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Beirut agli occidentalisti

di Alessia Lai - 09/06/2009

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Beirut agli occidentalisti
 



Da Damasco si ventila l’ipotesi che sia stato merito del “denaro della politica”, ovvero voto di scambio e tangenti, ma tant’è. Le elezioni di domenica in Libano sono state vinte dallo schieramento filo-occidentale guidato da Saad Hariri (foto) che secondo i dati ufficiali avrebbe ottenuto 71 seggi parlamentari su 128 (ne aveva 70). Allo schieramento guidato da Hizbollah sarebbero invece andati 57 scranni, uno in meno rispetto agli attuali 58. Nel Parlamento di Beirut, quindi, l’equilibrio si sposta di un seggio in favore dello schieramento occidentalista. Esulta tutta la coalizione del “14 marzo”, esultano l’Egitto, l’Arabia Saudita e Barack Obama e l’Occidente tutto, che per qualche settimana avevano temuto una schiacciante vittoria del Partito di Dio. Brogli o no, compravendita di voti o meno, l’intera campagna elettorale era stata caratterizzata dagli attacchi esterni ad Hizbollah: l’articolo di Der Spiegel che accusava il movimento sciita di essere stato l’autore dell’assassinio Hariri; le sanzioni statunitensi contro chiunque, negli Usa, intenda intrattenere rapporti economici con appartenenti al partito guidato da Nasrallah. Di contro, inaspettatamente, la maggioranza filo-occidentale libanese aveva respinto questa serie di intromissioni nella politica interna del Paese dei Cedri. Una dimostrazione, forse, di una maturità politica arrivata dopo anni di conflitti interni che hanno solo indebolito il Paese in una lotta per il potere che più volte ha rischiato di ricacciare Beirut nel buco nero della guerra civile.
Un clima disteso che si è manifestato anche dopo i primi exit poll, che davano in vantaggio Hariri, e in seguito una volta giunta l’ufficializzazione dei risultati.
Saad Hariri ha annunciato la vittoria della sua coalizione nella notte, nonostante ancora non fossero giunti i dati definitivi. Dichiarazioni retoriche che però sono parse aprire alla possibilità di un governo di unità nazionale, ipotesi che era nei progetti di Hizbollah in caso di vittoria ma non in quelli del leader del “14 marzo”. “Questo è un grande giorno nella storia del Libano democratico. Non ci sono né vincitori né vinti, la sola vincitrice è la democrazia”, ha invece detto ieri il capo di al Mustaqbal (il Futuro).
Un deciso cambio di rotta rispetto alla campagna elettorale, quando in risposta al leader di Hizbollah, Seyyed Hassan Nasrallah, il quale aveva più volte ripetuto che in caso di vittoria sarebbe stato pronto ad accettare un governo di unità nazionale, Hariri aveva replicato dichiarando che “chi vince governa, e chi perde sta all’opposizione”.
Le parole con le quali ha festeggiato la vittoria danno l’idea che il leader sunnita sia giunto a più miti consigli, forse spinto da alleati importanti come il druso Walid Jumblatt, che si è detto favorevole ad un governo in cui sia presente anche l’opposizione respingendo, tuttavia, la concessione del potere di veto come quello esistente nell’attuale governo. O forse dalle affermazioni del presidente della Repubblica, il cattolico maronita Michel Suleiman, che dopo aver votato, domenica, ha detto ai giornalisti che non ci saranno ostacoli alla formazione di un nuovo esecutivo e che sarà questo “un governo di unità nazionale”.
Sul fronte opposto, il primo a riconoscere la sconfitta è stato l’ex generale cristiano-maronita Michel Aoun. “Abbiamo perso”, ha detto e “Accettiamo il risultato come la volontà del popolo libanese”. Il Libero Movimento patriottico di Aoun, per bocca di Michel de Chadarevian, ha poi diramato un comunicato ufficiale nel quale afferma che “Il voto mostra una vittoria per la coalizione del 14 marzo e mostra una sconfitta per i libanesi che avevano sperato in un cambiamento in questo Paese”, ribadendo poi la necessità di un governo condiviso: “Il Libano può essere governato solo da un governo di unità nazionale. Anche se avessimo vinto noi avremmo formato un governo di unità nazionale”.
Da parte di Hizbollah, il parlamentare Hadsan Fadlallah ha osservato che “la totalità degli 11 candidati che abbiamo presentato nelle elezioni hanno vinto” , aggiungendo che il Partito di Dio ed i suoi alleati hanno ottenuto 21 seggi nei distretto del sud del Libano e 10 nella regione della Bekaa. “Nessun partito può affermare di aver vinto la maggioranza in tutte le comunità” ha continuato il deputato di Hizbollah. “Quel che ci importa - ha dichiarato Fadlallah all’AFP - è che il Libano apre una nuova pagina basata sulla cooperazione e l’intesa (…) la specificità del Libano sta nella sua diversità e non c’è una maggioranza o una minoranza”. Una chiamata alla collaborazione tra le 19 comunità religiose del Paese, un nuovo invito ai vincitori ad estendere il governo all’opposizione in un Paese la cui governabilità dipende da delicati equilibri. Aperture che non significano però, per il Partito di Dio, rinunciare alla propria identità. Mohammad Raad, altro deputato di Hizbollah, ha infatti precisato che gli arsenali delle milizie sciite non costituiscono una questione “negoziabile” con il nuovo esecutivo libanese.“La maggioranza deve impegnarsi a far sì che la resistenza sia una questione non negoziabile e le cui armi sono legittime, e a considerare Israele come un nemico”.