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Netanyahu affossa le già vane speranze di pace

di Diana Pugliese - 16/06/2009

 

 
Netanyahu affossa le già vane speranze di pace
 



“Sì allo stato palestinese”, con la parola “Sì” scritta a lettere cubitali con all’interno una serie di piccoli “No”. Così il caricaturista Moshik Lin ha sapientemente riassunto sul giornale israeliano Maariv il contraddittorio nocciolo della risposta del primo ministro Benyamin Netanyahu al presidente Usa, Barack Obama. Una risposta che non ha riservato sorprese rispetto alle anticipazioni dei giorni scorsi ma che, al contempo, ha messo sotto scacco i principali protagonisti della partita a scacchi per il riavvio del processo di pace nel Vicino Oriente, zavorrandone le già scarse possibilità.
Positivi, ovviamente, i commenti della stampa israeliana, soprattutto sul tema dello stato palestinese smilitarizzato e sul riconoscimento di Israele come patria del popolo ebraico. Netanyahu, si legge sull’Ha’aretz, ha attraversato il Rubicone, abbandonando “la sua casa ideologica” a favore degli interessi dello Stato e mettendo sul tavolo “una formula politica chiara, realistica e precisa” che riflette le convinzioni della maggioranza. Ben diverse, invece, le reazioni dei media arabi, per i quali le parole dell’esponente del Likud sono una vero e proprio affronto. “Netanyahu dichiara guerra ai palestinesi fino al loro disarmo totale”, titola il libanese Assafir. “Gli schiaffi di Netanyahu”, si legge invece sulla prima pagina del Al Quds al Arabi, quotidiano arabo vicino al fronte anti-occidentale, che si augura che ciò “risvegli gli arabi” sull’inutilità di fare “sogni di pace con governi razzisti che perseguono i propri progetti espansionisti”. Per il giornale edito a Londra inoltre, Netanyahu “radicalizza all’estremo” ogni confronto ponendo come condizioni per la creazione dello Stato palestinese l’esclusione del ritiro da Gerusalemme, del ritorno dei profughi e del blocco degli insediamenti nonché la natura “giudaica” di Israele, condizione utile ad impedire il ritorno in patria dei profughi palestinesi. Condizioni peraltro ritenute “capestro” anche dai quotidiani più moderati.
“Avrà entusiasmato europei e americani, ma Bibi è riuscito nell’impresa di mettere d’accordo Anp e Hamas”, ha sottolineato non senza ragioni l’emittente qatariota al Jazeera. Per i due eterni rivali, infatti, la pretesa smilitarizzazione dello Stato palestinese e l’impossibilità di far rientrare i profughi sono condizioni inaccettabili: Tel Aviv vuole negare ai palestinesi “qualunque diritto”, si legge in un comunicato di Hamas; il discorso di Netanyahu “sabota” gli sforzi di pace regionali, gli fa eco l’Anp.
Dure critiche anche dal mondo politico arabo. Tel Aviv “non ha alcuna ragione di chiedere uno stato palestinese demilitarizzato perché anche se uno stato palestinese indipendente fosse costituito ci vorrebbero 100 anni per raggiungere la potenza di armamenti di Israele”, ha commentato la Lega Araba, evidenziando che Tel Aviv “possiede armi nucleari e chimiche”.
Come ha sottolineato il presidente egiziano, Hosni Mubarak, peraltro vicino all’occidente, la pretesa di Netanyahu di riconoscere il carattere ebraico di Israele “complicherà ancor più la situazione e farà abortire tutte le possibilità di pace”. Per Mubarak, la questione palestinese è infatti “la chiave di volta per la soluzione di tutti i conflitti e le crisi della regione”.
Più morbidi, ovviamente, i commenti dei Paesi occidentali. Se per il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, il discorso del primo ministro “non è sufficiente” perché non chiarisce punti essenziali come “la fine delle colonizzazioni” nei territori occupati, per la Casa Bianca il riferimento a due Stati è di certo un “passo avanti”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’Ue, resa in realtà meno obiettiva dalla necessità di incrementare i rapporti commerciali con Tel Aviv. Per il presidente di turno dell’Ue, Jan Kohout, il riferimento alla coesistenza dei due stati è “un passo nella giusta direzione”, mentre per Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, è “importante e utile” anche per la ripresa dei negoziati.
Un’acrobazia diplomatica, infine, può essere definito il commento del nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, per il quale le parole di Netanyahu sono un “passo avanti a metà” perché rinnegano quanto già deciso circa il ruolo di Gerusalemme.
Nonostante le capriole diplomatiche della diplomazia occidentale, comunque, un fatto è certo: Tel Aviv, in nome della sua sicurezza, pone tra le condizioni che lo Stato palestinese sia demilitarizzato e non possa siglare alleanze. “Non dobbiamo assistere al lancio di razzi al-Qassam contro l’aeroporto di Ben Gurion”, ha detto Netanyahu aggiungendo che lo spazio aereo deve essere “controllato” da Tel Aviv.
Come ha sottolineato il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt, è però discutibile se ciò che Netanyahu ha descritto può davvero “essere definito uno Stato”.