Countdown libanese. I petrodollari sauditi per fermare Hizb'allah
di Dagoberto Husayn Bellucci - 06/05/2009
Il Libano si avvia verso l'ultimo mese di campagna elettorale in quelle che , sicuramente, saranno ricordate come le elezioni più costose e insieme più tese della recente storia del paese dei cedri tornato al centro delle attenzioni della politica mondiale. Le elezioni politiche del prossimo 7 giugno saranno infatti un banco di prova determinante i futuri assetti dell'intero Vicino Oriente come hanno stimato autorevoli commentatori e analisti dei principali organi d'informazione arabi.
La situazione interna libanese condizionerà probabilmente il futuro dell'intera regione per i prossimi anni spingendo in una direzione o nell'altra anche la politica delle nazioni vicine: da Beirut e dal voto dei circa due milioni di libanesi chiamati alle urne dipenderanno le reazioni sia israeliane che siriane e , per un principio di causa ed effetto, anche della politica vicinorientale degli Stati Uniti e della diplomazia europea.
In Libano si disputa una partita tra le formazioni filo-occidentali del fronte di Bristol e l'Opposizione nazionalpatriottica filo-iraniana e filo-siriana: da un lato i partiti del 14 marzo diretti da Sa'ad Hariri (figlio dello scomparso premier sunnita ucciso nell'attentato del san Valentino di quattro anni fa) , dall'altro lato della barricata i partiti dell'8 marzo guidati da Hizb'Allah (il partito sciita filo-iraniano che mantiene la sua organizzazione militare in allerta nel sud del paese).
L'atmosfera nella capitale Beirut è quella di sempre: i libanesi , abituati a tutto e anche al suo contrario, attendono l'esito del voto con incurante indifferenza pur sapendo perfettamente che gli occhi della diplomazia internazionale sono puntati sul loro paese. Osservatori internazionali, cancellerie europee, ambasciate sono da mesi attive per dare il massimo risalto alla legalità del voto di giugno che , per quanto riguarda i finanziamenti stranieri piovuti recentemente sul paese dei cedri, si può dire eufemisticamente rappresenterebbe la sola novità di questa tornata elettorale rispetto alle precedenti.
Un paese storicamente a sovranità limitata quello libanese, condizionato pesantemente dalle decisioni della politica mondiale e stretto - vaso di coccio tra vasi di ferro - tra l'incudine siriana e il martello sionista. Questa vecchia prospettiva che - almeno fino alle scorse legislative del giugno 2005 - ha sempre condizionato i risultati elettorali in favore del clientelismo familiar-mafioso delle diverse fazioni in lotta , rispondenti agli interessi tribal-etnici e religiosi dei capi-clan ex "signori della guerra" civile, può essere rovesciata completamente dall'esito del voto che di quì ad un mese stravolgerebbe i precari equilibri politici interni del paese dei cedri e aprirebbe scenari completamente nuovi in tutto il Vicino Oriente. A determinare questa nuova fase della politica locale e regionale sarebbe una auspicata e fino a questo momento data per certa vittoria del partito di Dio , il movimento sciita filo-iraniano che ha posto fin dall'inizio della campagna elettorale la parola d'ordine della "riforma generale" delle istituzioni e della trasformazione radicale del paese.
La vittoria di Hizb'Allah significherebbe l'ultimo, l'ennesimo, disastro per l'amministrazione statunitense; uno scacco matto che Washington ed i suoi alleati locali e regionali (dall'entità criminale sionista che attende l'esito del voto continuando a lanciare le sue minacce ed i suoi strali contro la Repubblica Islamica dell'Iran all'Arabia Saudita e all'Egitto i due principale alleati del fronte arabo cosiddetto moderato...l'Islam 'americano' di cui parlava il compianto Imam Khomeini) intendono assolutamente scongiurare con qualsiasi mezzo. In Libano per fronteggiare quella che, per molti, viene considerata come "la deriva iraniana" (che porterebbe definitivamente il paese dei cedri sotto la sfera d'influenza di Teheran) sono intanto piovuti centinaia di milioni di dollari da tutto il mondo.
Le principali forze politiche del fronte filo-occidentale del Bristol, il 14 marzo harirista/falangista, ha ricevuto ingenti finanziamenti dall'Occidente per risolvere elettoralmente la 'pratica Hizb'Allah'. Tattica non nuova per un paese abituato a queste manovre sotto-banco delle quali la famiglia sunnita Hariri, con i suoi agganci in Arabia Saudita, si è sempre dimostrata prepotentemente abile.
"Dall'inizio degli anni novanta sono cominciati ad arrivare più soldi per tutti" ha dichiarato Paul Salem , direttore del "Carnegie Middle East Center" di Beirut - uno dei tanti think thank della politica del Vicino Oriente che fa capo all'ambasciata americana ad Awkar e alle direttive dell'amministrazione americana - di fatto la branca libanese della fondazione statunitense Carnegie, sostenendo che il "sistema libanese si adatta a questo modello elettorale" specialmente tra le fasce più povere.
Niente di nuovo per un paese dove la corruzione politica è stata eretta a sistema di governo fin dall'indipendenza negli anni quaranta e con un sistema di poteri sovrapposti l'uno all'altro e dipendenti dal ruolo rivestito da questa o quella fazione etnica o religiosa. Ogni movimento politico libanese è espressione di una scelta di campo: dai partiti "tradizionali" del campo cristiano-maronita (la vecchia Falange di Amin Gemayel e i radicali dell'estrema destra filo-sionista delle "Forze Libanesi" di Samir Geagea) a quello della famiglia Hariri per quanto concerne la comunità sunnita fino ai loro alleati socialprogressisti del druso Waleed Jumblatt uomo per "tutte le stagioni" e notoria 'banderuola' del panorama politico nazionale, attento osservatore dei processi e delle dinamiche socio-politiche regionali ma anche astuto e spesso criticato esperto di voltafaccia clamorosi e di repentini cambi di alleanze.
L'Opposizione Nazionale, diretta da Hizb'Allah e dal blocco della Resistenza (al quale appartiene l'altro movimento sciita, 'Haraqat 'Amal , del presidente dell'assemblea parlamentare avv. Nabih Berri), ha in programma una riforma radicale del sistema politico con una rappresentanza reale di quei settori della società fino a questo momento sempre emarginati dal potere: la comunità sciita, le fasce deboli del paese (dove lo stipendio medio per molti non supera i 400/500 dollari), le aree depresse e in stato di semi-abbandono della Beka'a e del sud ma anche quei settori della politica che hanno cominciato a rifiutare le logiche compromissorie e mafiose del "do us des" e si sono raccolti al fianco del partito di Sayyed Hassan Nasrallah portando - nel dicembre 2006 - oltre 2 milioni di libanesi ad occupare il centro della capitale con imponenti manifestazioni di protesta contro l'esecutivo filo-occidentale del premier Fouad Siniora.
Al lato di Hizb'Allah dunque i due partiti laico-nazionalisti maggioritari tra la comunità cristiano-maronita (Tayyar , la Corrente Patriottica Libera, del Gen. Michel Aoun e Marada, i 'Giganti' , dell'ex ministro dell'agricoltura Souleiman Franje), i partiti minori di quella sunnita (i murabitun, i panarabisti, i nasseriani, il partito di Fouad Makhsoumi e quello di Kamal Chatila) e di quella drusa (i due movimenti che fanno capo a Whiam Waab e al principe Talal Irslan) ma anche i comunisti e i socialnazionali siriani e molte altre formazioni minori unite dalla volontà di abbattere il monopolio di potere storicamente detenuto da poche famiglie della ricca borghesia maronita e sunnita.
E' un Libano da rifondare da zero quello che prospettano Hizb'Allah ed i suoi alleati o, per dirla con il Gen. Aoun, un Libano alla ricerca di una nuova identità nel contesto di un Vicino Oriente in rapida trasformazione. Un paese da modernizzare nelle sue infrastrutture per aiutare i settori vitali del turismo, dell'agricoltura e della finanza (come si ricorderà prima del lungo e sanguinoso conflitto civile del 1975-90 e dell'occupazione militare sionista nel sud 1982-2000 il paese dei cedri era considerato come la "Svizzera del Medio Oriente" , meta privilegiata di ricchi petrolieri occidentali che facevano affari con i loro colleghi del Golfo e principale punto di riferimento per investitori anche senza scrupoli che potevano contare sulla discrezione e l'efficienza di un servizio bancario di prim'ordine sempre all'avanguardia).
Per bloccare questo "rinascimento libanese" - che costerebbe inevitabilmente perdita di prestigio e popolarità soprattutto al vicino sionista ma anche a molti Stati arabi del Golfo in primo luogo alla ricca petrolmonarchia saudita e ai suoi tanti satelliti - e quest'idea di "Stato forte" da mesi prospettata da Nasrallah e dai suoi alleati il fronte filo-americano ha ricevuto un massiccio aiuto dall'estero. I capitali investiti dai sauditi nella zona sono ingenti e Riad non potrebbe permettersi di veder svanire i suoi investimenti a medio-lungo termine. Anche sul terreno dei finanziamenti esteri dunque si combatte la battaglia per la conquista dei seggi specialmente nelle regioni in bilico, dove il voto risulterà determinante per dare o meno una maggioranza, per portare al governo questo o quell'altro schieramento politico. E' il caso del Metn, zona montuosa a nord-est di Beirut a maggioranza armena dove la contesa per assicurarsi l'appoggio del partito Chanang (rappresentante degli interessi della comunità cristiana-armena) e dei suoi elettori è aspra.
Un esponente del governo di Riad, citato dalla stampa americana, ha ammesso candidamente che il suo paese ha inviato centinaia di milioni di dollari in Libano per sostenere "tutti i candidati che corrono contro Hizb'Allah" mentre , notizia confermata all'emittente "Nyt" dal candidato Ahmed al Asaad, in lizza per un seggio nel Libano meridionale, "l'Arabia Saudita ha rappresentato una fonte significativa di sostegno" per la sua campagna contro il partito di Nasrallah.
A cercare di riportare su un binario di maggior legalità la campagna elettorale sono soprattutto le autorità religiose. Sabato scorso il cardinale Nasrallah Boutros Sfeir , in un intervista televisiva a "Mbc", ha denunciato i grossi flussi di denaro provenienti dall'estero sostenendo che questi fondi finiranno per compromettere la competizione tra i partiti. Secondo Sfeir "diverse potenze straniere stanno cercando di influenzare l'esito del voto libanese". Candidati profumatamente sostenuti a suon di milioni di dollari, segreterie dei partiti foraggiate da denaro straniero, clientelismi d'impronta mafiosa dietro ai quali si celano interessi sovranazionali identificabilissimi e palesemente riconducibili alla politica adottata da anni dall'amministrazione statunitense per il paese dei cedri: Obama o Clinton gli americani hanno tutto interesse a garantirsi un governo amico a Beirut per proseguire la loro politica di destabilizzazione , più o meno silenziosa, nel Vicino Oriente.
Dopo la debacle in Georgia, le sconfitte subite sul terreno ostile in Iraq e Afghanistan, la situazione transitoria e caotica del Pakistan e le nuove sfide economiche generate dalla crisi globale per Washington una vittoria di Hizb'Allah e dei suoi alleati significherebbe un enorme smacco, un rovescio storico che potrebbe avere conseguenze indescrivibili anche nei rapporti con l'alleato sionista ma, particolarmente, nel sicuro inasprimento delle relazioni con Damasco e Teheran.
Una vittoria , quella data per certa, di Hizb'Allah che sarebbe inevitabilmente anche un'affermazione per tutte le potenze - regionali e mondiali - ostili al disegno unipolare e unidimensionale dell'One World e della politica di globalizzazione manu militari dei centri studi strategici statunitensi: Russia, Cina, Iran, Siria, Venezuela tutti i principali paesi ostili all'egemonia planetaria a stelle (di Davide) e strisce ne trarrebbero vantaggi e aumenterebbero soprattutto le prospettive per disegnare quel "nuovo ordine internazionale multipolare" auspicato anche recentemente dal presidente venezuelano Hugo Chavez durante i lavori del secondo summit arabo-sudamericano di Doha lo scorso fine marzo.
Sarebbe , in particolare, una vittoria della diplomazia e un successo degli sforzi compiuti dagli iraniani nella regione: l'influenza di Teheran sul mondo arabo, il suo trentennale appoggio ai movimenti di resistenza anti-sionisti e anti-imperialisti nella regione ne sarebbero ricompensati e una vittoria di Hizb'Allah vedrebbe un coronamento delle attività di fiancheggiamento e solidarietà che il paese islamico diretto dalla Guida spirituale, Grande Ayatollah Sayyed Alì Khaminei, ha sempre mostrato nei confronti degli oppressi e dei diseredati della regione, i palestinesi e i loro fratelli sciiti libanesi .
In questo clima di tensione, tra manovre finanziarie, colpi bassi e accuse intrecciate che si scambiano i due opposti schieramenti il Libano si avvicina ogni giorno di più alla data delle prossime legislative: il conto alla rovescia che da quì al 7 giugno prossimo porterà oltre due milioni di libanesi alle urne è cominciato.
*Direttore Responsabile Agenzia Stampa "Islam Italia"
da Nabathiyeh (Libano Meridionale)