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La festa delle Palilie. Così i Romani onoravano la Natura

di Claudia Pecoraro - 21/04/2009

Gli antichi Romani celebravano il 21 aprile (il cosiddetto Natale di Roma) la ricorrenza delle Palilie, festa del risveglio della Natura, di ringraziamento per l’anno trascorso e di purificazione per l’anno agricolo a venire.


 

la primavera
Sandro Botticelli, La Primavera (1478-1485 circa), Galleria degli Uffizi, Firenze (part.)
Antichissima ricorrenza pastorale, i Palilia (o Parilia) si festeggiavano in onore di Pales, oscura divinità rustica, protettrice della terra e del bestiame, ora identificato come semplice genio o dio maschile, ora come dea e perfino come una coppia di dei (pales può essere singolare o plurale in lingua latina). Il nome della dea Pale sembrerebbe comunque connesso con il monte Palatino, proteggeva proprio quelle antiche comunità pastorali da cui Roma ebbe origine.

 

In un tempo in cui il buio e la luce, la notte e il giorno, l’alternarsi delle stagioni determinavano in modo sostanziale l’esistenza umana, celebrazioni come queste non facevano altro che sancire e rafforzare il legame tra gli uomini e la Natura. L’uomo viveva in armonia e simbiosi con la Terra, che non era solo luogo di abitazione ma anche compagna di vita.

Nell’antichità ogni albero, ogni sorgente, ogni collina aveva il suo genius loci, il suo genio protettore. Prima di tagliare un albero, di perforare una montagna o di deviare un ruscello, era perciò importante pacificare il genio del luogo e fare in modo che rimanesse tranquillo, offrendo preghiere e sacrifici. Anche durante le Palilie, si pregava Pales non solo perché essa facesse prosperare le greggi ma anche affinché indulgesse ai danni che queste avevano potuto recare ai boschi a lei sacri, o intorbidando le fonti.

Era un modo, in definitiva, per portare rispetto e venerazione alle divinità della Natura, da cui le società antiche erano ben coscienti che dipendeva la loro vita e sussistenza. Sicuramente doveva trattarsi di timore reverenziale per una forza vitale che sapevano essere tanto generatrice quanto distruttrice.

Proprio Aprile (Aprilis) era considerato dai Romani un mese speciale: secondo alcune interpretazioni il nome deriverebbe da aperire e dunque “aprire” perché la terra si apre alla nuova vegetazione. Già il 1° Aprile era sacro a Venere, divinità che presiedeva ai giardini fioriti, tradizionalmente legata alla Primavera.

La festa dei Palilia non era infatti l’unica del mese ma, insieme alla precedente dei Fordicidia (15 aprile) e la successiva dei Robigalia (25 aprile), faceva parte del trittico di antichissime cerimonie religiose agricole, precedenti addirittura alla stessa fondazione di Roma. Fu solo in un secondo momento che si iniziò a festeggiare nella stessa data anche il giorno del “Natale di Roma” (21 Aprile 753 a.C.).

 

primavera
Il nome Aprile deriverebbe da aperire e dunque “aprire” perché la terra si apre alla nuova vegetazione
È il poeta Ovidio a raccontarci l’intera descrizione del cerimoniale. Sappiamo quindi che una parte della festa era dedicata alle bestie, l’altra alle persone.

 

I pastori cominciavano all’alba, ornando di alloro la porta dell’ovile, purificando le bestie con acqua spruzzata da ramoscelli e bruciando zolfo, rosmarino e altre erbe. A Pales venivano offerte focacce, un cestello di sorgo, e latte nello stesso secchio usato per la mungitura. Ogni pastore, rivolto a oriente, per tre volte invocava la divinità, affinché fosse propizia alla salute e alla fecondazione del gregge. Infine veniva servita la burranica, bevanda di latte e mosto. Il resto della giornata trascorreva tra banchetti e giochi, e, alla sera, si accendevano fuochi di paglia che i pastori attraversavano con un salto come segno di purificazione.

Di simili rituali si è conservata traccia per molto tempo, soprattutto tra le comunità contadine. Come nelle antiche feste delle Palilie si faceva bollire la farina d’orzo nel latte e se ne faceva dono agli dei, fino a poco tempo fa i contadini calabresi, nel giorno dell’Ascensione, usavano farsi dono di latte fra le famiglie e preparare cibi a base di latte da porre a tavola nel giorno di festa.

Anche in Romagna, tutt’oggi, la sera del 18 Marzo, durante la “fogheraccia” di San Giuseppe, si accendono fuochi di paglia e i giovani si cimentano saltando oltre le fiamme.

Rituali folcloristici o meno, nel nostro tempo, “l’homo tecnologicus” è ormai superbamente convinto di poter dominare la Natura in tutte le sue forme – cosa purtroppo in parte vera. Sono lontani i tempi in cui si chiedeva perdono alla divinità per aver abbattuto un albero...

Dimentico di ogni forma di rispetto per l’Ambiente, l’uomo moderno pagherà presto un prezzo alto della sua arroganza (qualche grave conseguenza la stiamo già subendo). Sarebbe forse il caso di guardarci alle spalle e imparare la lezione da coloro che ci hanno preceduto: in molti casi erano più assennati di noi.