Iraq, Arabi e kurdi di fronte a una scelta: accordarsi o combattere
di Tim Cocks - 05/06/2009
![]() |
KHANAQIN, Iraq - In una animata cittadina di mercato che i kurdi iracheni e il governo di Baghdad guidato dagli arabi si contendono accanitamente, Khalil Ibrahim indica il terreno sotto i suoi piedi per illustrare ciò che ritiene sia all’origine della disputa: il petrolio. "Baghdad vuole il petrolio che c’è qui – probabilmente in questo momento noi siamo proprio sopra una parte – e questa è la vera ragione per cui non permetteranno a noi kurdi di autogovernarci", dice il 58enne soldato kurdo in pensione, prima di attraversare la strada per andare in una vistosa gelateria di Khanaqin, città a maggioranza kurda, ai margini della violenta provincia irachena di Diyala. Lungo una linea confusa che divide il centro dell’Iraq dall’enclave in gran parte autonoma del Kurdistan, è in corso un'aspra disputa su quale autorità possieda questo patchwork di quartieri kurdi e arabi, palmeti alimentati da fiumi, e giacimenti petroliferi da molti miliardi di barili. Si ritiene che il Kurdistan iracheno abbia fino a 45 miliardi dei 118 miliardi di barili di riserve petrolifere dell’Iraq. Se tutte le zone contese venissero incluse nella regione kurda, la sua quota potrebbe salire a 65 miliardi di barili, a detta dei funzionari kurdi. In nessun altro luogo l'aspra disputa si è avvicinata alla violenza più che a Khanaqin, nei pressi del confine iraniano, dove lo scorso agosto i comandanti locali avevano dovuto disinnescare una situazione di tensione arrivata a una fase di stallo fra l’esercito iracheno e le forze dei Peshmerga kurdi, per impedire che degenerasse in un conflitto a fuoco. Tuttavia questo mese un nuovo importante sviluppo su una disputa parallela relativa alle esportazioni di petrolio dal Kurdistan – che sono iniziate ufficialmente questa settimana, nonostante il rifiuto da parte di Baghdad dei contratti che i kurdi hanno firmato con alcune compagnie petrolifere – ha sollevato speranze che i disaccordi non siano così insolubili. La posta in gioco è alta. Funzionari e analisti considerano la disputa la maggiore minaccia a lungo termine per la stabilità, mentre le truppe Usa si preparano a end le operazioni di combattimento entro il 31 agosto 2010, secondo gli ordini del Presidente Barack Obama. "Arriveranno a una fase, quando gli americani si ritireranno, dove andrà fatta una scelta: combattere o perseguire la pace", dice Joost Hiltermann, direttore per il Medio Oriente dell’International Crisis Group. "Sarà molto difficile impedire uno scontro. Una volta ritirate le forze americane, senza avere risolto le dispute principali, andrà tutto all'aria". Terra, petrolio, potere La lotta per la terra, il petrolio, e il potere ha lasciato in un limbo la gran parte degli investimenti stranieri nel settore petrolifero in nord Iraq. Il mese scorso funzionari kurdi avevano annunciato un piano da 8 miliardi di dollari per esportare il gas in Europa attraverso il gasdotto del Nabucco, ansiosi di liberarsi dalla dipendenza dalla Russia. Baghdad ha respinto l'accordo. Giacimenti situati nelle zone contese sono fra quelli che il ministero del Petrolio sta offrendo nei round di gare di appalto, ma i kurdi avvertono che potrebbero rifiutare e bloccare qualunque accordo sul quale non siano stati consultati. Nella zona desertica attorno a Khanaqin, che ha parecchi pozzi di petrolio, nessuno dei quali ancora in produzione, la disputa ha inoltre aggravato il problema di una rivolta araba sunnita tuttora attiva. Al Qaeda e altri combattenti sfruttano le tensioni fra i Peshmerga e le forze irachene nascondendosi nelle zone della 'terra di nessuno' che le due parti evitano per impedire che avvengano scontri. Diyala e Ninive, un’altra provincia mista arabo-kurda, sono le zone più violente dell’Iraq. Tuttavia, nonostante tutto il suo potenziale esplosivo, l'esplosione non c'è stata. Dalla fase di stallo della tensione di Khanaqin, le due parti non si sono avvicinate a uno scontro. "I comandanti hanno mostrato una capacità di risolvere i conflitti... prima che si arrivi a sparare", dice il Capitano Gabe Austin, le cui truppe pattugliano una zona che comprende Khanaqin. Il mese scorso, soldati dell’esercito iracheno e dei Peshmerga kurdi hanno iniziato pattugliamenti congiunti in zone contese di Diyala, perquisendo abitazioni in cerca di armi, e arrestando sospetti combattenti. Dicono di avere arrestato finora oltre 300 persone in questa operazione. Durante uno di questi pattugliamenti, la Reuters li ha accompagnati mentre perlustravano un villaggio con le mura di fango lungo il fiume Diyala, le cui acque alimentano un’oasi di verdi palme da dattero e campi di grano circondati da un deserto roccioso. "Sono piuttosto sorpresa di vederli lavorare insieme", diceva Flozia Mohammed Ali, 50 anni, kurda, mentre i soldati le rivoltavano gli armadi. "E’ positivo, ma non sono sicura che lo vogliano davvero ". Tensioni temporanee? Baghdad e il KRG di recente hanno messo da parte le divergenze sulle esportazioni di greggio dal giacimento kurdo di Tawke, gestito dalla norvegese DNO International, e da quello di Taq Taq, dove lavora la Addax Petroleum. L’impresa turca Genel Enerji è impegnata in entrambi. Secondo gli analisti, a riconciliarli è stato il bisogno urgente di liquidi, ma ci vorrà altro per far andar via il rancore che sta alla base. Negli anni ’70 Saddam Hussein espulse migliaia di kurdi e turcomanni da Kirkuk e da cittadine come Khanaqin per assicurarsi le riserve energetiche, e utilizzò gas velenosi per ucciderne a migliaia. "Saddam portò gli arabi per farci andar via con la forza e impadronirsi di questo posto. Perché dovremmo fidarci di qualunque governo a Baghdad dopo questo?", dice Mohammed Gulam, un tassista, mentre gioca vigorosamente a domino con amici, tutti kurdi, in una tea house di Khanaqin. Un referendum sul status dei territori contesi pattuito nella Costituzione irachena è stato bloccato. Le minoranze araba e turcomanna accusano i kurdi di essersi trasferiti in massa per ribaltare qualunque risultato. In aprile, le Nazioni Unite hanno consegnato all’Iraq un rapporto sui territori contesi che sperano contribuirà a placare le tensioni, ma nessuna delle due parti lo ha discusso pubblicamente. Atif Adil Passim, un funzionario dell’ufficio del sindaco di Khanaqin, vuole che Baghdad agisca più rapidamente per tenere il referendum. "Se volessero potrebbero risolvere questo problema: attenersi alla Costituzione, e rispettare la volontà del popolo", dice. Il governo nega di stare cercando di rimandare il voto. "Tutte le parti hanno convenuto che abbiamo bisogno di più tempo", dice il portavoce del governo, Ali al-Dabbagh. "Non abbiamo potuto condurre un referendum in tutto l’Iraq a causa della situazione della sicurezza ... litigi fra le parti nella città (di Kirkuk) hanno costretto tutte le parti a rivedere la cosa". Nel frattempo, quelli che stanno investendo nelle riserve petrolifere del nord Iraq non sembrano scomporsi. Oltre alla DNO e alla Addax, la britannica Heritage Oil dice di aver scoperto in Kurdistan riserve per 4,2 miliardi di barili. "Lo scenario della guerra civile... sarebbe un disastro per queste compagnie. Forse contano sul fatto che tutto questo si risolverà", dice John Hamilton, analista della Gulf States Newsletter. "Penso che sia una aspettativa ragionevole". (Ulteriori elementi raccolti da Mohammed Abbas a Baghdad; Revisione di Michael Christie e Sara Ledwith) (Traduzione di Ornella Sangiovanni) Reuters, Articolo originale |