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Libano: si sgonfia il "teorema siriano" dell'omicidio Hariri

di Dagoberto Husayn Bellucci - 08/05/2009

A sessanta giorni dalla sua istituzione, a L'Aja in Olanda, il Tribunale
Speciale per il Libano (TSL) ha emesso il primo verdetto: assoluzione e
conseguente rilascio "per mancanza di prove" per i quattro generali libanesi
accusati di essere i principali responsabili del complotto , imputato
immediatamente alla vicina Siria, dell'attentato che costò la vita all'ex primo
ministro libanese Rafiq Hariri nel giorno di San Valentino di quattro anni
fa.
Hariri, come si ricorderà, perse la vita assieme ad una ventina dei suoi
uomini della scorta quando , al passaggio della sua vettura, una potente
esplosione devastò la zona adiacente al lungomare di Marina nei cuore della
capitale libanese Beirut.

Il TSL , organismo sovranazionale creato ad hoc per giudicare gli eventuali
colpevoli della lunga indagine che da quattro anni ha paralizzato e diviso la
politica libanese, ha dunque pronunciato la sua sentenza: assoluzione per
tutti. I quattro generali libanesi , all'epoca responsabili dei principali
organismi di controllo e vigilanza dei servizi civili e militari, sono stati
infine scarcerati dopo quattro anni di detenzione disposta dalle autorità di
Beirut per paura di "inquinamento delle prove" e , peraltro, senza alcuna
formale incriminazione a loro carico. Prove che, alla luce delle recenti
indiscrezioni di stampa e da numerose autorità giudiziarie locali, sono state
ritenute insufficienti per costituire un elemento probatorio e aprire una
parentesi giudiziaria internazionale che era quanto richiesto , da tempo, dai
partiti della maggioranza filo-occidentale al potere.

I quattro ufficiali libanesi sono dunque liberi: le porte del carcere si sono
aperte per Mustafa Hamdan, ex capo della Guardia Repubblicana, per Jamil Sayyed
, ex direttore generale della sicurezza, Alì Hajj ,all'epoca responsabile delle
forze di sicurezza del Ministero degli Interni e per l'ex capo dei servizi di
sicurezza dell'esercito Raymond Azar. Un verdetto che lascia con un pugno di
mosche i tanti fautori della giustizia-politicizzata in salsa libanese e tutto
il fronte filo-occidentale dei partiti del 14 marzo che si raccolgono attorno
al figlio dell'ex premier, Sa'ad Hariri, e al suo movimento "Corrente
Futura".

Il "fronte di Bristol" (dal nome dell'hotel libanese nel quale nacque
l'alleanza tra la famiglia Hariri i falangisti di Gemayel, le Forze Libanesi di
Samir Geagea e i socialprogressisti del druso Jumblatt) accusa il colpo e si
rende perfettamente conto che questo verdetto inciderà ulteriormente sulla
campagna elettorale in corso che, per il 7 giugno prossimo, dovrebbe sancire
una vittoria per i partiti dell'opposizione nazionale diretti da Hizb'Allah e
dalla Corrente Patriottica Nazionale del Gen. Michel Aoun.

Un verdetto che sostanzialmente rimette in discussione soprattutto l'intero
sistema giudiziario libanese da un lato e i meccanismi e l'unilateralità con la
quale è stata , fin dall'inizio, condotta l'inchiesta da parte delle autorità
di Beirut e da quelle internazionali. L'assassinio di Hariri inequivocabilmente
ha segnato uno spartiacque fondamentale nella recente storia del paese dei
cedri considerando che dopo quella tragedia in Libano si iniziò a sviluppare
una trama politica-istituzionale tesa a favorire la destabilizzazione
attraverso la discesa in campo di forze eterodirette da Washington e da molti
paesi europei interessati al disarmo della Resistenza (Hizb'Allah) e alla
cacciata del contingente siriano dal territorio libanese.

La risoluzione Onu 1559 dell'ottobre 2004 che richiedeva questa
"normalizzazione" in senso "democratico" fu semplicemente il preludio
all'assassinio di Hariri, alla successiva stagione delle autobombe nella
capitale, alla costituzione di un movimento popolare finanziato da "occulti" ma
ben identificabili ambienti , vicinissimi all'ambasciata Usa a Awqar , che
immediatamente richiese a gran voce - con manifestazioni di piazza e tendopoli
rumoreggianti - il ritiro siriano dal paese: obiettivo raggiunto quando il
presidente Bashar el Assad decretò il rientro del suo contingente dopo quasi un
trentennio di permanenza delle truppe di Damasco sul territorio del vicino
Stato libanese.

La Siria, in quel momento particolarmente vulnerabile e suscettibile delle
reazioni della cosiddetta "comunità internazionale" (organismo inesistente che
'risiede' al Palazzo di Vetro e che viene comunemente evocato, alla stregua di
un fantasma vendicativo, da ambienti lobbistici e diplomatici collegati
all'amministrazione statunitense)  accettò suo malgrado il ritiro del suo
contingente da un paese che, all'epoca del conflitto civile (nella seconda metà
dei settanta), aveva urgentemente invocato l'aiuto di Damasco.
Da allora i rapporti tra l'esecutivo libanese - rappresentante una
maggioranza filo-occidentale ostile a Damasco - e quello siriano sono andati
deteriorandosi mettendo a repentaglio il patto di mutua assistenza e
cooperazione sancito tra le due nazioni arabe e creando i presupposti per una
spaccatura profonda in seno alla società e alla politica libanese con la
costituzione di due fronti contrapposti.

La "primavera sionista" di Beirut - che porterà i movimenti della maggioranza
harirista-falangista a occupare stabilmente il centro della capitale per circa
cento giorni dal febbraio al maggio 2005 - che nelle intenzioni dei suoi
fautori doveva rappresentare niente più che una riedizione in salsa libanese
delle "rivoluzioni arancioni" già viste all'opera in Yugoslavia, Ucraina e
Georgia sperimenterà invece il pragmatismo, l'alto senso di responsabilità e la
'tenuta' politica di Hizb'Allah e dei suoi alleati.

Il partito sciita di Sayyed Hassan Nasrallah, immediatamente additato quale
possibile "esecutore" dell'attentato e sul quale peseranno per svariate
settimane i sospetti della stampa filo-americana di mezzo pianeta, raccogliendo
la sfida chiamerà a raccolta i suoi sostenitori con una grande adunata oceanica
, nel cuore della capitale in piazza Riad el Sohl , l'8 marzo 2005 ribadendo la
sua posizione di solidarietà all'alleato siriano e ringraziando pubblicamente
Hafez el Assad ed il suo successore  Bashar e puntando l'indice contro il
nemico sionista.

A distanza di quattro anni i nodi incominciano a venire, come si sul dire, al
'pettine': la montatura giudiziaria che avrebbe dovuto rappresentare l'atto
d'accusa determinante a minare la stabilità della Siria è caduta a pezzi,
lacerando lo stesso sistema della magistratura libanese che si è inchinato ai
diktat di Washington seguendo una serie di piste prestabilite dagli interessi
della politica specialmente di quella dell'amministrazione Bush che aveva
previsto per il paese dei cedri una svolta radicale che doveva portare al
disarmo di Hizb'Allah e alla sua normalizzazione in senso filo-occidentale. Nè
i piani strategici delle diverse fondazioni e dei centri studi strategici dei
falchi dell'amministrazione (si ricorda quì il "Middle East Project" della Rand
Corporation che delineava un "nuovo e grande Medio Oriente" 'democratizzato'
manu militari da Washington) nè il successivo intervento bellico dell'alleato
sionista - al quale l'amministrazione Bush darà il suo 'disco verde' per
perpetrare stragi inaudite di innocenti causando la morte di oltre 1400 civili
e il ferimento di altre 3500 persone in quell'estate 'torrida' di tre anni or
sono - riusciranno a ottenere l'obiettivo previsto: Hizb'Allah e la Resistenza
Islamica risponderanno colpo su colpo, senza indietreggiare nè concedere un
millimetro, sia ai complotti politico-diplomatici sia all'aggressione
israeliana capitalizzando una vittoria su tutti i fronti con la discesa in
piazza di oltre due milioni di libanesi che risponderanno all'appello
dell'Opposizione Nazionale , eterogenea e multicolorata alleanza di partiti
nazionalisti che si stringeranno dopo la guerra al fianco degli uomini di
Nasrallah per difendere la sovranità nazionale e territoriale del paese dei
cedrei.

Ora Hizb'Allah ed i suoi alleati chiedono il 'conto' com'è ovvio che sia: il
partito sciita libanese all'indomani della sentenza assolutoria per i quattro
generali ha intensificato i suoi attacchi contro il sistema giudiziario
criticando la detenzione arbitraria al quale sono stati sottoposti
ingiustamente i quattro ufficiali e sostenendo che questa barbarie deve
assolutamente finire. Un presidio di protesta davanti alla sede del Ministero
della Giustizia di Beirut sarebbe fra gli strumenti che Hizb'Allah intenderebbe
adottare per fare pressioni in questo senso ed invitare il procuratore generale
Said Mirza alle dimissioni assieme al magistrato inquirente del caso Hariri,
dr. Saqr Saqr , ritenuti "irresponsabili" per aver messo a repentaglio la
sovranità giuridica del paese.

Il rischio infatti che il TSL fosse utilizzato come una specie di "spada di
Damocle" contro la sovranità nazionale libanese, con l'eventualità di processi
più o meno sommari all'intera classe dirigente ritenuta (a torto o a ragione)
favorevole a Damasco e al "vecchio ordine" politico precedente il ritiro
siriano dal paese, era altissimo: da sempre Hizb'Allah ed i suoi alleati hanno
messo in allerta le fazioni filo-occidentali che si stava barattando
ignobilmente la sovranità giuridica nazionale in cambio di evidenti aiuti
politici e diplomatici a sostegno della causa anti-nazionale e di piani
destabilizzatori di provenienza atlantico-sionista.

Al riguardo significativa fu la pressochè assoluta "quarantena" politica ed
istituzionale al quale è stato sottoposto l'ex Capo dello Stato, il Presidente
filo-siriano Emile Lahoud, per due anni (da quel febbraio 2005 alla fine del
mandato con le dimissioni nel novembre 2007) sorta di "appestato politico" per
le delegazioni diplomatiche occidentali che - nel recarsi in visita a Beirut -
evitavano pacificamente di far visita al palazzo presidenziale di Ba'abda per
"presunte" collusioni nell'affaire Hariri.

Lahoud, fautore dell'alleanza con il vicino siriano e sostenitore a spada
tratta del diritto inalienabile della Resistenza Islamica di difendere i
confini meridionali del paese da sempre minacciati dall'entità criminale
sionista che continua ad occupare parti di territorio libanese - le fattorie di
She'eba, Kfar Shouba e il villaggio di Ghajar - , pur continuando a mantenere
la carica presidenziale venne, de facto, eliminato dai processi decisionali
della vita istituzionale del paese che passarono , di colpo, nelle mani
dell'esecutivo Siniora auto-proclamatosi sola istituzione legittimamente eletta
e democraticamente funzionante del Libano.

Una situazione che paralizzò il paese dei cedri fino alla svolta della scorsa
primavera quando Hizb'Allah ed i suoi alleati 'ripulirono' manu militari le
regioni druse dello Chuf e occuparono per settantadue ore la capitale prendendo
d'assedio i principali punti nevralgici di Beirut, presidiandone le zone a
maggioranza sunnita e isolando e oscurando la televisione "Future Tv" della
famiglia Hariri. Quel 'blitz' militare, seguente ad un'ennesimo attacco
condotto dai sostenitori della maggioranza filo-occidentale responsabili della
morte di una ventina di simpatizzanti sciiti nella zona compresa tra il
quartiere sciita di Musharrafiyeh e quella cristiana di Mar Michail , oltre a
rappresentare perfettamente il reale rapporto di forza esistente sul campo fra
i due schieramenti risolse anche la questione dell'elezione alla presidenza
della Repubblica del sostituto di Lahoud con l'avvento dell'era Souleiman quale
Capo di Stato del paese dei cedri.

Hizb'Allah adesso intende premere sui principali organismi della magistratura
libanese per accertare omissioni e responsabilità e soprattutto per ottenere
finalmente risposte sul crimine Hariri. La verità (al haqiqah) che da oltre
1500 giorni chiedono insistentemente i partigiani hariristi sull'omicidio
dell'ex premier è a portata di mano se soltanto si volessero tenere in
considerazione altre piste fra le quali quella maggiormente accreditata presso
i partiti dell'Opposizione che porta inevitabilmente a responsabilità
israeliane e ad un intervento diretto dei servizio sionisti del Mossad non
nuovi a questi colpi a freddo in terre arabe.

La protesta che potrebbe essere convocata come presidio permanente dal
Partito di Dio mira a contestare sia la detenzione arbitraria dei quattro
ufficiali pro-siriani sia i metodi di inchiesta che , a tutt'oggi, non hanno
portato ad alcun accertamento nè dei fatti nè di eventuali responsabili
tantomeno dei mandanti rimasti occulti.

Analoga richiesta di verità è quella che proviene da Damasco dove il
presidente siriano, Bashar el Assad, si è dichiarato impaziente di conoscere
quale sarà il verdetto del TSL sull'assassinio dell'ex premier Hariri e sulla
strategia della tensione che colpì il vicino paese dei cedri nella primavera di
quattro anni fa. "Sapere chi ha commesso questo crimine - ha commentato Assad -
sarà molto importante per la Siria" perchè , sempre secondo quanto sostenuto
dal Capo di Stato siriano, "quando questa vicenda sarà infine chiarita noi ne
saremo felici e soddisfatti".

La Siria ed i suoi alleati dunque alla resa dei conti: chi ha voluto la morte
di Hariri aveva tutto l'interesse ad eliminare l'uomo che, più di ogni altro,
aveva ridato speranze e stabilità al paese dei cedri fuoriuscito a pezzi nel
1990 dalla lunga guerra civile e dall'occupazione sionista del Sud (durata dal
1982 fino alla primavera 2000). Hariri stava riportando stabilità economica e
sicurezza ai libanesi e soprattutto cominciava ad essere un personaggio scomodo
per chi - nelle alte sfere della politica mondiale - aveva predisposto per il
Libano una destabilizzazione sul modello iracheno funzionale alle strategie del
divide et impera dell'amministrazione Bush e della superpotenza a stelle e
strisce.

Entrato nel mirino dei fautori dello scontro tra le civiltà il paese dei
cedri , con le sue oltre venticinque confessioni religiose e con i suoi dissidi
interni , con gli inevitabili strascichi della recente guerra civile e l'odio
che covava sotto un'apparente normalizzazione - ottenuta manu militari da
Damasco attraverso gli accordi di Taif sottoscritti da tutti i partiti e le
fazioni libanesi nell'autunno 1990 in Arabia Saudita - si prestava
magnificamente per lo scatenamento di una faida interconfessionale ed inter-
etnica , un tutti contro tutti generalizzato come nel vicino Iraq - e per la
creazione di zone "franche" da adibire eventualmente a possibili basi americane
o Nato.

Teorizzazioni neoconservatrici, sogni sionisti e utopie dell'amministrazione
Bush (in particolar modo dell'ex segretario di Stato Condoleeza Rice fautrice
di questi programmi bellico-destabilizzanti) che cozzeranno contro la diga
libanese rappresentata da Hizb'Allah e dalla sua irriducibile resistenza contro
i nemici interni ed esterni, contro i complotti politici e le aggressioni
militari.

L'assoluzione dei quattro generali decretata dal TSL a L'Aja rimetterà in
discussione inoltre non soltanto il sistema giudiziario libanese e la sua
politicizzazione filo-occidentale ma anche avrà ricadute inevitabili
sull'applicazione disinvolta del cosiddetto diritto internazionale ovvero sul
tribunale delle Nazioni Unite che già, lo scorso febbraio, si è reso
responsabile della condanna in contumacia di un Capo di Stato in carica nella
persona di Omar Hassan el Bashir , presidente del Sudan, accusato di "genocidio
e crimini di guerra" nel Darfur e per questo sottoposto ad un mandato d'arresto
internazionale decretato dalla Corte Penale Internazionale.

Uno strumento quello del mandato d'arresto internazionale molto pericoloso,
grimaldello giudiziario utilizzabile in qualsiasi momento ed in qualunque
contesto contro regimi indesiderati da quelle nazioni - Stati Uniti su tutte -
che in sede di Nazioni Unite hanno un peso specifico considerevole influenzando
il voto di molti rappresentanti dei paesi più poveri, dell'Africa, dell'Asia e
dell'America Latina durante le riunioni del Consiglio di Sicurezza al Palazzo
di Vetro.

Il caso "al Bashir" che ha fatto gridare allo scandalo numerosi paesi del
cosiddetto Terzo Mondo è infatti emblematico di come strumentale potrà
diventare l'uso della giustizia sovra-nazionale che intendesse modificare lo
status quo e gli assetti di potere interni ai singoli Stati membri dell'Onu.
L'Unamid - la missione militare congiunta dell'Onu e dell'Unione Africana in
Sudan - annunciarono immediatamente dopo condanna e la richiesta di arresto
contro il presidente sudanese la sospensione delle loro attività nel paese
africano e , ricordiamolo, manifestazioni popolari di protesta contro questa
decisione Onu inondarono le strade della capitale Khartoum.

L'eventualità di un 'replay' del "caso Sudan" in Libano era fortissima un
paio di mesi or sono quando , a L'Aja, venne decisa l'apertura del TSL. Ora
questa decisione di mandare assolti i quattro ufficiali imputati oltre a
confermare lacune, ritardi, disfunzioni nel sistema giudiziario libanese ha
dimostrato tutta la fragilità dello stesso tribunale penale internazionale
dell'Onu presieduto dall'italiano Antonio Cassese e della commissione
d'indagine diretta dal belga Serge Brammertz il quale oramai da tre anni
abbondanti continua a far la spola da Bruxelles a Beirut in cerca di prove
inesistenti.

Questa metodologia operativa degli strumenti giudiziari dell'Onu hanno messo
in cattiva luce le istituzioni internazionali operanti in Libano nel dopo-
Hariri. L'inchiesta sull'attentato non ha portato ad alcun valido accertamento
della verità , si è perso tempo dietro un'improbabile "pista siriana" evitando
accuratamente di puntare altrove i riflettori dell'indagine e provocando
politicamente una ricaduta sull'intera società libanese. Chiunque in Libano,
fino a qualche mese or sono, provasse a mettere in discussione l'attendibilità
del filone principale d'indagine, chi osava mettere in dubbio la paternità
siriana della strage di San Valentino era immediatamente accusato di
dietrologia, complottismo e sentimenti filo-siriani. Come hanno sottolineato
anche diversi osservatori libanesi si applicava la pratica del dubbio
mistificata alla cultura del sospetto.

Se di verità si vuol realmente parlare e se di questa si volesse accertare
mandanti ed esecutori dell'assassinio Hariri si smetta una buona volta di
puntare l'indice contro Damasco e si provi a guardare più a sud, oltre il
confine meridionale, all'entità criminale sionista.
In una Beirut che attende sostanzialmente indifferente l'esito delle prossime
elezioni legislative qualunque interferenza straniera rischierebbe di
pregiudicare non soltanto l'esito del voto ma il futuro stesso del paese dei
cedri sempre più sotto i riflettori della politica mondiale, nuovamente arena
privilegiata del contenzioso fra i fautori di un Nuovo Ordine Mondiale ed i
loro oppositori.
In vista delle prossime consultazioni elettorali del 7 giugno anche questa
decisione del TSL peserà come un macigno influenzando quei settori della
popolazione libanese ancora indecisi ed incerti. L'obiettivo delle trame
atlantico-sionista fino ad oggi rimane quello di bloccare l'ascesa di
Hizb'Allah e una vittoria delle forze dell'Opposizione Nazionale. I settori
dell'amministrazione statunitense - di recente si segnala anche la visita a
Beirut del nuovo Segretario di Stato signora Hillary Clinton che ha rassicurato
il premier Siniora e la maggioranza filo-occidentale del sostegno Usa -
preoccupati da una vittoria del Partito di Dio potrebbero giocare qualunque
carta nell'ultimo mese di campagna elettorale. Intanto l'ex segretario di Stato
, Madeleine Albright (di cui si ricordano quì le origini ebraiche), è giunta lo
scorso 5 maggio nella capitale libanese a capo di una missione di osservatori
internazionale che avrà la responsabilità di monitorare le elezioni. La
Albright ricopre attualmente la carica di responsabile del National Democratic
Institute (NDI) o.n.g. statunitense che sostiene "il rafforzamento delle
istituzioni democratiche nel mondo".  Questa organizzazione mondialista è stata
accreditata dal Ministero degli Interni di Beirut - saldamente in mano ai filo-
occidentali del 14 marzo - per svolgere attività di supervisione del processo
elettorale in vista dell'appuntamento del 7 giugno prossimo.
Anche questa mossa americana rappresenta inequivocabilmente un'intromissione
negli affari interni di una nazione sovrana. Il Libano dunque resta al centro
delle attenzioni della politica internazionale e delle strategie di
destabilizzazione dei Centri Studi Strategici "made in Usa".
Un mese di tempo per sapere infine la risposta alla domanda principale che
occupa le pagine dei principali quotidiani arabi: riuscirà la diplomazia
internazionale, l'amministrazione statunitense, il fronte filo-atlantico
interno a bloccare la vittoria abbondantemente preannunciata ed attesa di
Hizb'Allah?
E' un interrogativo che preoccupa i piani alti della politica mondiale e non
lascia dormire sogni tranquilli ai Signori del Potere degli organismi
sovranazionali e delle centrali di disinformazione mondialiste dei quattro
angoli del pianeta...l'incubo potrebbe materializzarsi dalle urne elettorali
del prossimo 7 giugno...
Il Libano, una volta di più, come laboratorio politico privilegiato per gli
apprendisti stregoni del Sistema di normalizzazione democratica e mondialista.