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Acqua in bottiglia: la vergogna dei canoni di concessione

di Claudia Pecoraro - 02/04/2009

Ci siamo occupati tante volte del bene più prezioso che abbiamo, l’acqua, attorno a cui, tra usurpazioni e tentativi di privatizzazione, non si placano i giochi di potere. Purtroppo ci tocca indignarci anche riguardo alle concessioni che le Regioni conferiscono alle società imbottigliatrici. A farne le spese, come sempre, è il consumatore.


 

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La maggior parte delle persone piuttosto che aprire il rubinetto per riempire il bicchiere sono disposte ad acquistare pesanti confezioni d’acqua al supermercato
In Italia il 33% dei cittadini non si fida di bere l’acqua di rubinetto. I dati Istat dimostrano che la maggior parte delle persone piuttosto che aprire il rubinetto per riempire il bicchiere sono disposte ad acquistare pesanti confezioni d’acqua al supermercato, ritenendola erroneamente più buona ma soprattutto più sicura. Nemmeno la grande differenza di costo riesce a cambiare questa abitudine: se un litro di acqua del rubinetto lo paghiamo in media appena 0,5 millesimi di euro al litro, una bottiglia di acqua costa circa 1.000 volte di più.

 

Il consumo procapite annuo di acqua in bottiglia degli italiani si aggira intorno ai 200 litri, rendendo l’Italia il primo paese in Europa per consumi di acque imbottigliate, battuto solo da Emirati Arabi e Messico.

Il volume di affari del settore in Italia nel 2007 (192 fonti e 321 marche) ha raggiunto la cifra ragguardevole di 2,25 miliardi di euro, a fronte di canoni di concessione a dir poco irrisori pagati dalle società imbottigliatrici alle Regioni.

Non esistendo una legge nazionale, ciascuna amministrazione regionale decide come meglio crede e i canoni risultano estremamente variabili, non solo nel costo ma anche nei criteri di definizione. E il quadro che emerge somiglia molto ad una lotteria, dove però vincono sempre gli imbottigliatori.

L’assenza di una regolamentazione dei canoni di concessione, che tenga conto dei costi connessi all’attività di prelievo, imbottigliamento e vendita dell’acqua minerale, ha come conseguenza una assoluta mancanza di uniformità tra regione e regione. Il canone corrisposto alle Regioni ad oggi è insufficiente affinché queste ultime riescano a ricoprire anche solo le spese per la gestione amministrativa, per la manutenzione e la sorveglianza delle aree dove insistono le sorgenti, senza considerare quanto viene speso per smaltire le numerose bottiglie in plastica derivanti dal consumo di acque minerali, che sfuggono alle raccolte differenziate.

Insomma, continua a regnare il caos in materia, nonostante le indicazioni del “Documento di indirizzo delle Regioni italiane in materia di acque minerali naturali e di sorgente” approvato il 16 novembre 2006 dalla Conferenza delle Regioni. Tale documento prevede dei valori minimi e massimi in cui devono rientrare i costi delle concessioni in base ai litri imbottigliati o agli ettari, e la determinazione del canone anche in base ai principi di tutela e valorizzazione della risorsa idrica, oltre che in considerazione dell’impatto delle attività di prelievo e imbottigliamento dell’acqua sul territorio.

 

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L'Italia il primo paese in Europa per consumi di acque imbottigliate
A ormai 2 anni e mezzo dall’approvazione di quel documento il quadro non è cambiato di molto: le tariffe e le modalità per definire il canone continuano ad essere diverse tra Regione e Regione e spesso inaccettabili. Unica cosa in comune è che si tratta di canoni assolutamente irrisori se paragonati al grosso volume di affari legato all’acqua in bottiglia.

 

Facendo il rapporto tra il contributo incassato dalla Regione e il totale dei litri imbottigliati emerge come il costo dell’acqua sul prezzo finale di una bottiglia da un litro costituisca una cifra davvero insignificante.

Solo per fare un esempio, in Veneto, dove è previsto il canone per metro cubo più alto del Paese, il costo per le società imbottigliatrici su ciascun litro di acqua corrisponde ad appena lo 0,6% del prezzo finale che paghiamo noi consumatori al momento dell’acquisto. Il resto se ne va per le spese di imballaggio (pari al 60% del costo finale dell’acqua minerale!), di trasporto, costo del lavoro, pubblicità e altro che costituiscono oltre il 90% del prezzo finale della bottiglia. In base a questi dati, quando andiamo a comprare l’acqua minerale per assurdo non paghiamo tanto l’acqua quanto ciò che le sta attorno.

E ancora, è assurdo pensare che la stessa risorsa idrica costi in Puglia solo 1 euro per ciascun ettaro di concessione, indipendentemente da quanto ne viene prelevata, e in Veneto 3 euro ogni mille litri imbottigliati, oltre a 587 euro circa per ciascun ettaro, ovvero 570 volte in più rispetto alla Puglia, dove fra l’altro la risorsa idrica disponibile è senz’altro molto minore e di conseguenza dovrebbe essere anche molto più preziosa.

Legambiente e Altreconomia chiedono quindi a tutte le Regioni italiane inadempienti l’immediato adeguamento della normativa regionale ai canoni previsti dal documento di indirizzo del 2006.

Ad oggi solo alcune Regioni hanno approvato recentemente delle leggi che hanno adeguato la precedente normativa (Toscana, Valle d’Aosta), altre sono in fase di redazione o approvazione di una legge specifica (Trento, Friuli Venezia Giulia). Certe Regioni hanno previsto un sistema di premialità per chi imbottiglia in vetro anziché in plastica (Lazio, Marche, Toscana, Campania, Veneto).

 

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Solo un terzo delle bottiglie di plastica viene raccolto in maniera differenziata
Come si potrebbe evitare tutto questo marasma? Riducendo il consumo di acque minerali, che nel nostro Paese ha raggiunto livelli da record per niente invidiabili, e ricominciando a bere l’acqua di rubinetto, con evidenti vantaggi ambientali e con conseguente risparmio a beneficio per l’intera collettività.

 

Un italiano su 3 non si fida di bere l’acqua che arriva direttamente nella propria casa. Recuperare la fiducia delle famiglie italiane nell’acqua di rubinetto è oggi una priorità.

Infatti, l’acqua di rubinetto subisce controlli costanti, deve rispondere a requisiti di qualità molto più severi rispetto all’acqua imbottigliata, arriva dentro casa molto più comodamente e a costi di gran lunga inferiori all’acqua che compriamo al supermercato. Naturalmente anche l’impatto ambientale dell’acqua di casa nostra è molto minore, se pensiamo che ancora oggi solo un terzo delle bottiglie di plastica viene raccolto in maniera differenziata e avviato al riciclaggio e i contenitori in vetro rappresentano solo il 19% del totale.

Per questi motivi Legambiente e Altreconomia continuano insieme la “battaglia di civiltà” per promuovere in tutta Italia, nelle case e nei pubblici esercizi, l’acqua del Sindaco. Perché è buona, economica, controllata e non inquina.