Viviamo in un mondo di dormienti che diventano feroci se qualcuno tenta di svegliarli
di Francesco Lamendola - 12/05/2009
Socrate credeva, ottimisticamente, che tutti gli uomini aspirino al bene e che, se compiono, invece, il male, ciò accade per ignoranza; ma basterebbe illuminarli sul loro errore, per consentirne il ravvedimento.
Sarebbe molto bello, e inoltre molto semplice, se davvero le cose stessero in questo modo; ma, purtroppo, vi sono numerosi indizi che suggeriscono la fallacia di una tale teoria.
La verità è che più si osserva il comportamento degli esseri umani, più si finisce per ammettere che la stragrande maggioranza di essi è formata da dormienti, che non desiderano destarsi dal proprio sonno voluttuoso, e nemmeno dai propri incubi; che vogliono continuare a dormire, a dispetto di tutti, anche se la casa in cui vivono sta prendendo fuoco; che non provano alcuna gratitudine nei confronti di coloro i quali cercano di destarli, ma, ben al contrario, nutrono nei confronti di costoro un odio implacabile, come se fossero i loro peggiori nemici, nel tempo stesso che onorano ed applaudono i malvagi pifferai che favoriscono i loro sonni e il loro sognare.
Per quella piccola minoranza di risvegliati, i quali cominciano a rendersi conto della natura illusoria del mondo in cui viviamo e del carattere risibile, se non addirittura pericoloso, della maggior parte delle cose che suscitano, nei più, compiacimento e desiderio di imitazione, il problema si pone in questi termini: che cosa fare in un contesto di sogno generalizzato, di odio nei confronti della verità, di rancore nei confronti di ogni voce che sia fuori del coro?
Come fare per evitare il treno che, guidato da un macchinista impazzito e carico di sonnambuli, sta per piombare addosso a coloro i quali sono desti, ma non possono agire sugli scambi, per deviarne la folle corsa?
E, ancora: è legittimo che il risvegliato cerchi di imporre ai dormienti la verità, se essi le preferiscono, invece, un mondo di menzogna; è giusto che cerchi di convincerli, di convertirli, di farli ravvedere, se ciò che essi vogliono è tutt'altro?
Certo, il giardiniere è uso a strappare le erbacce le quali invadono il suo giardino; ma il mondo non è un giardino, e ogni visione del mondo ha diritto di sussistervi: anche quella che appare manifestamente erronea. Sopprimere le visioni erronee non è compito del risvegliato; ma, semmai, offrire a tutti gli strumenti per valutare che cosa sia giusto e che cosa sia sbagliato: dopo di che, ciascuno deve assumersi la responsabilità del sentiero che intende seguire.
Nessuno può venire costretto ad essere virtuoso; nessuno può venire costretto a cercare la verità, se non la desidera e se ad essa preferisce la menzogna.
D'altra parte, è certo che, a quel punto, si pone concretamente il problema della sopravvivenza di colui il quale ritiene di essersi destato, e che si trova continuamente esposto agli urti e alle aggressioni degli altri, ossia dei dormienti: e le aggressioni più minacciose sono proprio quelle di quei dormienti che sono stati destati a forza per essere illuminati.
È una questione di sopravvivenza.
La storia ci offre sin troppi esempi di saggi, i quali sono stati crocifissi da una moltitudine che non voleva essere illuminata, che desiderava continuare a vivere nelle tenebre. E la moderna società di massa è la società dei ciechi e dei dormienti per eccellenza: è il vertice dell'attuale Kali Yuga, della Età Oscura nel ciclo della vicenda cosmica.
A meno che voglia andare incontro al martirio, dunque - e vi sono, indubbiamente, degli ideali che meritano di essere perseguiti fino al martirio - il risvegliato è indotto a interrogarsi sul senso del suo vivere nella società, e sulle modalità con le quali deve gestire il suo rapporto con il prossimo.
In effetti, nessuno è disposto a modificare la propria concezione del mondo, o a lavorare seriamente su se stesso, se non sulla base di una profonda e sentita esigenza interiore; e quest'ultima non potrà mai venire da un agente esterno, se non in coincidenza con un impulso interno.
Quel che vogliamo dire, è che le persone sono disponibili ad affrontare un salto qualitativo nella propria evoluzione spirituale, solo se, e quando, decidono di prendere coscienza del problema; ossia, in genere, quando si rendono conto, non solo di essere insoddisfatte della propria vita attuale - ciò che accade a molti -, ma di essere disposte a mettersi in gioco per uscire dal punto morto in cui si trovano.
In quella fase, e solo in quella fase, un evento esterno può fungere da detonatore della loro crisi benefica e affrettare una presa di coscienza: può essere l'incontro con una persona buona e saggia, o con un libro, o con una situazione inconsueta e stimolante (magari anche in apparenza negativa, come una malattia o il distacco da una persona cara).
Viceversa, se il momento non è giunto e la persona non è ancora pronta, nessun saggio, nessun libro e nessuna situazione stimolante potrebbero innescare una evoluzione spirituale; come dice il Libro dell'Ecclesiaste, vi è un tempo per ogni cosa: per parlare e per tacere, per dormire e per vegliare, per vivere e per morire. E, così come la natura fisica non fa salti, la stessa cosa può dirsi per la vita dell'anima: il suo processo evolutivo non può essere forzato.
Questo, difatti, è l'errore di fondo di tutte le rivoluzioni politiche e sociali: pensare che il mondo possa diventare migliore, una volta che si sia compresa una formula e la si sia messa in pratica, indipendentemente dalla vita interiore delle persone. Ma se non c'è una evoluzione spirituale, nessuna formula, per quanto perfetta in teoria, potrà rivelarsi capace di rendere il mondo migliore; al contrario, la storia è piena di esempi di formule ideali che si sono trasformate in terribili strumenti di oppressione e di malvagità, trovandosi nelle mani di persone che non avevano saputo compiere alcuna evoluzione interiore.
Per la persona che sia disponibile ad aprirsi, a mettersi in gioco, a evolvere spiritualmente, la vita offre infinite occasioni di miglioramento, purché le si sappia vedere.
Un disturbo fisico, ad esempio, è certamente un segnale: un segnale che il nostro corpo ci manda, e che contiene informazioni preziose circa la disarmonia presente nella nostra vita. In ultima analisi, ogni disturbo fisico è riconducibile alla dimensione spirituale; ed è veramente sconcertante vedere come la grande maggioranza degli esseri umani si disinteressa del problema, sforzandosi di mettere a tacere il sintomo - ossia il campanello d'allarme -, invece di andare alla ricerca del problema profondo che il corpo ha segnalato.
Peggio ancora: se il disturbo persiste, moltissime persone si affidano ciecamente a farmaci e a medici, come se farmaci e medici potessero sostituirsi alla doverosa presa di coscienza del proprio problema; e le stesse persone che delegano in questo modo la salvaguardia della propria salute, firmando una cambiale in bianco nei confronti dell'apparato sanitario ufficiale, sono poi quelle che esigono di occuparsi in prima persona, e fin nei minimi dettagli, di cose assolutamente banali e secondarie, come la scelta del nuovo modello di automobile da acquistare o l'intervento di chirurgia estetica per aumentare le dimensioni del seno.
Un altro esempio di questa tendenza a delegare le questioni davvero rilevanti ad agenzie esterne, è offerto dalla politica. La grande maggioranza delle persone non si informa adeguatamente di ciò che attiene a questa sfera e preferisce firmare una cambiale in bianco ai partiti, i quali mandano in Parlamento i loro uomini di fiducia, una legione di «yes-men» dalla schiena flessibile, fedeli esecutori delle direttive ricevute dalle rispettive segreterie.
Un discorso analogo si può fare per la pubblica amministrazione. Il risultato è che i nostri sindaci e assessori, che si muovono nella sfera del quantitativo e di ciò che ha un alto grado di visibilità (indipendentemente dalla sua efficacia), difficilmente riescono a concepire delle soluzioni innovative per i problemi che devono affrontare.
Un pezzo grosso dell'amministrazione provinciale, ora divenuto ministro, qualche tempo fa propose di porre rimedio all'alto numero di incidenti mortali del sabato sera, facendo tagliare migliaia di platani lungo uno storica strada provinciale: come se il problema fosse quello dei platani (i quali, comunque, hanno anch'essi il diritto di vivere) e non quello di uno stile di vita sbagliato e di uno scarso senso di responsabilità da parte di molti giovani.
Ma torniamo al problema del risvegliato che deve confrontarsi, tutti i santi giorni, con una folla di sonnambuli, i quali si muovono pericolosamente e reagiscono in maniera aggressiva se qualcuno tenta di destarli e di responsabilizzarli.
Julius Evola suggeriva che, in tempi di Kali Tuga, l'unica cosa da fare è imparare a «cavalcare la tigre»: ossia, anziché opporsi frontalmente ad una situazione negativa generalizzata, sfruttare la corrente, per procedere in maniera da non ricevere troppi danni e, addirittura, per riuscire a volgere a proprio favore le stesse caratteristiche di quella situazione, allo scopo di preservare il bene della propria interiorità.
Sia come sia, che impari a cavalcare la tigre, oppure che si abitui ad assecondare la corrente, il risvegliato ha la piena consapevolezza di non essere un superuomo e di non poter modificare, egli solo, una determinata situazione, diffusa nella società in cui egli si trova a vivere; e, inoltre, che non sarebbe saggio cercar di forzare l'evoluzione spirituale degli altri esseri umani, per le ragioni che abbiamo detto più sopra.
Che cosa dovrà fare, allora?
È molto semplice.
Primo, dovrà proseguire incessantemente a lavorare su se stesso: perché la propria evoluzione spirituale è un compito che non finisce mai, e che si rivela più impegnativo, mano a mano che una persona vi si addentra.
Secondo, offrire - nella misura delle sue possibilità - una diversa prospettiva a coloro che gli stanno intorno e che gli sembrano aperti ad un cambiamento, ma senza illudersi di vederli cambiare dall'oggi al domani e senza attendersi gratitudine, né amicizia; ma, al contrario, mettendo in conto un certo grado di incomprensione, se non addirittura di aperta ostilità.
In ogni caso, egli sa che le cose accadono quando è giunto il tempo in cui devono accadere: non un minuto prima, né un minuto dopo.
In ciò consiste l'armonia del tutto: che ogni cosa è come deve essere; e che quelle cose, le quali ci appaiono negative, in realtà sono tali solo nella misura in cui noi non siamo in grado di farne una occasione di crescita e di perfezionamento.
In altre parole, la disarmonia è in noi, non nel creato; è nostra la responsabilità di non essere abbastanza evoluti da gestire in maniera responsabile e proficua le occasioni che la vita ci offre, per quanto esse possano presentarsi, talvolta, nella rude veste di eventi dolorosi.
Il risvegliato, pertanto, è colui che, ad un certo punto, decide di cogliere le occasioni che la vita gli offre per riprendere possesso di sé, per tornare ad essere il vero protagonista del proprio volere e del proprio agire. È colui che decide di non dare più ad altri la delega in bianco di ciò che lo riguarda in prima persona; di ascoltare i segni e di imparare a riconoscere gli avvertimenti.
Il mondo è pieno di segni, la vita è piena di avvertimenti. Si può dire che non vi è persona, situazione o evento che noi incontriamo nel nostro cammino terreno, che non costituiscano altrettanti segni, indicazioni, suggerimenti o stimoli.
Tutto ci parla, se siamo disposti ad ascoltare; ma, naturalmente, per saper fare questo, bisogna prima imparare a fare silenzio. Troppi rumori inutili, fuori e dentro di noi, ci impediscono di udire l'essenziale; la cacofonia dei rumori inutili e disarmonici ci impedisce di udire e di godere del magnifico concerto dell'Essere.
Finché continuiamo a dormire, i nostri orecchi sono chiusi all'armonia dell'Essere e i nostri occhi sono chiusi al suo splendore.
Impariamo ad aprire occhi e orecchi, cominciamo a destarci: ce n'è, di giorno, che ancora deve sorgere, per noi che siamo immersi nel sonno.
L'unica luce del giorno è quella che ci trova ben desti, pronti e desiderosi di accoglierla in noi.