La guerra civile infiamma nuovamente il Delta del Niger. I combattimenti tra l’esercito governativo e i guerriglieri del Mend, il movimento che rivendica una più equa ripartizione dei profitti tratti dallo sfruttamento degli idrocarburi a beneficio delle popolazioni locali, avrebbero provocato “centinaia di civili, tra i quali donne e bambini, anziani e infermi”. Non solo. “Comunità Ijaw come Kurutie sono state distrutte, mentre altre sono ancora bombardate da terra, dal mare e dalle forze aeree” senza alcun riguardo per i “danni collaterali” provocati in termini di “vittime innocenti”. L’allarme è stato lanciato da Amnesty International, precisando che il bilancio più alto delle vittime si sarebbe registrato quando la task force nigeriana, venerdì scorso, avrebbe usato elicotteri per attaccare la comunità intorno al campo dei militanti vicino a Warri. “Migliaia di case sono state date alle fiamme e distrutte dall’esercito. La gente si sta ancora nascondendo nella foresta, senza accesso a cibo e cure mediche” ha sottolineato Amnesty, stimando che 20mila persone sono rimaste intrappolate dall’offensiva militare, incapaci di usare le imbarcazioni per timore di diventare l’obiettivo dell’esercito. La sanguinosa offensiva governativa sarebbe scaturita come punizione per l’umiliante sconfitta subita lo scorso 13 maggio quando i reparti della JTF avrebbero cercato di assalire con un raid due campi di militanti. Da quel mercoledì si sono succedute giornate di pesanti combattimenti e comunicati, morti reali e presunti, vittorie schiaccianti e smentite, in una regione nella quale i giornalisti non sono accettati e dove anche i rari quotidiani hanno difficoltà a costatare sul campo quanto sta realmente accadendo. È chiaro che il governo nigeriano cerca di nascondere la verità, ma è altrettanto vero che così la comunità internazionale può chiudere gli occhi per continuare a comprare il petrolio ad un prezzo conveniente. Non si è fatta attendere la risposta dell’esercito nigeriano che ha ripetutamente negato di aver usato un uso eccessivo della forza, tanto da sostenere che “nessun civile innocente è stato ucciso”. Ma il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger parla di oltre 250morti, ribadendo la dichiarazione di “guerra totale” in tutta la regione e avvertendo le compagnie petrolifere che vi operano di evacuare il personale e di bloccare la produzione. Ma un’ulteriore conferma dei continui bombardamenti su Oporoza, Ubefan, Okerenkoko, Kurutie, Azama, Benikurukuru e altre comunità Ijaw del regno di Gbaramatu è giunta dal governo del Biafra in esilio, stanziato dal 1970 in Costa d’Avorio, che condanna la spedizione militare delle Forze Armate della Nigeria, denunciando “l’uccisione indiscriminata di un gran numero di civili disarmati, la distruzione delle loro case e delle loro proprietà, e la fuga di centinaia di migliaia di sventurati”. Secondo il Bgie, il governo nigeriano avrebbe “istituzionalizzato lo stupro del Delta del Niger” e “attuato un genocidio contro il popolo nigeriano”. Parole forti che rispecchiano la politica di Lagos, che con il “Decreto sulle risorse petrolifere del 1969”, il “Decreto sull’uso delle terre del 1978” e il “Decreto sulle vie navigabili interne nazionali del 1997” tolsero la terra, le risorse minerarie e le risorse idriche ai popoli del Delta del Niger e del Biafra, senza alcuna consultazione e senza il loro consenso. In più l’agricoltura e la pesca della regione, un tempo attività fiorenti, sono ormai al collasso, a causa dell’inquinamento provocato dall’estrazione dell’oro nero. Così il Governo del Biafra in esilio chiede, rifacendosi alla risoluzione A/61/295, che sostiene l’autodeterminazione delle nazioni, razze e popoli, l’intervento delle Nazioni Unite per “ripristinare la pace, la sicurezza e la stabilità nella regione”. Un appello che rimarrà inascoltato dal Palazzo di Vetro. Non bisogna dimenticare che le più grandi compagnie petrolifere al mondo, Total, Shell, Agip, Eni, Exxon Mobil, Statoil, beneficiano del greggio nigeriano e faranno di tutto per non perdere questo privilegio.
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