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Il resto è a portata di clic

di Claudio Ughetto - 04/05/2009


Non so quant’è paranoide pensarlo, ma se mi pongo intuitivamente ad analizzare quest’epoca sento che le sue problematiche non provengono solo dalla crisi economica (che qualcuno vuole farci credere in via di superamento, per convincerci a perseverare in questo modello di vita), dall’immigrazione o dalle guerre che si sono sparse un po’ in tutto il terzo mondo. Questi sono gli effetti, quelli che c’indurrebbero a credere che la crisi ci riguarda solo in parte e i problemi proverrebbero da un “mondo altro”, peggiore del nostro, che minaccia i valori progressisti o viceversa conservativi della cultura occidentale.
Invece ho a volte l’impressione che noi occidentali siamo già oltre la cultura del consumo, quella che è arrivata dopo la società industriale interpretata dal marxismo, e che ha portato anche la sinistra alternativa ad aderirvi. Permangono dei residui: ancora le masse scendono in piazza, sporadicamente e frammentariamente, a chiedere che i singoli o i nuclei famigliari possano mantenere gli standard raggiunti, ed è probabile che gli animi si esaspereranno nei prossimi anni. Ma la lettura della realtà, forse, dovrebbe essere diversa: è la stessa cultura progressista, con i suoi strascichi consumistici, a essere diventata obsolescente, per cui le masse si muovono con le spalle al futuro, pensando al passato, con l’isteria di aggiustare il presente secondo un’ottica individualista che assomiglia a una coazione a ripetere, mentre ai leader mondiali (e mi riferisco ai detentori dell’economia: non più di 200 persone, per dirla con De Benoist) quasi conviene far covare questo malcontento, perché esso permette di sorreggere l’insieme dei paradigmi obsolescenti sui quali si basa la loro ricchezza.
Mi viene da pensare che siamo entrati in un’epoca rivoluzionaria, non tanto perché le masse possono risollevarsi per chiedere sempre di più (questo c’è già stato, ora si va al declino), ma perché di ciò che abbiamo, o ci è stato donato con la cultura dei consumi, potremmo anche farne a meno. L’economia è destinata fisiologicamente a decrescere, mantenere i suoi presupposti allo stato attuale è uno sforzo volontaristico che è determinato dal desiderio di rimanere nelle condizioni medesime, palesemente insostenibili e invivibili. Eppure di ciò che è stato generato dai paradigmi che ci hanno abbandonato non sappiamo davvero più che farcene. È stata proprio la tecnica a ucciderli, e nemmeno ce ne accorgiamo. Ormai potremmo esprimerci con la massima facilità, dare un colpo definitivo a tutto l’apparato che gli ex sessantottini hanno creato per darci l’immaginazione al potere, prendendosi il potere per mezzo dell’immaginario. Questi vogliono ancora farci credere che la loro idea di produrre immaginario da farci consumare, per mantenere uno status produttivo alto che garantisca il lavoro per tutti, sia irrinunciabile. Invece è una menzogna, almeno parziale. Se solo ce ne rendessimo conto, tutto il loro sistema basato sull’editoria, sulle case discografiche, sulla pubblicità, sull’immaginario collettivo che ci permea attraverso i media crollerebbe insieme ai residui di ricchezza che ancora si sforzano di conservare.
Insomma, oggigiorno possiamo scriverci i libri e pubblicarli da noi, fare noi la musica e metterla in Rete, immaginare quello che vogliamo e farne immagini, produrre in piccolo abiti e oggetti e pubblicizzarli. Tutto questo usando i mezzi che i detentori del potere ci hanno dato per arricchirsi, ma che adesso non riescono più a gestire . Purtroppo continuiamo a credere che solo producendo e consumando in grande si può sopravvivere. Invece è palese che tale convinzione continua ad esserci inculcata dai padroni di una cultura che ha fatto il suo tempo ma che è ancora utilizzabile per farci perdere tempo, oppure inducendoci a usare male gli strumenti tecnici che potrebbero renderci un po’ più liberi. Preferiamo andare su Facebook e aspettare di morire – come dice il mio amico Giorgio Cattaneo - invece di produrre una Nuova Cultura; preferiamo sorbirci passivamente l’immondizia televisiva, invece di usare i media per esprimerci. Il Grande Fratello non ha bisogno di controllarci: per il momento riesce ancora a narcotizzarci, inebetendoci con il mondo dei reality, bombardandoci di notizie fino a farci dimenticare di vivere e relazionare nelle nostre piccole realtà. Forse non basterebbe un clic per annullare tutto questo. Per renderci conto dell’epoca che stiamo vivendo, e delle opportunità che paradossalmente ci offre, dobbiamo prima riappropriarci della realtà. Il resto è a portata di dito, come adesso: cambierebbe solo l’oggetto del nostro desiderio.