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Iraq, Maliki & Co. a Londra a caccia di investimenti

di Ornella Sangiovanni - 30/04/2009




L’intero governo iracheno (o quasi) si prepara a sbarcare a Londra, nel tentativo di attirare investimenti stranieri nel Paese.

Invest Iraq, London 2009”, che si terrà nella capitale britannica il 30 aprile, dopodomani, su iniziativa della Commissione nazionale per gli investimenti irachena, vedrà i titolari di vari ministeri, consulenti del governo, nonché i dirigenti di diversi organismi provinciali per gli investimenti, impegnati a illustrare progetti per modernizzare le infrastrutture, il settore dell'industria, e quello petrolifero, sperando che in Iraq arrivino, finalmente, capitali e know-how.

La situazione è grave, e a Baghdad nessuno se lo nasconde: il crollo dei prezzi del greggio sui mercati internazionali, in particolare, ha costretto il governo a fare tagli drastici al budget dello Stato per il 2009: passato a 58,6 miliardi di dollari dagli 80 miliardi iniziali. Il peggio, tuttavia, potrebbe arrivare nel 2010.

Il ministro delle Finanze iracheno, Bayan Jabr, si è fatto precedere da una intervista al Guardian, nella quale riassume le dimensioni della crisi.

Le entrate petrolifere, dice al quotidiano britannico, sono già calate di 4 miliardi e mezzo rispetto alle proiezioni che erano state fatte per l’anno finanziario, e probabilmente diminuiranno ancora.

“Di questi tempi, lo scorso anno, nel maggio 2008, il mercato delle esportazioni era di 2 milioni di barili al giorno, e il prezzo del petrolio era intorno ai 130 dollari al barile. Quest’anno, finora non siamo arrivati ai 50 dollari: il prezzo si aggira attorno ai 42-43 dollari, e anche le esportazioni sono diminuite. A mio avviso, se rimarremo sotto i 50 dollari e sotto i 2 milioni di barili al giorno, dovremo adottare un budget supplementare, sforando".

Le implicazioni sono problematiche. Jabr dice che i vari ministeri potrebbero dover chiedere ai loro numerosi dipendenti di accettare una riduzione degli stipendi pari al 20%. Molti hanno già congelato i piani di assunzione, ma questo potrebbe non bastare.

Così il mantra adesso è: senza il settore privato, e senza investimenti esteri, il Paese non ce la farà. Il punto è come convincere chi in Iraq dovrebbe metterci i capitali.

Da qui la necessità di fare le cose in grande. Scegliendo una piazza di grande richiamo.

A giudicare dalle previsioni di afflusso all’evento londinese, che si svolgerà nel lussuoso Landmark Hotel, accanto a Regent’s Park, l’interesse non manca: dovrebbero partecipare in duecento, fra imprese britanniche e di altri Paesi. Altre duecento circa, si dice, avrebbero voluto esserci, ma non c’era posto.

Il governo di Londra, che non ha mai nascosto il desiderio di fare affari in Iraq, in particolare ora che il ritiro delle sue truppe dal sud è imminente, non sta a guardare: venerdì – fra tre giorni - il premier Gordon Brown firmerà una partnership con il Primo Ministro iracheno Nuri al Maliki, nel corso di un ricevimento a Downing Street.

Ma partner di Baghdad il governo britannico lo è già a tutti gli effetti. L’evento di giovedì si svolge sotto gli auspici del suo Dipartimento per lo sviluppo internazionale, e a fare gli onori di casa ci sarà Michael Wareing, co-presidente della Basra Development Commission - l’organismo misto anglo-iracheno per la promozione degli investimenti nella zona di Bassora.  

Dal canto loro, i potenziali investitori, che di recente in Iraq stanno andandoci sempre più spesso, in missione esplorativa, ancora non si fidano molto della reale volontà degli iracheni di aprirsi al settore privato e sposare il libero mercato. Dubbi che trovano una voce nell’ambasciatore britannico a Baghdad, Christopher Prentice, che commenta, sia pure con il linguaggio della diplomazia, che in Iraq “le partnership del settore pubblico-privato sono ancora in fase iniziale”.

Jabr, il ministro delle Finanze, rassicura: il suo governo è stato obbligato a ripensare il proprio atteggiamento. “Ritengo che dobbiamo aprire di più al settore privato internazionale”, dice al Guardian.

“La nostra tecnologia petrolifera è vecchia di 50-60 anni, il gas associato alla produzione di petrolio brucia e va perduto, ci mancano almeno 2 milioni di unità abitative di edilizia residenziale, e il nostro settore alberghiero è totalmente inadeguato”.

E allora , tutti a Londra, con grandi aspettative. Nella speranza di non tornare a casa a mani vuote.

Fonte: Guardian