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Un farmaco per noi polli

di Serena Tinari - 09/03/2006

Fonte: ilmanifesto.it

 

 
Il caso del celebre Tamiflu: serve a una sola cosa, portar profitti alla Roche
Una strategia di comunicazione strepitosa e una psicosi di massa hanno fatto vendere alla multinazionale svizzera quantità sbalorditive di un farmaco nato male, sostanzialmente inutile e in pratica mai testato per lo scopo cui è destinato


Ginevra, 24 agosto 2005. Un comunicato dell'Organizzazione Mondiale della Sanità informa che il colosso farmaceutico Hoffmann-La Roche ha donato alla comunità internazionale tre milioni di trattamenti al Tamiflu, che saranno destinati alla lotta contro l'influenza aviaria nei paesi più poveri. Perché «In caso di pandemia e se combinata con altre misure, la somministrazione di Tamiflu potrebbe aiutare a limitare le malattie e le morti e contenere l'esplosione del virus. O a rallentarne la diffusione» afferma la suprema autorità per la salute pubblica. Nel quartier generale di Basilea, lo stato maggiore della Roche deve aver brindato all'eccellente ritorno di immagine. Con l'obolo all'Oms il gigante della farmaindustria si fa vedere a fianco dei poveri. E con il comunicato dell'Oms, il Tamiflu entra da protagonista nel circo mediatico al tempo dell'aviaria. È una vera consacrazione. Nel pane quotidiano di numeri dispensati con tono pandemico, fra un rogo di polli vivi e «men in white» che disinfestano, si fa largo «l'unico antivirale che potrebbe contrastare l'influenza aviaria umana» A dispetto del condizionale, nello spazio di pochi mesi sessanta nazioni si assicurano riserve per il 25 per cento della popolazione, mentre le farmacie sono prese d'assalto da chi diffida delle promesse dei governi. Roche annuncia che gli stabilimenti lavorano 24 ore su 24: dal 2004 a fine 2006, la produzione della preziosa polvere bianca sarà decuplicata.

Un farmaco mezza tacca Curioso destino, per un farmaco finora considerato dagli addetti ai lavori una «mezza tacca ». Il Tamiflu, principio attivo Oseltamivir, viene scoperto nel 1994 dai ricercatori della Gilead Sciences, impresa biofarmaceutica con sede in California. Di casa alla Gilead è il segretario di Stato americano Donald Rumsfeld: ne è stato direttore dal 1988, presidente del consiglio di amministrazione dal 1997 al 2001 e ne è tuttora azionista. Nel 1996 Gilead cede a Roche i diritti di sfruttamento del Tamiflu, in cambio del 10 per cento sul venduto. Il farmaco arriva sul mercato nord-americano e svizzero nel 1999-2000, nella maggiorparte dei paesi europei fra il 2002 e il 2003. Indicazione: influenza stagionale. Fino all'avvento dell'aviaria, il Tamiflu vendeva poco - talmente poco che nei salotti della farmaindustria mondiale si sussurrava che Roche meditasse di ritirarlo dal mercato. Il tiepido successo dell'antivirale non stupiva i farmacologi. I test effettuati prima della commercializzazione indicano, infatti, che Oseltamivir, in gergo tecnico un «inibitore della neuraminidase», agisce sui ceppi «A» e «B» dell'influenza - ceppi che solo un apposito esame può individuare con certezza. Assunto entro 48 ore dalla comparsa dei primi sintomi, Tamiflu può ridurre la durata dell'influenza di un giorno e mezzo. Guadagno modesto, per competere con latte e miele, pezze fredde e aspirina. Per questo, più che una pillola dei miracoli, Tamiflu era considerato un «flop». E Roche, in effetti, non sembrava puntarci particolarmente. Tanto che nel 2005 Gilead ha chiesto - ed ottenuto - la revisione dell'accordo del 1996, pena la decadenza del contratto, perché la multinazionale svizzera svizzera non avrebbe fatto abbastanza per promuovere il farmaco e omesso di versare al partner americano quasi venti milioni di dollari. Gilead riassume: «Roche ha ottenuto l'autorizzazione per il mercato in 64 paesi, ma l'ha portato solo in 21 (...) e non l'ha promosso presso medici, pazienti e autorità sanitarie». Roche nega. Ma paga: nello scorso novembre, il contenzioso è stato dichiarato chiuso con reciproca soddisfazione. E' un farmaco efficace?

Ma perché Roche non avrebbe investito le sue potenti risorse di comunicazione e marketing su questo farmaco? Una risposta sorge spontanea a leggere articoli e ricerche pubblicati dalle riviste specializzate. Sulla questione chiave, ovvero «è un farmaco efficace?», non ci sarebbero sufficienti evidenze scientifiche. La stroncatura della newsletter svizzera Infomed/Pharmakritik è lancinante: «In base alle conoscenze attuali, non c'è nessun gruppo ben definito di malati di influenza ai quali si possa consigliare un trattamento a base di Oseltamivir». La francese Prescrire è categorica: «A parte gli effetti collaterali, non si capisce cosa aggiunga alla terapia sintomatica tradizionale». Nel febbraio 2006, The Lancet ci mette una pietra sopra. I ricercatori del gruppo Cochrane hanno esaminato 50 studi sull'efficacia del Tamiflu e concludono: «E' troppo modesta, per consigliarne l'assunzione». Ma se l'effetto sull'influenza sarebbe blando, nessun addetto ai lavori può garantire dell'efficacia del Tamiflu sull'influenza aviaria umana. Anzitutto, perché è un virus che non esiste. Il ceppo attuale non si trasmette fra esseri umani - una manciata di casi sospetti sono stati segnalati in Asia, ma se il virus fosse già mutato, a fronte di 180 milioni di pennuti morti, le vittime umane sarebbero ben più del centinaio scarso registrato fino ad oggi. E soprattutto, spiega da Ginevra il portavoce dell'Oms per l'aviaria, Dick Thompson, è impossibile giurare che il Tamiflu funzioni, perché «non abbiamo dati clinici per affermarlo». La speranza dei governi mondiali è scaturita, invece, dal «pezzo da novanta » della strategia di Roche per collocare Oseltamivir nell'arsenale contro la temuta pandemia. Si tratta di un test di laboratorio, i cui esiti sono stati resi noti nel 2004. Venti topi sono stati infettati con il virus H5N1; i dieci trattati con un altro antivirale sono morti; dei dieci che hanno ricevuto Oseltamivir, due sono sopravvissuti. Esperimento ripetuto in seguito, con analoghi risultati: sui topi in preda all'aviaria, Oseltamivir almeno un poco funzionerebbe. Ma sugli esseri umani? In letteratura sono riportati pochissimi casi di persone affette da influenza aviaria curate col Tamiflu. Uno studio vietnamita ha analizzato dieci pazienti: dei cinque trattati col Tamiflu, quattro sono morti. Molto citato, uno studio olandese che risale al 2003 - ma il virus era un altro (H7N7) e i risultati sono definiti «inconcludenti». The Lancet nello scorso gennaio ha dato il colpo di grazia: «Non abbiamo trovato nessuna evidenza dell'efficacia degli inibitori della neuraminidase sull'influenza aviaria umana», ha scritto Tom Jefferson del gruppo Cochrane. Le prove dell'efficacia del Tamiflu sono talmente labili da mettere in imbarazzo il portavoce dell'Oms, che dichiara: «È frustrante, ma è la situazione in cui ci troviamo. Il virus ha colpito talmente poche persone al mondo che non abbiamo pazienti su cui testare il Tamiflu». Peggio: nelle scorse settimane alcuni ricercatori giapponesi hanno constatato che, somministrato il farmaco ad alcuni malati di aviaria, questi sviluppavano immediatamente la resistenza al principio attivo - che dunque non funzionava affatto. Dick Thompson ammette che sulla questione non c'è uno speciale programma di coordinamento con gli ospedali asiatici, né ci sono test clinici in corso. D'altronde: «Non sappiamo cosa potrebbe accadere in futuro. Perché se il virus mutasse e si trasmettesse all'uomo, magari non sarebbe più H5N1 - e allora potremmo sperare che altri antivirali potrebbero rivelarsi efficaci». E cosa ce ne faremmo delle tonnellate di Oseltamivir stoccate in giro per il mondo? La risposta degli addetti ai lavori è univoca: nel dubbio, per sicurezza e sperando serva a qualcosa, facciamo riserve. Un farmaco sicuro? La seconda domanda elementare a proposito di farmaci, oltre all'efficacia, è quella della sicurezza.

Secondo la Roche, Tamiflu ha pochi e lievi effetti collaterali - fra cui nausea e vomito. Tesi sposata dalle autorità sanitarie e punto forte di tanto nebuloso dubitare: «non siamo sicuri che funzionerà», dicono gli esperti, ma almeno.. non fa male. Ma anche su questo, nella comunità scientifica non c'è consenso. Prima dell'approvazione da parte delle autorità sanitarie, un farmaco viene testato su poche migliaia di persone e difficilmente emerge un effetto collaterale raro. Il profilo di sicurezza del farmaco si chiarirâ con il passare degli anni, quando milioni di persone lo avranno assunto. Del Tamiflu, giovane e tutt'altro che campione di incassi, la rete mondiale della farmacovigilanza sa dunque poco e niente. Drugdex, una delle banche dati internazionali in materia, alla voce Oseltamivir inanella una sequela di «non testato». Nel dubbio, e nell'attesa di studi clinici puntuali, le autorità e la farmaindustria ostentano ottimismo. Ma è il Giappone, la spina nel fianco: nel paese in cui la pillola d'oro è stata più venduta, il Tamiflu è stato collegato alla morte improvvisa di bambini piccoli. Il presidente dell'istituto di farmacovigilanza giapponese, Rokuro Hama, da due anni lo va ripetendo per congressi e riviste scientifiche. Sul British Medical Journal, Hama sottolinea che i bambini sono deceduti per collasso respiratorio e cita tre studi di laboratorio, dove «la somministrazione di Oseltamivir a cuccioli di topo ne ha provocato la morte per collasso respiratorio ». Proprio sulla scorta di questi studi, non è consentito somministrare il Tamiflu ai bambini che hanno meno di un anno. Molti ricercatori, però, data la carenza di dati clinici, nutrono dubbi anche sulla fascia da 1 a 12 anni. Dal punto di vista delle autorità sanitarie, quello dei bambini è un punto dolente per il motivo opposto. In caso di pandemia, sarebbero la categoria più a rischio. E se il Tamiflu è l'unico rimedio a disposizione, è necessario poterlo dare anche a loro. Per questo, le autorità europee e americane ne hanno recentemente autorizzato l'uso a scopo di profilassi anche su pazienti da 1 a 12 anni. L'altro effetto indesiderato del Tamiflu registrato in Giappone riguarda la psiche: ci sono state alterazioni del comportamento e suicidio in giovanissimi che l'avevano assunto.

Secondo Roche, sono dati falsati perché «in presenza di febbre alta, è facile che peggiorino le condizioni psicologiche di un paziente». Ad ogni buon conto, nel maggio 2004 le autorità giapponesi hanno aggiunto alla lista dei possibili effetti collaterali del Tamiflu «disturbi neurologici e psicologici: alterazioni di coscienza, comportamenti anormali e allucinazioni ». Nel novembre 2005 l'Emea, l'autorità europea che vigila sulla sicurezza dei farmaci, dopo avere ricevuto due segnalazioni di suicidio, ha chiesto a Roche di fornirle tutti i dati clinici disponibili sugli effetti a carico della psiche. Intanto, soldi a palate In tanta confusione, una cosa è chiara: il gruppo Hoffmann-La Roche sta facendo soldi a palate. Nel 2005, il fatturato del Tamiflu ha superato il miliardo di euro e la multinazionale ha realizzato una cifra d'affari pari a oltre 22,5 miliardi di euro - il miglior risultato della sua storia. Niente male, per un farmaco la cui efficacia è legata a una serie di «se» e «forse». Nel frattempo, mentre mezzo pianeta implorava di aumentarne la produzione o mollare il brevetto e consentire così la messa a punto di «generici», la farmaindustria svizzera ne alimentava la leggenda. Ricavato dall'anice stellata coltivata in Cina, Tamiflu «ha un processo produttivo articolato in 12 tappe, che richiedono da 6 a 8 mesi di lavorazione e si basano su tecnologie sofisticate ». Nell'ottobre 2005, Roche fa sapere che è disposta a negoziare. La pressione di Nazioni Unite e Usa si è fatta sentire - ma è la scelta della strategia di comunicazione che ancora una volta è fenomenale. Roche si dichiara preoccupata per la salute pubblica e dunque pronta a discutere le condizioni di cessione della licenza «a qualunque governo e azienda che ci contatterà». D'altronde, l'Organizzazione Mondiale del Commercio aveva stabilito nel 2001 (e ribadito nel 2003) che in caso di emergenza sanitaria i governi hanno il diritto di copiare i farmaci, a dispetto di qualunque brevetto. Anticipando i tempi, Roche fa un'altra bella figura da Robin Hood - e si garantisce una parte di royalties. Visto il successo della prima donazione, rincara la dose con altri due milioni di trattamenti all'Oms - il relativo comunicato dell'Organizzazione Mondiale della Sanità recita: «Siamo grati a Roche per la generosa donazione ». La produzione del farmaco, che era di 5,5 milini di dosi all'inizio, è prevista per il 2007 in 300 milioni di dosi. Oltreoceano, anche gli azionisti della Gilead Sciences non se la passano male. Scrive Fortune (novembre 2005): «Grazie alla paura di una pandemia, le azioni della Gilead sono passate in sei mesi da 35 a 47 dollari. Il capo del Pentagono ci ha guadagnato un milione di dollari».