nel raggiungere persone che noi considereremmo fondamentalisti, ma che erano disposte a lavorare con noi perché completamente in disaccordo con le tattiche di Al-Qaida in Iraq», ricordando comunque che la situazione in Afghanistan è molto più complessa: «è una regione poco governata, con una storia di fiera indipendenza tribale. Queste tribù sono tante e talvolta operano con obiettivi sovrapposti, quindi capire la situazione sarà una impresa ardua». Obama non è comunque sceso in ulteriori dettagli, salvo auspicare una maggiore collaborazione con il Pakistan nella lotta ai talebani, poiché la definizione della strategia statunitense per l'Afghanistan ed il Pakistan è tutt'ora in via di definizione. Comunque il presidente afgano Hamid Karzai ha accolto con favore la proposta di Obama dicendo che «chiunque ha a cuore il futuro del paese è il benvenuto al tavolo delle trattative. È da molto tempo che noi auspichiamo un'apertura nei colloqui e appoggeremo in tutto l'iniziativa degli USA».

 

  • Sri Lanka. 9 marzo. Nuovi scontri tra esercito cingalese e militanti delle Tigri Tamil, nel fine settimana scorso. All'offensiva militare cingalese, che ha il sostegno di Israele e Stati Uniti, le Tigri stanno resistendo in un'area sempre più ristretta nel nord est dell'isola.

 

  • USA / Unione Europea. 9 marzo. Il crack dell’AIG trascinerebbe con sé anche le banche europee. Senza un quarto intervento di salvataggio da parte delle autorità statunitensi, American International Group crollerebbe, trascinando con sé altre società di assicurazioni e costringendo anche le banche europee a nuovi aumenti di capitale. Lo scrive la stessa AIG, considerata la più importante compagnia assicurativa mondiale. In un documento di 21 pagine anticipato dalla Bloomberg, il gruppo chiede immediati aiuti da parte della Federal Reserve e del dipartimento del Tesoro, per evitare un crack catastrofico dagli effetti ancora peggiori di quello della banca d’affari USA Lehman Brothers (15 settembre 2008). «Quello che sta succedendo ad AIG può innescare un effetto domino con ulteriori fallimenti che non potranno essere fermati se non con mezzi straordinari», si legge nel documento datato 26 febbraio.

 

  • USA / Unione Europea. 9 marzo. Quando nel 2004 l’allora Governatore della FED Alan Greenspan inverte la politica monetaria espansiva a bassissimi tassi d’interesse inaugurata nel 2001, la fine, almeno temporanea, della fase di ascesa dei corsi azionari indusse gli operatori di mercato, per evitare perdite in conto capitale, ad utilizzare vari strumenti, senza ovviamente frenare attività come quella lucrosissima di concessione di mutui subprime. Il principale tra gli strumenti utilizzati è l’assicurazione sui crediti. In tale attività si è presto distinta proprio l’AIG, società che nel settembre 2008 venne salvata dalla Federal Reserve rifinanziandola per ben 79 miliardi di dollari e acquisendone l’80% delle azioni. Il mercato dei CDS (Credit default Swap, le assicurazioni sui rischi di fallimento) dal 2005 è così cresciuto di ben sessanta volte. Molte polizze di assicurazione sono state comprate a fini esclusivamente speculativi. L’AIG, affiancata da JP Morgan, Goldman Sachs e Bear Stearns, poi assorbita dalla banca Morgan, ha costituito il centro del mercato.

 

  • USA / Unione Europea. 9 marzo. A partire dal 2004 gli operatori temono che l’età dell’oro possa finire, ma è troppo duro diminuire la scala di operazioni sempre più complicate, incomprensibili e rischiose, ma enormemente redditizie. Allora si continua allo stesso ritmo ma ci si tranquillizza accendendo su ciascuna operazione una o anche più polizze di assicurazione. Ci si vuol convincere che l’assicuratore possa far fronte, in caso di necessità, a tutti i propri impegni. Ed è proprio qui che il modello fallisce. L’assicuratore stesso investe i proventi dei premi che riceve. Crede di far bene comprando la parte più "sicura" di crediti di varia natura, assemblati da società finanziarie specializzate e dotati del marchio di qualità apposto dalle ineffabili società di rating. Poi accade che tale marchio sia rivisto in peggio dalle stesse società, quando comincia la saga dei mutui subprime. Quel che si credeva ottimo comincia a essere valutato molto meno di prima, e l’AIG si trova di fronte alla necessità di trovare una enorme quantità di capitali per garantire le polizze che ha emesso. Il mercato dei CDS ricopre un ruolo fondamentale nel funzionamento del modello finanziario inventato dalle grandi banche d’affari USA e connesso al sistema finanziario globale, particolarmente quello degli Stati europei da quando, grazie alle direttive dell’Unione Europea, hanno scelto di importare il modello di finanza anglosassone. Senza la finzione di assicurazione offerta da imprese come l’AIG non si sarebbe potuto spingere il mercato dei mutui sub prime fino agli estremi a cui è arrivato. Ma nemmeno quello dei crediti al consumo, delle carte di credito e dei mutui appena sopra quelli subprime. È in altre parole l’intera finanza speculativa a richiedere la finzione assicurativa, perché essa permette la apparente liquidità degli strumenti inventati e li fa circolare. Ora l’assicuratore di tutto il sistema è diventato lo Stato, che a sua volta addossa i costi delle speculazioni ai contribuenti. Quanto durerà? Se l’esito finale sarà comunque la nazionalizzazione, non sarebbe meglio far implodere l’AIG (con management e grandi azionisti) e questa illusione delle assicurazioni sulle insolvenze/defaults, ed evitare che centinaia di miliardi di denaro dei contribuenti continui a finanziare gli artefici di questo immane disastro?

 

  • Bolivia. 9 marzo. Morales espelle diplomatico USA con accuse di golpe. Il presidente boliviano, Evo Morales, ha annunciato l’espulsione del secondo segretario dell’ambasciata USA a La Paz, Francisco Martinez, accusandolo di cospirare contro il suo governo. «Ho dichiarato 'persona non grata' Francisco Martinez, che lavora all'ambasciata degli Stati Uniti a La Paz», ha detto Morales durante la cerimonia di investitura del nuovo comandante della polizia boliviana, Víctor Hugo Escobar. Nel settembre scorso, il presidente boliviano aveva già espulso l’ambasciatore statunitense a La Paz, Philip Goldberg, accusando anche lui di tramare contro il suo esecutivo. Secondo informazioni dell'intelligence boliviano, diffuse dai media locali, Martinez si era riunito in varie occasioni con gruppi dell'opposizione durante la crisi del settembre scorso, sfociata nel massacro di Pando, durante il quale furono uccisi almeno 20 contadini. Morales ha anche sospeso, nel novembre scorso, la collaborazione del suo paese con l’agenzia USA per lo sviluppo (Usaid) e con la DEA, l'agenzia statunitense formalmente contro il narcotraffico, attive nella regione di Cochabamba, accusando i suoi agenti di spionaggio.

 

  • Irlanda del Nord. 10 marzo. Il processo di pace continua ormai da anni a versare in una situazione di stallo da cui appare effettivamente difficile uscire. Per molti l'attentato di sabato notte non è stato quindi una sorpresa. Lo stesso capo della nuova polizia nordirlandese (la Psni), Hugh Orde, aveva denunciato che una azione armata era a suo avviso imminente, quarantotto ore dopo la rivelazione che una delle notorie unità militari delle forze speciali (i corpi legati a molti omicidi 'di stato') era stata rispedita nel nord Irlanda. Ha sorpreso l'obiettivo (difficile) nel quale sono morti due militari britannici e quattro sono rimasti feriti: una base di militari inglesi (a Massereene, nella contea di Antrim) altamente preparati ed estremamente fortificata e difesa da guardie della sicurezza armate. Quindi un attentato piuttosto sofisticato dal punto di vista della preparazione e anche dell'esecuzione. La rivendicazione è venuta dalla Real IRA, una formazione di fuoriusciti dell'IRA nata sulla contestazione di un processo di pace irlandese visto come la non cessazione dell'occupazione britannica. Nel comunicato all'Irish Sunday Post, chi ha chiamato (a nome della South Armagh Brigade di Real IRA) ha rivendicato l'attentato dicendo che «non dobbiamo alcuna scusa per aver colpito dei soldati inglesi» e ha aggiunto anche che i due fattorini che consegnavano le pizze alla caserma e che sono rimasti feriti nell'attentato «sono stati colpiti in quanto collaboratori dell'occupazione inglese in Irlanda». Nei mesi scorsi numerosi sono stati gli arresti e i fermi dalla polizia nella galassia repubblicana. Quello di sabato notte è il primo attentato contro le forze della Corona in oltre sei mesi. Da sei anni non si registrava una vittima tra i militari britannici.

 

  • Irlanda del Nord. 10 marzo. Il vice primo ministro nordirlandese, Martin McGuinness (Sinn Féin), ha ieri dichiarato: «Ho sostenuto l'IRA durante il conflitto; io stesso sono stato un militante dell'IRA, ma la guerra è finita. I responsabili dell'attacco dell'altra notte hanno lanciato un chiaro segnale: vorrebbero riprendere la guerra». Per il presidente del Sinn Fein, Gerry Adams, l'attentato è stato «un attacco al processo di pace. È un atto sbagliato e controproducente. I repubblicani irlandesi e i democratici devono opporsi a questo genere di azioni e difendere il processo di pace. La nostra strategia è quella di far cessare l'occupazione inglese del nostro paese con mezzi pacifici e democratici». Adams ha infine ribadito che «il processo di pace è stato costruito con mille difficoltà ed è evidente che ci sono ancora elementi all'interno dell'unionismo e del sistema britannico che non vogliono che esso venga realizzato completamente».

 

  • Irlanda del Nord. 10 marzo. Sono almeno sette gli ufficiali di polizia feriti in attentati messi in atto negli ultimi mesi da organizzazioni dissidenti repubblicane. Di questi gruppi il più noto è la Real IRA (RIRA). Il gruppo è nato attorno a volontari ed attivisti politici repubblicani, i più noti Michael McKevitt –uno dei dirigenti dell'IRA Provisional, incarcerato dal 2001 per una condanna a vent'anni per «dirigere una organizzazione terrorista»– e sua moglie, Bernadette Sands –sorella dello scioperante della fame Bobby Sands– che, non condividendo la direzione che stava prendendo il processo di pace già nell'ottobre 1997 (prima quindi degli Accordi del Venerdì Santo del 1998), decidono di creare una propria organizzazione politica, il Comitato per la Sovranità delle 32 Contee. Un mese dopo nasce il RIRA, i cui obiettivi sono conseguire una Irlanda unita per mezzo della lotta armata e la non accettazione di alcun accordo che non riconosca esplicitamente l'indipendenza e l'unità d'Irlanda. L'organizzazione adotta all'inizio tattiche analoghe a quelle dell'IRA Provisional:  l'uso di ordigni per danneggiare le infrastrutture economiche del nord Irlanda ed azioni contro i membri delle forze di sicurezza, usando mine, mortai, ordigni ed auto-bomba. Le principali aree di attività del RIRA sono Belfast, alcune zone della contea di Armagh, Derry, Tyrone e le vicinanze di Newry.

 

  • Irlanda del Nord. 10 marzo. Distinto dal RIRA è la Continuity IRA (CIRA), quantunque entrambe le organizzazioni abbiano collaborato a livello locale. Il CIRA nasce nel 1986, in conseguenza di una divisione nel Sinn Féin tra coloro che sostenevano la partecipazione nei processi elettorali nella Repubblica irlandese e nel nord Irlanda e quelli che vi si opponevano. Da questo dissenso nasce il Republican Sinn Féin. Il CIRA, che si oppone anc'esso all'Accordo del Venerdì Santo, ha un seguito a Fermanagh, Armagh, ed anche a Belfast. Resta inattiva fino alla dichiarazione di cessate-il-fuoco dell'IRA Provisional del 1994 e annuncia quindi la continuazione della campagna contro il controllo britannico. Tra gli obiettivi preferiti del CIRA i poliziotti. Il CIRA ha anche lavorato con un'altra organizzazione repubblicana, l'INLA (Irish National Liberation Army). Nel 2005 si segnalano numerose defezioni dall'organizzazione. Alcuni entrano nell'INLA, altri si dichiarano indipendenti. Nel febbraio 2008, la Commissione di Verifica –che definisce il CIRA come una organizzazione «attiva, pericolosa e capace di gradi elevati di violenza»– rileva la creazione di due nuove organizzazioni sorte dalla divisione del CIRA: Saoirse na hÉireann e Óglaigh na hÉireann.

 

  • Irlanda del Nord. 10 marzo. L'Esercito Nazionale di Liberazione Irlandese (INLA) è un'organizzazione armata di distinti gruppi di sinistra formata nel 1974, in conseguenza di un disaccordo nel movimento repubblicano riguardo ad un cessate-il-fuoco. La sua ideologia marxista coincide con quella del Movimento Socialista Repubblicano Irlandese (IRSP). Inizialmente il gruppo si denominò Esercito di Liberazione Popolare (PLA). Nei suoi primi giorni, il ruolo del PLA fu di difendere i membri dell'IRSP da attacchi orchestrati dalla componente marxista del Sinn Féin e dell'IRA (gli Official), dai quali si erano scissi –su posizioni radicali di sinistra non dogmatica– il Sinn Féin e l'IRA Provisional agli inizi degli anni Settanta. Gli Official andarono squagliandosi politicamente e per alcuni anni vi fu una concorrenza nel reclutamento tra INLA e IRA Provisional. Una convergenza significativa ci fu nel corso degli scioperi della fame del 1980 e 1981 per lo statuto politico dei prigionieri; tre membri dell'INLA morirono nel corso dello sciopero della fame ad oltranza (Patsy O'Hara, Kevin Lynch e Michael Devine) insieme ad altri sette prigionieri dell'IRA. Successivamente l'INLA praticamente scomparve per conflitti interni, divisioni, ed anche in conseguenza degli arresti seguiti alla pesante infiltrazione di agenti britannici tra le sue fila. L'INLA dichiarò quindi un cessate-il-fuoco nell'agosto 1998 e decise di appoggiare l'Accordo del Venerdì Santo. La Commissione di Verifica considera l'INLA principalmente coinvolta nel crimine organizzato, cosa che è fortemente negata tanto dall'INLA come dall'IRSP.

  • Italia. 10 marzo. «L'Italia è l'esempio di una delle cause della crescita del razzismo nel mondo». Queste le parole dell'osservatore per l'ONU sul razzismo Doudou Diène commentando il ritiro dell'Italia dalla conferenza sul razzismo Durban II che si terrà a Ginevra dal 20 al 24 aprile. Il professor Doudou Diéne, senegalese, ritiene che i riferimenti ad Israele siano stati un pretesto per il "no" del governo italiano. A suo parere le misure in tema di immigrazione e la stessa presenza al governo di «un partito, la Lega Nord, che promette, democraticamente, un programma razzista» sono il vero motivo del ritiro dell'Italia dalla conferenza sul razzismo. «Penso che le misure prese dal governo italiano contro l'immigrazione, anche contro i rom, le impronte digitali dei bambini ad esempio, hanno fatto sì che il governo Berlusconi abbia approfittato della controversia su Durban II per ritirarsi». Sulle critiche a Israele presenti nel documento dice: «Israele non è al centro del documento che, voglio ricordarlo, era stato approvato all'unanimità da tutti i paesi presenti a Durban, quindi anche dall'Italia. Soltanto Stati Uniti e Israele si erano ritirati subito. E poi, lasciatemi dire, non è corretto assimilare la critica della politica di uno Stato, Israele, all'antisemitismo». Forse, a nostro avviso, nella posizione del governo italiano, c'è un intreccio di entrambe le questioni (interessi interni e sudditanza estera).


  • Palestina. 10 marzo. È cresciuta la popolarità di Hamas dopo l'offensiva israeliana "Piombo fuso". Lo rileva un sondaggio, pubblicato ieri dal Palestinian Center for Policy and Survey Research, secondo il quale Haniyeh ha oggi il 47% dei consensi dei palestinesi e Abu Mazen il 45%. Tre mesi fa quest'ultimo aveva il 48% e Haniyeh il 38%.

 

  • Iran. 10 marzo. «Gli Stati Uniti in Afghanistan volevano estirpare il terrorismo, ristabilire la sicurezza e contrastare il traffico di droga. In questi tre ambiti c'è stato un grave peggioramento della situazione». Lo ha detto ieri, alla televisione di stato del suo paese, il ministro degli esteri iraniano Manouchehr Mottaki, che ha auspicato un cambio di strategia da parte della Casa Bianca. Questa dichiarazione giunge quattro giorni dopo che il segretario di stato USA Hillary Clinton ha invitato Tehran a partecipare a una conferenza in cui si discuterà la questione afghana. Il governo iraniano ancora non ha risposto all'invito, ma è probabile che accetterà, in quanto, come suggeriscono alcuni analisti, l'Iran è determinato ad essere riconosciuto come un attore chiave per l'Afghanistan.

 

  • Afghanistan. 10 marzo. I talebani: «Nessun dialogo con gli USA». Come riporta Enrico Piovesana su Peacereporter.net, i talebani hanno risposto con un no secco all’invito al dialogo di Barack Obama. «La distinzione tra talebani moderati e fondamentalisti è ridicola perché noi siamo un movimento unito sotto l'unica guida del Mullah Omar, il quale ha sempre detto che nessun dialogo sarà possibile senza il completo ritiro delle truppe straniere», ha dichiarato all'agenzia di stampa cinese Xinhua il portavoce talebano Zabihullah Mujahed. Waheed Mozhdah, ex consigliere del ministero degli Esteri talebano Wakil Muttawakil poi riciclatosi nel governo Karzai come 'esperto' di talebani, parlando ieri con la stampa aveva giudicato «assolutamente irrealistica» la proposta di Obama di porre fine alla guerriglia talebana parlando con i moderati «perché sono i fondamentalisti a guidare l'insurrezione, non certo i moderati. E i fondamentalisti sono tutti sulla lista nera degli Stati Uniti. Ma è con loro che bisognerebbe parlare se veramente si vuole por fine a questa guerra».

 

  • Afghanistan. 10 marzo. Washington sta perdendo la guerra. Il generale David McKiernan, capo delle truppe USA e NATO (missione ISAF) in Afghanistan, ammette con insolita franchezza alla Bbc che in molte zone dell’Afghanistan, in particolare nel Sud, «non stiamo vincendo». Per dare una svolta alla lotta contro i talebani sul campo, dice il generale, «devono accadere molte cose e su diverse linee operative», spiegando in sostanza che i rinforzi promessi dall'amministrazione Obama (sino a 17.000 uomini) sono una condizione necessaria ma non sufficiente per prevalere sugli avversari. La situazione nel paese, infatti, non è omogenea. «In molte regioni del nord, dell'est, dell'ovest gli sforzi a sostegno del governo legittimo sono vincenti (...) ma in altre zone, come in gran parte del sud e in alcune regioni dell'est, il quadro è molto diverso: semplicemente, non stiamo vincendo».

 

  • Cina. 10 marzo. Tuona il Pentagono contro Pechino sull'«ultimo episodio di una condotta cinese "sempre più aggressiva