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Ultime notizie dal mondo

di redazionale - 19/06/2009

 

 

 

  • Italia. 15 maggio. Euro-effetti. Le tariffe dei servizi pubblici hanno subito un boom dall’introduzione dell’euro. Lo afferma un’indagine della Cgia di Mestre, che ha analizzato l’incremento delle tariffe dal 2002. Impennata per il gas (fino al 44%) e l’acqua (fino al 35%), ma anche rifiuti (+34,8%) e luce (+33,5%). La categoria più colpita risulterebbe quella dei lavoratori autonomi, che pagano due volte: una come cittadini, in relazione alla propria abitazione, e l’altra come gestori di negozi, botteghe o uffici.

 

  • Libano. 15 maggio. Gli Stati Uniti dietro la morte di Hariri? Il 14 febbraio 2005, il miliardario ed ex primo ministro libanese Rafic Hariri veniva ucciso a Beirut da una autobomba ad altissimo potenziale e con sofisticate componenti elettroniche in grado di eludere le contromisure anti attentato di cui era dotata la sua scorta. Apparve subito chiaro che dietro l’atto terroristico doveva nascondersi l’attività dei servizi segreti di qualche paese, unici in grado di concepire e portare a termine un attentato con quel grado di difficoltà e raffinatezza. Fu accusata subito la Siria, che occupava militarmente il Paese dei Cedri e sotto il cui protettorato vigeva una fragile tregua tra le varie fazioni politiche libanesi, diverse delle quali responsabili nella guerra civile che ha insanguinato il Libano negli ultimi decenni. L’ONU decise l’istituzione di un Tribunale speciale per il Libano col compito prioritario di appurare le responsabilità dell’omicidio Hariri. Il primo responsabile della commissione d’inchiesta del Tribunale, il tedesco Detlev Mehlis, sostenne di avere prove e testimonianze del coinvolgimento della Siria nell’attentato ed ordinò nell’agosto del 2005 l’arresto dei vertici delle forze armate libanesi, compromesse con Damasco.

  • Libano. 15 maggio. Sotto la spinta di Washington, e con il sostegno di Israele e della Francia, nonché dei partiti libanesi anti-siriani (di cui Hariri era uno dei massimi esponenti), Damasco, benché reclamasse la propria totale estraneità, decise di ritirare le sue truppe. Un ritiro che, nelle menti degli ideatori dell’attentato, era probabilmente funzionale a far ritornare il Libano nel caos della guerra civile. Il che fortunamente fu impedito in particolare dal comportamento responsabile di Hezbollah, che Israele, con l’invasione  dell’estate 2006, tentò invano di liquidare. In realtà Damasco non ha conseguito alcun vantaggio strategico dall’omicidio di Hariri; al contrario, ne ha subito le maggiori conseguenze. L’impianto accusatorio di Mehlis non resse alle successive verifiche. Le prove si rivelarono infatti inconsistenti ed alcuni testimoni chiave risultarono del tutto inattendibili. Lo scorso 29 aprile il colpo di scena. Il giudice Daniel Bellemare del Tribunale dell’ONU, che aveva nel frattempo sostituito Detlev Mehlis, dispone la scarcerazione dei generali libanesi arrestati nel 2005 e ancora incarcerati senza alcuna garanzia di difesa, visto il decadere delle accuse. Mustafa Hamdane, ex capo della guardia presidenziale, Jamil Sayed, direttore generale della sicurezza, Ali Haji, capo delle forze di sicurezza interna, e Raymond Azar, capo dei servizi segreti militari, sono stati rimessi in libertà. Con questo atto il Tribunale ha di fatto chiuso la pista siriana per l’omicidio Hariri.

 

  • Libano. 15 maggio. Ma allora chi è il responsabile dell’attentato? Alcune rivelazioni giornalistiche aprono nuovi scenari. L’autorevole giornalista Seymour Hersh ha denunciato di recente l’esistenza di un gruppo operativo attivo durante l’Amministrazione Bush e sotto il controllo diretto del vice-presidente Dick Cheney, del consigliere del presidente Karl Rove, e del responsabile per la sicurezza nazionale Eliott Abrams. Tale gruppo, composto da reparti di élite per le operazioni speciali sotto copertura, sarebbe stato utilizzato come un autentico “squadrone della morte” per l’eliminazione di personalità politiche scomode in varie parti del mondo. Le rivelazioni di Hersh hanno spinto il deputato democratico e già candidato alla presidenza, Dennis Kuchinich, a chiedere al Congresso USA l’apertura di una inchiesta. Sulla base di tali rivelazioni, un altro giornalista investigativo, Wayne Madsen, noto per i suoi agganci nei servizi segreti statunitensi, durante un’intervista al canale televisivo Russia Today, ha rivelato di aver raccolto presso numerose fonti la conferma dell’esistenza della struttura segreta e dei suoi collegamenti con una analoga struttura israeliana. Secondo Madsen, la squadra controllata da Cheney sarebbe implicata nell’omicidio Hariri e, anzi, l’ordine sarebbe partito proprio dal vice-presidente.

    Libano. 15 maggio. In passato altri autorevoli giornalisti avevano parlato dell’esistenza di una tale struttura. Bob Wodward (noto per aver scoperto lo scandalo Watergate) ne aveva scritto sul Washington Post fin dal 2002, mentre più recentemente il New York Times ha riportato la notizia dell’esistenza di un “Comando congiunto di operazioni speciali” privo del controllo del ministero della Difesa, dei vertici delle Forze armate, e senza supervisione del Congresso, che faceva capo direttamente a Cheney. Secondo Hersh nulla di nuovo sotto il sole. Negli anni ‘80, con l’Amministrazione Reagan-Bush, Cheney (allora funzionario della Sicurezza Nazionale) ed Eliott Abrams (quando era responsabile del Dipartimento di Stato per l’America Latina) avevano già lavorato insieme nell’organizzazione Iran-Contras-connection e nella creazione degli “squadroni della morte” attivi in America centrale con compiti anti-insurrezionali.

  • Palestina. 15 maggio. Unicef: bambini palestinesi ancora a rischio. L’organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) ha dichiarato che la vita dei bambini nella Striscia di Gaza non è ancora tornata alla normalità, nonostante siano passati 100 giorni dalla fine dell’ultimo assalto militare israeliano. Patricia Mack Phillips, rappresentante speciale dell’Unicef nei Territori palestinesi occupati, ha affermato che «i bambini della Striscia di Gaza soffrono ancora fisicamente e psicologicamente, per cui è necessario che venga consentito l’ingresso nella regione delle risorse necessarie per la riabilitazione e il recupero». Nel suo comunicato stampa della settimana scorsa, la Phillips ha aggiunto: «A tutt’oggi, l’energia elettrica continua a non raggiungere il 10% della popolazione, mentre al 9% non arriva l’acqua. (...) A sud della Striscia, le cliniche dell’agenzia delle Nazione Unite Unrwa hanno registrato l’aumento dei casi di malattie legate alle risorse idriche e ai servizi igienico-sanitari, come la diarrea, la cui diffusione è cresciuta rispetto all’anno precedente; tante famiglie soffrono inoltre per la mancanza di cibo, benzina e denaro». La rappresentante Unicef ha poi rivelato un tragico dato: dopo la fine del conflitto, cinque bimbi sono morti a causa di ordigni esplosivi, mentre altri 14 sono stati feriti in atti di violenza di diverso genere. I combattimenti hanno influenzato pesantemente anche la salute mentale dei minori, come ha affermato una recente ricerca condotta dalle Nazioni Unite, secondo la quale l’ansia e la tensione sono i principali problemi sanitari di Gaza. L’Unicef sta quindi lavorando con i propri partner per fornire sostegno psicosociale ai bambini e ai giovani, diffondere informazione tra gli studenti e gli abitanti riguardo ai rischi di mine, sostenere l’educazione sanitaria e organizzare campagne di vaccinazione.

 

  • Palestina. 15 maggio. Per migliorare la salute delle madri e dei loro figli, l’organismo ONU si concentra anche sul miglioramento delle competenze del personale ospedaliero che fornisce assistenza - in particolare per quanto riguarda il trattamento dei casi di grave malnutrizione, l’allattamento al seno e la diagnosi precoce delle malattie infantili. Tuttavia, le difficoltà di accesso a Gaza continuano ad ostacolare gli sforzi di recupero e di soccorso, a causa dell’assedio imposto sulla regione da 22 mesi. Basti pensare che la media giornaliera di camion che hanno ottenuto l’autorizzazione a entrare nella città è stata di circa 132 nello scorso mese di marzo, rispetto ai 475 del maggio del 2007 (un mese prima della presa del potere da parte di Hamas). L’assedio pesa naturalmente anche sulla vita dei bambini, come spiega la Phillips: «Dopo la guerra, le case, le scuole e le strutture sanitarie bombardate non sono state né ricostruite né riparate, e questo grazie all’embargo israeliano sulle forniture di cemento. Manca inoltre il materiale necessario per sistemare la rete idrica e i servizi igienico-sanitari nella Striscia». Ha poi aggiunto che l’embargo «non ha consentito nemmeno la distribuzione del materiale didattico spedito dall’Unicef, che includeva strumenti per la formazione degli insegnanti, lo sviluppo della prima infanzia e l’intrattenimento (come gli strumenti musicali)». I piccoli abitanti di Gaza sono anche vittima del mancato arrivo di cure d’emergenza nella città. I rapporti dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) riferiscono che almeno tre pazienti sono recentemente morti in attesa di ottenere il permesso di trasferirsi all’estero per ricevere le cure mediche necessarie alla loro guarigione.

 

  • Israele. 15 maggio. ONU: civili a Gaza colpiti intenzionalmente. In sei dei nove incidenti, morti, feriti e danni sono stati causati dalle azioni «approssimative e in alcuni casi sconsiderate dei militari delle forze armate israeliane»: è l’accusa contenuta in un rapporto stilato da una commissione ad hoc delle Nazioni Unite, su richiesta del Segretario Generale Ban Ki-moon e presentato al Consiglio di Sicurezza. Il documento, di una trentina di pagine, sostiene inoltre che durante l’offensiva militare “Piombo fuso” contro la Striscia di Gaza del gennaio scorso, Israele ha fatto un «uso eccessivo della forza» e colpito civili palestinesi, rifugiatisi in strutture delle Nazioni Unite «senza che fosse strettamente necessario». La conclusione: nella maggior parte dei casi in esame «le forze di sicurezza israeliane hanno colpito volontariamente e intenzionalmente strutture delle Nazioni Unite». Secondo l’agenzia Misna, il rapporto della commissione, guidata da Ian Martin, sottolinea anche che «le azioni dei militari non hanno tenuto in alcun conto l’inviolabilità delle strutture e del personale dell’ONU, in spregio degli accordi e del diritto internazionale». In nessuno dei casi analizzati, prosegue ancora il documento, contraddicendo le motivazioni addotte dai vertici militari dopo il bombardamento di scuole e ospedali durante i 22 giorni di offensiva, «le suddette strutture ospitavano o avevano dato alloggio a combattenti di Hamas». Infine la commissione suggerisce l’apertura di un’inchiesta indipendente e più approfondita per rilevare le violazioni del diritto internazionale commesse durante i giorni del conflitto e accertarne le responsabilità.

 

  • Giordania. 15 maggio. Timori per un possibile nuovo conflitto nella regione. Re Abdallah di Giordania ha detto qualche giorno fa al The Times di Londra che, se il prossimo incontro negli USA tra Barack Obama e Benjamin Netanyahu non offrirà segnali di pace chiari sul fronte medio orientale, si rischia un nuovo conflitto armato nei prossimi 12-18 mesi. Re Abdallah è atteso oggi in Siria per colloqui con il presidente Bashar al Assad. Al centro dell’incontro la formulazione dell’Iniziativa di pace araba: riconoscimento di Israele da parte dei Paesi arabi in cambio del ritiro completo di Tel Aviv dai territori palestinesi occupati. L’Iniziativa è sul tavolo dei negoziati dal 2002 senza che Israele l’abbia minimamente degnata di interesse.

 

  • USA / Siria. 15 maggio. Washington accusa Damasco. In una lettera indirizzata al Congresso, il presidente Barack Obama è tornato ad accusare la Siria di «sostegno al terrorismo», di ricerca per lo sviluppo di «armi di distruzione di massa e programmi missilistici» e di «minare» gli sforzi USA volti alla stabilizzazione dell’Iraq. Per questa ragione Obama ha informato il Congresso di aver rinnovato le sanzioni adottate nei tempi bui di George Bush, come, per esempio, il congelamento dei beni (inesistenti) negli USA di funzionari siriani. E pensare che la stessa amministrazione Obama ha inviato una decina di giorni fa a Damasco l’assistente segretario di Stato per il Medio Oriente, il quale ha ribadito l’impegno di Washington al dialogo con la Siria. Perché, quindi? Forse perché Damasco sta stringendo troppo le relazioni con Teheran? Cfr. la notiziola che segue ...

 

  • Siria / Iran. 15 maggio. Nella visita del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad a Damasco, una settimana fa, al suo omologo siriano Basshar Assad, si è concordato l’aumento degli scambi commerciali tra i due paesi che il prossimo anno dovrebbe raggiungere la quota di 500 milioni di dollari. «Le relazioni tra la Repubblica islamica dell’Iran e la Siria sono relazioni strategiche; le nostre cooperazioni sono molto estese e variegate e i nostri rapporti sono molto profondi», ha ricordato Ahmadinejad al suo ritorno a Teheran. Sul nucleare Ahmadinejad ed Assad si sono chiesti il perché dell’assoluto silenzio mondiale sui pericolosi piani militari di Israele ed hanno auspicato il raggiungimento di maggiore unità tra i palestinesi. In Siria, Ahmadinejad ha anche incontrato rappresentati della resistenza palestinese tra cui il presidente dell’ufficio politico di Hamas Khaled Meshal, il segretario generale della Jihad islamica Ramadan Abdullah, il segretario generale del Fronte Popolare per la liberazione Ahmad Jebril ed i rappresentanti di altri 6 gruppi.

 

  • Libano / Palestina. 16 maggio. Hezbollah continuerà ad aiutare la resistenza palestinese. Il vice segretario generale di Hezbollah Sheik Naem Kassem, in un’intervista al Financial Times, ha detto che Hezbollah cerca di fornire «ogni possibile sostegno» ai palestinesi della striscia di Gaza. «Abbiamo sempre detto che sostenevamo la resistenza in Palestina, ma non lo abbiamo mai specificato nei dettagli. Ora l’Egitto ha rivelato che noi abbiamo fornito sostegno militare alla Palestina. Lo facciamo da qualche tempo, ma non ne abbiamo parlato», ha spiegato il vice segretario di Hezbollah. «Si tratta di uno dei segreti della resistenza. Non riveliamo particolari sul nostro tipo di sostegno, ma è sufficiente dire che stiamo fornendo a loro ogni tipo di aiuto possibile utile alla resistenza palestinese. Ogni possibile sostegno». Sheik Kassem ha quindi osservato come sia profondamente ipocrita e ingiusto negare a Hezbollah il diritto di aiutare la resistenza palestinese senza chiedersi cosa forniscano gli USA a Israele come aiuto.

 

  • Israele. 16 Maggio. Il 73% degli israeliani ritiene necessario il ritiro di Israele dai territori occupati per arrivare alla pace. È quanto emerge da un sondaggio del Rafi Smith Institute pubblicato dal sito del quotidiano Ynet. Dal sondaggio emerge inoltre come i giovani israeliani siano più restii ad ammettere la creazione di uno Stato palestinese rispetto ai loro genitori o nonni: solo il 46% degli under-30 dice “sì” alla soluzione dei “due Stati”, contro il 63% degli over-60.

 

  • Israele / Siria. 16 maggio. Tel Aviv non restituirà mai il Golan. «Restare sul Golan garantirà a Israele un vantaggio strategico in caso di conflitto armato con la Siria». Sono le parole del premier sionista Benjamin Netanyahu ad un gruppo di giornalisti di lingua russa, come riferito dal sito di Haaretz lo scorso 9 maggio. Intanto l’ambasciatore siriano all’ONU, Bashar al Jaafari, ha detto alla tv siriana che il rifiuto israeliano di aderire al Trattato di non proliferazione nucleare costituisce una minaccia alla pace in Medio Oriente. Le alture siriane del Golan sono tra i territori arabi e palestinesi illegalmente occupati durante la guerra del giugno 1967, in aperta e continuativa sfida della legge internazionale e di tutte le relative risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e delle Nazioni Unite che esigono (solo sulla carta) un pieno ritiro israeliano.

 

  • Israele / USA. 16 maggio. Altolà del presidente USA al regime di Tel Aviv: «non sorprendeteci lanciando un attacco militare contro l’Iran». Secondo quanto rivelato l’altro ieri dal quotidiano Haaretz, sarebbe il contenuto di una lettera inviata da Barack Obama al premier sionista Netanyahu. Secondo il quotidiano citato dalla rete satellitare Press Tv, Obama nel messaggio avrebbe dato voce alle sue «preoccupazioni» su un possibile attacco israeliano contro l’Iran. «L’America non vuole affrontare i fatti sul terreno all’ultimo minuto», scrive Obama. Che il nuovo esecutivo di destra israeliano abbia intenzione di colpire l’Iran è mostrato anche dall’edizione odierna del quotidiano britannico The Times. Il capo della CIA, Leon Panetta, è infatti stato in missione segreta in Israele due settimane fa, con l’obiettivo di dissuadere le autorità israeliane dal lanciare un attacco a sorpresa contro i siti nucleari iraniani senza prima avvisare Washington. Diverse esercitazioni e manovre su lunga distanza svolte dall’esercito e dall’aviazione israeliana nell’ultimo periodo avvalorano questa ipotesi.

 

  • Israele / USA. 16 maggio. Stando ai media israeliani, l’inviato USA per il Golfo Persico Denis Ross avrebbe detto la scorsa settimana ad un alto funzionario europeo che gli Stati Uniti si aspettano dall’Iran cambiamenti in materia nucleare entro ottobre. Se per quella data la Repubblica islamica manterrà la sua posizione, continuando a sviluppare il programma nucleare civile, Washington adotterà un approccio più duro. L’informazione sarebbe pervenuta a Israele attraverso fonti diplomatiche europee.

 

  • Russia. 16 maggio. Lo scudo antimissile è diretto contro Mosca. Intervistato dalla rete Euronews lo scorso 7 maggio, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha affermato: «Lo scudo antimissile, per il modo in cui è concepito, non ha niente a che vedere con il programma nucleare iraniano. È diretto contro le forze strategiche russe dispiegate nella parte europea della Federazione Russa. Questa nostra lettura non è stata contraddetta da alcuna obiezione tecnica, finora». Secondo Lavrov il programma nucleare iraniano è «questione a parte» e viene considerata dalla Russia applicando il principio della prevenzione della diffusione delle armi di distruzione di massa. Lavrov ha concluso: «L’AIEA ha chiarito le problematiche che sono apparse riguardo allo sforzo nucleare iraniano negli ultimi anni e, per sgombrare il campo da ogni timore, vogliamo ristabilire la fiducia rispetto al programma nucleare iraniano e accertare i suoi obiettivi pacifici. Dopo di che tutte le questioni saranno sul tappeto e le posizioni russe, statunitensi, cinesi e europee sono che quando sarà stabilita la fiducia nella natura pacifica del programma nucleare iraniano, l’Iran riconquisterà tutti i diritti che hanno i paesi non nuclearizzati che aderiscono al Trattato per la non proliferazione delle armi di distruzione di massa».

 

  • Russia. 16 maggio. Mosca boicotta il vertice NATO-Russia. Il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, non parteciperà agli incontri del consiglio NATO-Russia in programma a Bruxelles tra due settimane per protesta contro l’espulsione di due diplomatici russi accreditati presso la NATO. Secondo Rainews24 i due diplomatici russi, accusati dalla NATO di spionaggio, e pertanto espulsi dal quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles, sono stati ritirati dall’elenco dei diplomatici accreditati in Belgio.

 

  • Russia / Iraq. 16 maggio. Si stringono i rapporti tra Russia ed Iraq? Quali ripercussioni ciò provocherebbe nel paese arabo sotto tutela USA? E’ di una settimana fa la prima volta di Al Maliki a Mosca per discutere di energia. Il Primo Ministro iracheno Nuri al-Maliki è giunto a Mosca per incontrare il collega Vladimir Putin ed il presidente della Federazione Russa Dmitri Medvedev. Temi principali in discussione sono stati energia ed opportunità per Mosca in Iraq, «una maggiore partecipazione delle compagnie russe nella realizzazione di importanti progetti relativi al settore petrolifero e del gas, energia elettrica e altri settori, tenendo conto della ricca esperienza di cooperazione, maturata negli anni passati». Intanto «la Russia ha rafforzato la sua presenza diplomatica in Iraq». Dal Cremlino si precisa che molte compagnie russe sono «pronte a lavorare sul mercato iracheno»: Lukoil, Zarubezhneft, Stroytransgas, Technopromexport, Tatneft, SoyuzNefteGaz, e le altre principali società russe. Da notare che una major come Lukoil è già in prima fila, e parteciperà alle gare in Iraq per i nuovi progetti di sviluppo del settore energetico. E sarebbe in pole position per il giacimento petrolifero di West Qurna.

  • Russia / Iraq. 16 maggio. Le compagnie russe sono ansiose di riprendere il lavoro in Iraq: terzo Paese al mondo per riserve di greggio. Nel 1997, ai tempi di Saddam Hussein, proprio il gigante energetico russo Lukoil aveva firmato un accordo da 4 miliardi di dollari per esplorare i due giacimenti petroliferi di West Qurna: un contratto successivamente annullato, e che le nuove autorità di Baghdad non hanno voluto riconfermare. Ma a parte l’oro nero, sono molti i dossier di interesse bilaterale. Inoltre, lo «scambio di opinioni» tra Medvedev e al Maliki sulle «questioni internazionali» dovrà «considerare la stabilizzazione della situazione in Iraq, così come nella zona del Golfo Persico nel suo insieme, tenendo conto del concetto di sicurezza della Russia nelle zone di pace, e di altre questioni regionali».

 

  • Sri Lanka. 16 maggio. Un bagno di sangue comparabile al genocidio israeliano a Gaza. Centinaia di morti, cadaveri insepolti, e feriti senza cure mediche. «Secondo osservatori internazionali, quello che sta succedendo in Sri Lanka è paragonabile solamente col massacro militare compiuto da Israele nella Striscia di Gaza nel gennaio passato. Circa 50.000 persone sono rimaste intrappolate –come successe a Gaza– in una piccola striscia di territorio per 24 ore sotto il fuoco incrociato di batterie terrestri, carri armati ed aeroplani del Governo, alleato degli Stati Uniti. Come ha scritto un corrispondente della BBC: L’esercito sta praticando una specie di ‘tiro al piccione’ coi rifugiati”, tra i quali combattono i ribelli dell’Esercito delle Tigri Tamil. Alcuni corrispondenti risaltano la ferocia senza limiti del massacro e la complicità degli organismi internazionali. Si tratta di un genocidio su grande scala il cui sviluppo ed interessi in gioco vengono sistematicamente occultati o deformati dalla grande stampa che lo presenta come un conflitto tra un gruppo “terroristico” ed il governo che “cerca” di ristabilire l’ordine. Al contrario, lo sterminio in massa di civili in Sri Lanka non è determinato da una guerra contro il “terrorismo Tamil”, come si vuole far credere, bensì ha sullo sfondo interessi geoeconomici e geopolitici militari strategici, che hanno a che vedere col controllo dell’Oceano Indiano e delle rotte del petrolio».

  • Sri Lanka. 16 maggio. «Il controllo dell’isola di Colombo assume un’importanza geopolitica strategica di primo piano nel controllo delle rotte petrolifere dirette verso la Cina. Questo è, in essenza, l’obiettivo del massacro perpetrato da un esercito finanziato dagli USA ed addestrato da Israele. L’assassinio di civili in Sri Lanka è un modello ripetuto, una specie di operazione da manuale che le potenze imperialiste attuano nei paesi dove esistono ribelli e risorse naturali da depredare». Protetta dal totale silenzio dei governi e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il massacro militare ha già causato un centinaio di morti e feriti nel fine settimana scorso, comprese donne e bambini che non possono essere sepolti né soccorsi a causa dell’intensità e della continuità degli attacchi. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), unica organizzazione straniera che ha accesso alla zona dei bombardamenti in Sri Lanka, ha abbandonato temporaneamente la sua missione di aiuto ed evacuazione della popolazione civile intrappolata nel nord del paese, argomentando che la “situazione” è molto pericolosa. Secondo quanto dice Elizabeth Byrs, portavoce dell’ONU a Ginevra, la nave d’aiuti umanitari, alimenti e medicine di base è dovuta ritornare al porto di Trincomalee, nell’est del paese. La Croce Rossa ha pure denunciato come sia stato colpito un ospedale provocando 49 morti.


  • Sri Lanka. 16 maggio. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA), ha informato che in Sri Lanka circa 900 civili sono riusciti a scappare dalla striscia di territorio nel nord del paese, dove l’Esercito ha «rinchiuso» sotto un fuoco incrociato oltre 50.000 persone tra le quali combattono le Tigri Tamil. «Nel fine settimana in Sri Lanka sono morti più di un centinaio di bambini tra le centinaia di civili tamil morti in questo massacro eseguito dal Governo, appoggiato dagli USA e dalle potenze europee», ha affermato il portavoce dell’ONU a Colombo, Gordon Weiss. L’ONU ha descritto la situazione nel nord dello Sri Lanka come un «bagno di sangue». La portavoce dell’ONU a Ginevra ha spiegato che da ottobre del 2008, «più di 196.000 persone sono fuggite dalle aree controllate dal Governo nella zona di conflitto, e delle quali più di 194.000 si trovano in accampamenti temporanei, in condizioni di ammassamento». La portavoce ha sottolineato che alla data di oggi sono stati ricevuti solamente il 32% dei 155 milioni di dollari richiesti alla comunità di donatori per assistere la popolazione. Secondo le Nazioni Unite, 6.500 civili sono morti e altri 14.000 sono risultati feriti nel periodo di tempo che va da gennaio e metà aprile, periodo dell’offensiva dell’esercito contro l’insurrezione indipendentista Tamil. Anche l’UNICEF ha espresso la sua preoccupazione per le condizioni di vita nella zona del conflitto, dove la popolazione non dispone di medicine, alimenti ed acqua potabile. Rintracciare notizie di prima mano è impossibile perché le autorità governative non permettono l’entrata di giornalisti all’area. Insomma, le somiglianze con Gaza sono impressionanti.

 

  • Kenya. 17 maggio. Crimini di guerra, i Mau Mau chiedono giustizia. Un gruppo di veterani del Mau Mau, il movimento nazionalista keniano degli anni ‘50, ha chiesto un risarcimento al Regno Unito per le atrocità commesse dall’esercito inglese nel reprimere la ribellione. Gli avvocati degli ex combattenti avrebbero le prove di quaranta casi di tortura, tra cui castrazioni, abusi sessuali e detenzioni illegali. Un portavoce dei veterani si è detto fiducioso, ma il governo britannico ha fatto sapere che la rivendicazione non è valida, poiché è passato troppo tempo dallo svolgimento dei fatti. Il caso, portato avanti dalla Mau Mau War Veterans’ Association e dalla Commissione sui Diritti Umani del Kenya, sarà presentato all’Alta Corte di Londra il prossimo 23 giugno. Non è la prima volta che degli ex combattenti per l’indipendenza del Kenya chiedono un risarcimento al governo britannico. Secondo Tom Kagwe, vice direttore esecutivo della Commisione sui Diritti Umani, «in realtà il numero di keniani che subirono trattamenti barbarici da parte degli ufficiali inglesi si aggira intorno alle migliaia». Negli anni ‘50, il movimento dei ribelli Mau Mau si scagliò contro i colonizzatori bianchi, in particolare contro i proprietari terrieri ed i civili keniani accusati di collaborare con gli inglesi. Brutalissima la repressione ordinata da Londra per impedire l’indipendenza conquistata poi nel 1963. Secondo la Commissione sui Diritti Umani, circa 90mila keniani furono uccisi, torturati o mutilati, mentre 160mila furono detenuti in condizioni spaventose.

 

  • Libano. 17 maggio. Arrestate spie israeliane. I servizi di sicurezza libanesi hanno arrestato nel sud del Paese, Mahmoud Naser, accusata di spionaggio a favore di Israele. Lo riferisce l’agenzia Irna. Sempre a questo riguardo ieri, a Saadnayel, le forze di sicurezza libanesi hanno arrestato il vice sindaco Zian al Homsy, alto funzionario locale del movimento “Future” di Saad al Hariri, accusato di aver collaborato con i servizi di spionaggio israeliani. Secondo quanto riferisce arabmonitor, l’uomo ha confessato. Sale così a 37 il numero delle persone arrestate negli ultimi 3 mesi in Libano, sospettate di far parte di una rete di spionaggio del Mossad israeliano.

 

  • Libano. 17 maggio. Le spie israeliane in Libano sono una violazione della risoluzione ONU. Il responsabile delle forze dell’Unifil in Libano ha dichiarato tre giorni fa che le reti di spionaggio di Israele in Libano costituiscono una palese violazione della risoluzione 1701 dell’ONU. Il coordinatore dell’ONU in Libano per le attività Unifil, Micheal Wiliams, lo ha detto durante l’incontro con il presidente del parlamento libanese Nabih Berri. Secondo Wiliams, le infiltrazioni spionistiche di Israele in Libano verranno indicate, nel suo prossimo resoconto al segretario generale dell’ONU, come una violazione della risoluzione 1701, la risoluzione che pose fine all’aggressione del 2006 contro il Libano e sulla cui attuazione sorvegliano le forze dell’Unifil, tra le quali è presente un contingente italiano.

 

  • Iran. 17 maggio. Sarebbe una follia da parte di Israele sferrare un attacco militare contro Teheran. A dichiararlo è il direttore generale dell’Aiea, Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Mohammed El Baradei, in un’intervista a Der Spiegel. Secondo El Baradei, un’aggressione israeliana «metterebbe a fuoco la regione» e susciterebbe una reazione iraniana che potrebbe «contare sul sostegno dell’intero mondo islamico». Israele, in possesso del più grande arsenale nucleare del Medioriente, continua ad accusare l’Iran di mirare alla costruzione della bomba nucleare, che rivendica invece, pure come membro del Trattato di Non-Proliferazione nucleare, il diritto di proseguire la ricerca, la produzione e l’utilizzazione pacifica dell’energia nucleare. Gli impianti nucleari dell’Iran sono ispezionati regolarmente dagli ispettori dell’AIEA che sinora non hanno mai contraddetto le dichiarazioni ufficiali di Teheran.

 

  • Russia. 17 maggio. Stati Uniti e NATO sono le più gravi minacce alla sicurezza nazionale russa. È quanto riporta il Documento sulla Strategia di Sicurezza Nazionale 2009-2020, il cui ultimo aggiornamento risaliva al 1997. Il fondamentale documento strategico, che definisce le maggiori minacce al Paese ed i suoi “interessi nazionali”, è stato approvato recentemente dal Presidente Dmitry Medvedev. Secondo il documento, la Russia è entrata in una fase di sviluppo strategico di lungo termine. Dopo aver superato la crisi conseguente al collasso dell’Unione Sovietica ed essere riuscita a mantenere l’integrità territoriale e la sovranità, messe in pericolo in particolare dall’insurrezione in Cecenia, Mosca ha riacquistato influenza non solo nell’ex area sovietica (dove si mira a rafforzare la “ccoperazione multilaterale”) ma anche nell’arena mondiale. «L’instabilità dell’attuale architettura regionale e globale, specialmente nella regione euro-atlantica (…) è una minaccia crescente alla sicurezza internazionale», riporta il documento. Mosca esprime irritazione per l’espansione della NATO ad Est, le “rivoluzioni colorate” negli Stati ex sovietici e per il progetto di scudo missilistico statunitense da dispiegare in Europa centrale. Ciò nonostante la politica estera russa sarà improntata all’insegna del pragmatismo per evitare costosi scontri armati. Di fronte alle minacce, però, la Russia cercherà di mantenere una parità nucleare con gli Stati Uniti. «La Russia farà di tutto per riottenere la grandezza militare di un tempo, pareggiando l’attuale predominio americano».

 

  • Russia. 17 maggio. Rispetto ai precedenti documenti strategici, molta enfasi viene dedicata alla crescita economica, che deve essere una delle priorità strategiche russe. Sicurezza militare e prosperità economica vanno di pari passo: «la strategia di sicurezza nazionale russa dipende direttamente dal potenziale economico del Paese», riporta il documento. Viene fatto notare che «il mantenimento di un modello di sviluppo basato sull’esportazione delle risorse naturali» risulta una minaccia alla sicurezza nazionale nella sfera economica. Occorre dunque migliorare la competitività economica russa, aumentando la produttività del lavoro, sviluppando l’innovazione tecnologica, individuando settori industriali prioritari, investendo nelle energie rinnovabili e ristrutturando il sistema bancario e finanziario. Senza comunque perdere il controllo sulle risorse naturali interne, petrolio e gas in primo luogo. Secondo le autorità russe, in futuro potrebbero sorgere conflitti per il controllo delle fonti energetiche nel vicino oriente, nel Mare di Barents, in altre regioni dell’Artico, nel bacino del Mar Caspio, in Asia Centrale e nel Caucaso. Preoccupazione viene infine espressa riguardo la crisi economica. «Le conseguenze della crisi finanziaria mondiale diventeranno paragonabili ai danni causati dall’uso su larga scala della forza militare».

 

  • Sri Lanka. 17 maggio. Le Tigri Tamil annunciano la cessazione delle ostilità per evitare che il loro popolo sia sterminato. L’annuncio è di Selvarasa Pathmanathan, capo del servizio diplomatico internazionale dell’esercito di Liberazione delle Tigri Tamil, in un comunicato diffuso dal sito Tamilnet. Accuse alla cosiddetta “comunità internazionale” che, non prendendo posizione, ha favorito i bombardamenti dell’esercito che avrebbero ucciso, nelle ultime 24 ore, 3.000 civili «che giacciono morti sulle strade mentre 25.000 sono feriti gravemente» e «senza aiuti medici».

 

  • Israele. 18 maggio. Proseguono gli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Proprio mentre Netanyahu si trova in visita a Washington, il consiglio regionale della Valle del Giordano, l’autorità israeliana che soprintende alla gestione del territorio, ha confermato che sono stati pubblicati i bandi delle gare d’appalto per la realizzazione delle infrastrutture di un insediamento di coloni a Maskyyot, nell’Alta Valle del Giordano, per almeno 20 unità abitative. Parliamo del primo nuovo insediamento israeliano in quest’area, cioè nella parte orientale della West Bank, dopo 26 anni. Si tratta di uno schiaffo alla nuova amministrazione USA, anche considerato che nel 2006 gli Stati Uniti avevano esercitato forti pressioni su Israele perché fermasse la costruzione proprio di questo insediamento affinché si potesse riavviare il percorso diplomatico per la creazione di uno Stato palestinese “fantoccio”.

 

  • Russia. 18 maggio. Le esercitazioni NATO in Georgia aggravano le tensioni invece di migliorare la sicurezza europea. Lo ha detto il Presidente russo Dmitry Medvedev dopo un incontro con il primo ministro italiano Silvio Berlusconi, commentando le esercitazioni NATO della scorsa settimana in Georgia. Mosca ha criticato i progetti di ingresso nella NATO di ucraina e Georgia. In riferimento al prossimo summit G8 previsto in Italia per il prossimo luglio, la Russia riproporrà la costruzione di una nuova architettura finanziaria ed economica globale, la creazione di una nuova valuta di riserva sovrannazionale e l’uso del rublo russo come valuta di riserva.

 

  • Afghanistan. 18 maggio. Deluso dalla NATO. Lo ha detto il capo del Pentagono, Robert Gates, in un’intervista alla Cbs. Nel colloquio televisivo il capo del Pentagono ha detto che saranno necessari ancora dai due ai quattro anni prima che le forze militari afghane siano pronte a prendere il controllo e il comando delle operazioni nel Paese e a garantire la sicurezza. Inoltre ha espresso delusione «per la risposta della NATO alle richieste statunitensi fin da quando ho assunto questo incarico». Gates ha sottolineato che la NATO come alleanza, escludendo gli Stati Uniti, «ha quasi due milioni di uomini nelle forze armate», non capacitandosi di come non si riesca a trovarne più di 32.000 da mandare in Afghanistan.

 

  • USA / Pakistan. 18 maggio. I fondi per Islamabad hanno rinforzato l’arsenale nucleare pakistano? «». Così ha risposto in un’audizione in Senato il capo di Stato Maggiore USA ammiraglio Mike Mullen, il militare più alto in grado delle forze armate USA, alimentando i timori statunitensi sulla destinazione dei fondi nominalmente destinati alla “lotta al terrorismo” nelle aree tribali del nord-ovest ed in realtà dirottati per estendere i propri armamenti nucleari in funzione quanto meno di deterrenza anti India. Un arsenale che a Washington temono possa cadere in mano talebana. Il Congresso dovrà deliberare a breve sullo stanziamento di altri 3 miliardi di dollari destinati all’addestramento e al rifornimento delle truppe pakistane nei prossimi cinque anni. I finanziamenti in ambito militare dovrebbero inoltre accompagnarsi a quelli riservati all’assistenza civile, che ammontano a oltre 7 miliardi di dollari. Nominalmente, le uniche somme già erogate da Washington riguardo il nucleare pakistano sono i circa 100 milioni di dollari destinati ad un programma top secret, che dovrebbe consentire alle autorità di Islamabad di rendere più sicuri i depositi dove viene conservato il proprio arsenale, così da evitare che finisca nelle mani di Talebani & Co. Risulta difficile tuttavia garantire la destinazione finale dei nuovi aiuti. A rendere ancora più probabile un dirottamento dei fondi c’è anche il ridimensionamento forzato nell’anno in corso del budget pakistano riservato alla gestione del programma nucleare, in seguito alla crisi economica globale.

  • USA / Pakistan. 18 maggio. La conferma di Müllen è fonte di imbarazzo per il governo di Obama, in quanto Washington sta facendo il possibile per rassicurare il mondo sulle ambizioni nucleari del Pakistan, affermando che l’arsenale, che conta tra le 80 e le 100 testate, non cadrà mai nelle mani degli integralisti islamici. Alcuni esponenti del Congresso vogliono approvare gli aiuti a condizione che il Pakistan precisi che gli aiuti militari saranno utilizzati solo per combattere contro i guerriglieri, e non per ampliare i propri programmi militari per competere contro il suo storico avversario, rappresentato dall’India. Le crescenti preoccupazioni sono state confermate anche da Bruce Riedel, co-autore della nuova strategia afghano-pakistana di Obama, che ha affermato che il Pakistan «ha più terroristi per miglio quadrato rispetto a ogni altro posto sulla faccia della terra, e che dispone di un programma nucleare che sta crescendo più velocemente che in nessun altro posto».

 

  • USA / Pakistan. 18 maggio. Le attività legate al nucleare in Pakistan appaiono infatti in pieno fermento. Ad un programma che impiega già decine di migliaia di operatori, il paese –guidato dal marito dell’ex premier, assassinata nel dicembre 2007, Benazir Bhutto– sembra stia aggiungendo una serie di nuovi reattori per la realizzazione di armi di nuova generazione. Il tutto operando in maniera pressoché indisturbata sul mercato nero e installando impianti in siti pericolosamente prossimi alle aree occupate o minacciate dai ribelli talebani. L’imbarazzo in cui si trova l’amministrazione Obama è ulteriormente amplificato dal suo tentativo di far approvare un trattato internazionale che impedisca la produzione di materiale fissile. Estremamente scarse sono infatti le possibilità di spingere in questa direzione un Pakistan tuttora dominato dall’ossessione della minaccia indiana. Tanto più che, assieme a Israele e la stessa India, il Pakistan è uno dei paesi che non ha ancora sottoscritto il Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP). Divenuto un fondamentale alleato di Washington nella “guerra al terrorismo” lanciata da George Bush dopo l’11 settembre 2001, il Pakistan aveva iniziato a godere dei generosi contributi di un governo USA ben presto disposto a chiudere un occhio di fronte al deterioramento della situazione interna al paese già tra il 2001 e il 2002. Il costante trasferimento delle risorse provenienti dagli Stati Uniti per rinforzare le proprie truppe posizionate al confine orientale con l’India, ha caratterizzato praticamente l’intero rapporto tra il predecessore di Obama e il deposto presidente pakistano Pervez Musharraf. A questo proposito, le polemiche negli USA avevano iniziato ben presto a diffondersi, fino ad esplodere in seguito alla pubblicazione dei risultati di un’indagine del 2007, nella quale si evidenziava come decine di milioni di dollari erano andate a rimborsare spese gonfiate per carburante, munizioni ed altre voci.

  • USA / Pakistan. 18 maggio. Nel quadro dei cosiddetti “Coalition Support Funds” inoltre, gli Stati Uniti si erano impegnati a indennizzare, questa volta con svariati miliardi di dollari, le spese sostenute dal Pakistan per presunte operazioni militari volte a combattere le attività terroristiche nelle aree tribali al confine con l’Afghanistan. Tra le proteste del Congresso per la fallimentare strategia USA in Pakistan, nel dicembre dello stesso anno erano stati addirittura congelati circa 50 milioni destinati ad aiuti militari. Il presidente Obama ha infine inaugurato il proprio mandato lo scorso mese di gennaio, ordinando una revisione completa della strategia USA in Pakistan e Afghanistan. Con quali risultati? Finora, nonostante l’annunciato maggiore impegno di agire in concerto con i vertici di Islamabad nello sforzo bellico contro i militanti islamici (pur senza impiegare direttamente le proprie forze armate sul territorio pakistano), l’aumento negli ultimi mesi delle vittime civili pakistane per gli attacchi sferrati dai mezzi aerei pilotati a distanza (droni) ha contribuito non poco al crescente sentimento di sfiducia verso gli Stati Uniti diffuso tra la popolazione locale.

 

  • USA / Pakistan. 18 maggio. Parlando in questi giorni alla stampa estera, Hillary Clinton ha ammesso quanto meno l’incoerenza della politica del proprio paese nei confronti del Pakistan durante gli ultimi 30 anni. La titolare del Dipartimento di Stato ha ricordato la partnership con il Pakistan negli anni Ottanta per l’addestramento e il finanziamento in funzione anti-sovietica dei mujahideen, tra cui al Qaida di bin Laden, che come ricordava l’ex ministro degli Esteri britannico Robin Cook (The Guardian, 8 luglio 2005) «significa “la base”, vale a dire il nome del database dato dalla CIA alla lista di guerriglieri arabi che avevano combattuto per cacciare i russi dall’Afghanistan, in un’operazione apertamente finanziata dalla CIA stessa». Mujahideen utilizzati successivamente anche in Bosnia dal Pentagono a sostegno del governo locale “musulmano”. Prima del 2001, intanto, il governo pakistano appoggiava il regime dei Taliban a Kabul per costituire un contrappeso ad un’eventuale aggressione indiana sul fronte orientale. Le collusioni più o meno velate dell’esercito di Islamabad e, soprattutto, del potente servizio segreto pakistano (ISI) con la guerriglia islamica, sono però rimaste anche dopo il cambiamento di alleanze, segnato dall’invasione statunitense in Afghanistan nell’ottobre del 2001. Un atteggiamento chiaramente dettato dalla principale preoccupazione geo-strategica del Pakistan, costituita sempre dall’India.

 

  • USA. 18 maggio. «Molto inquietanti» i successi diplomatici di Cina e Iran in America Latina. Lo ha detto il segretario di Stato USA, Hillary Clinton. «L’Iran sta per costruire una enorme ambasciata a Managua», ha detto, «Cina e Iran stanno costruendo relazioni economiche e politiche molto strette con diversi paesi dell’America Latina». «Non credo che questo sia nel nostro interesse. Trovo questi sviluppi molto inquietanti», ha concluso.

 

  • Colombia. 18 maggio. Gli ultimi attacchi della guerriglia hanno causato la morte di 12 tra poliziotti e militari e di sette guerriglieri, in scontri registarti in idversi punti del paese. «Le FARC [Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia, ndr] stanno celebrando in forma particolare il loro 45° anniversario», ha detto il generale Orlando Paez.

 

  • Russia / Norvegia. 19 maggio. Incontro tra il presidente russo Medvedev e il premier norvegese Stoltenberg sul Polo Nord. Analisti geopolitici danno grossa rilevanza all’appuntamento, essendo il Polo Nord, una terra grande quanto l’Europa, ricca di miliardi di tonnellate di petrolio e gas naturale. Sul futuro della regione ci sono divergenze tra Russia e paesi come Norvegia, Danimarca e Canada. Mosca, per cui è cruciale mantenere il primato di fornitore di gas dell’Europa, prova ora a raggiungere un accordo di principio con la Norvegia, cercando di portare Oslo dalla propria parte. Per quanto riguarda il paese scandinavo, l’alleanza con la Russia porterebbe a nuovi introiti ed anche la “sicurezza” per quanto riguarda lo sfruttamento dei ricchi giacimenti del Polo Nord, considerato che la NATO oggi non è disposta o non è in grado di contrastare la Russia, come si è visto durante l’ultima crisi in Georgia.

 

  • Germania. 20 maggio. Aumentano le richieste di aiuti di Stato. Oltre mille società tedesche hanno fatto finora domanda al governo per ottenere aiuti dal cosiddetto “Fondo Germania”, costituito dall’Esecutivo della cancelliera Angela Merkel (CDU) per far fronte alla crisi. Secondo i dati ufficiali pubblicati dal quotidiano Sueddeutsche Zeitung, le richieste ammontano a 4,4 miliardi di euro. La maggior parte delle domande, spiega il giornale, proviene dalla Baviera, dal Baden Wuerttemburg e dal Nord Reno-Westfalia. Nella lista delle imprese in difficoltà ci sono anche 20 grandi gruppi, tra cui la Opel, la Schaeffler e Arcandor. La complessità delle verifiche dei requisiti richiesti alle aziende per accedere al fondo, conclude il quotidiano, sta rallentando la concessione dei crediti e delle garanzie sui debiti. Per ora, solo 304 domande su 1.104 soddisfano i criteri fissati dal governo e, sul totale di 115 miliardi di euro a disposizione, tra crediti e garanzie sono stati accordati 681 milioni di euro.

 

  • Somalia. 20 maggio. Truppe etiopi rientrano in Somalia a quattro mesi dal loro ritiro. Ne dà notizia la France Press. E’ il segno che all’asse USA-Etiopia, la situazione nel paese sta sfuggendo di mano. Dal 7 maggio è in corso una grande offensiva contro il governo fantoccio del paese lanciata dagli insorgenti islamisti.

 

  • Iraq. 20 maggio. Un iracheno su quattro vive al di sotto della soglia di povertà. Lo afferma uno studio condotto dal COSIT, l’istituto del ministero della Pianificazione responsabile delle statistiche e delle tecnologie informatiche, secondo cui il sistema delle razioni alimentari governative, da cui gran parte della popolazione dipende per la propria sopravvivenza, è al collasso. Responsabile, in parte, la corruzione: le famiglie irachene non ricevono la loro razione da mesi, o la ricevono solo in parte. Anche la qualità dei generi distribuiti è decisamente peggiorata. Lo sceicco Sabah al Saidi, deputato di Fadhila, partito sciita di ispirazione ‘sadrista’, accusa «i generi alimentari importati, inadatti al consumo umano (…) Miliardi di dollari sono stati sprecati dal ministero del Commercio, e questo ha fatto sì che i cittadini abbiano ricevuto generi alimentari di pessima qualità negli ultimi anni, e ha portato a ritardi nella distribuzione in alcuni luoghi». Il ministero del Commercio è subentrato alle Nazioni Unite nella gestione della distribuzione delle razioni alimentari governative –il cosiddetto Public Distribution System (PDS)– dopo la chiusura del programma “Oil for Food”, nel periodo che ha seguito l’invasione USA del marzo 2003. In precedenza, il sistema - istituito dal regime di Saddam Hussein nel settembre 1990, per mitigare gli effetti devastanti delle sanzioni economiche imposte all’Iraq in seguito all’invasione del Kuwait dell’agosto dello stesso anno, era considerato un modello di efficienza, e gli viene generalmente attribuito il merito di avere salvato milioni di iracheni dalla fame.

 

  • Russia / USA. 20 maggio. Il dollaro non è più la principale valuta estera di riserva della Banca centrale russa. Le attività in euro della Banca Centrale russa hanno toccato il 47.5%, superando quelle denominate in dollaro, ferme al 41.5%, scrive il giornale russo The Vedomosti. Lo scorso anno il 47% degli investimenti erano denominati in dollari, mentre quelli in euro erano il 42%. Il resto degli investimenti è denominato in sterline, yen e franco svizzero. Un terzo delle riserve valutarie russe consiste comunque il titoli del Tesoro USA, che fanno di Mosca uno dei più grandi creditori statunitensi. Secondo il Dipartimento del Tesoro USA, la Russia ha accresciuto i propri investimenti in titoli di Stato USA dai 32.7 bilioni di dollari del Dicembre 2007 ai 116.4 bilioni di dollari del Dicembre 2008. La Banca Centrale russa ha inoltre visto le proprie riserve calare di 56.6 bilioni di dollari a causa dell’alta domanda di valuta statunitense da parte di banche e compagnie russe alla fine dell’anno scorso.

 

  • Polonia. 21 maggio. Missili Patriot a Varsavia anche senza scudo. Il ministro degli affari esteri polacco Radosław Sikorski ha comunicato che la parte degli accordi con gli USA inerenti alla dislocazione di missili Patriot in Polonia sarà rispettata a prescindere dall’installazione o meno dello scudo antimissilistico. A margine del vertice dei ministri degli esteri del quartetto di Vyšegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca ed Ungheria) con quello svedese, Sikorski ha ricordato che nell’accordo stretto lo scorso agosto con l’allora Segretario di Stato Condoleezza Rice è specificato che «la collaborazione con Washington nella difesa da minacce di breve e medio raggio prevede il suo inizio nel 2009, ed ha come scopo l’installazione di una guarnigione stabile polacco-americana entro il 2012». Dunque, la presenza a Słupsk (città a nord-ovest della Polonia, non lontano da Danzica) dei Patriot e del corpo militare statunitense –che secondo il trattato dovrà addestrare soldati polacchi, a cui lasceranno il totale controllo della base dal 2012 – prescinde dall’installazione della postazione radar in Repubblica Ceca, altro tassello previsto nella realizzazione dello scudo. Tale presa di posizione è stata confermata dal vice ministro della difesa Stanisław Komorowski in un’intervista rilasciata al Financial Times, nella quale ha dichiarato che «nonostante le voci di un possibile rifiuto di Obama, i colloqui polacco-americani procedono serenamente secondo i piani, e saranno ultimati entro fine 2009, quando è previsto l’insediamento di un centinaio di soldati USA e l’installazione di una batteria di 196 patriot». Secondo Komorowski «la presenza di militari americani sul suolo polacco al di fuori dell’egida della NATO è da considerarsi non come un pericolo, bensì come un’eccezionale operazione di addestramento e di ammodernamento delle strutture dell’esercito di Varsavia». Un membro del Dipartimento di Stato USA, Marc Toner, rileva comunque che «nonostante le voci di un possibile ripensamento da parte della Casa Bianca, il Presidente Barack Obama ha confermato al premier polacco Donald Tusk la realizzazione dello scudo antimissilistico».

 

  • Russia. 21 maggio. Mosca potrebbe dispiegare missili al confine con la Polonia se Varsavia installerà Patriot sul proprio territorio. Lo ha scritto ieri Interfax citando fonti anonime militari russe. «Il dispiegamento di missili Patriot è una copertura per il futuro insediamento di un’unità del sistema strategico di difesa aereo con missili intercettori in Polonia», ha aggiunto l’alto ufficiale russo, secondo cui missili russi Iskander potrebbero venire installati nell’enclave russa di Kaliningrad (un tempo Königsberg, città natale di Immanuel Kant), ubicata tra la Polonia e la Lituania. Secondo alcune fonti, l’amministrazione Obama, benché intenda proseguire con il progetto dello Scudo, intende verificarne i costi e la realizzabilità. «Il dispiegamento di missili Patriot in Polonia è la risposta alle obiezioni russe contro il progetto di installare pezzi del sistema strategico di difesa missilistico statunitense in Europa», ha concluso l’alto ufficiale russo.

 

  • Israele. 21 maggio. «Gerusalemme unita è capitale di Israele. Gerusalemme è sempre stata nostra e così sarà per sempre e mai più sarà divisa». Con questa netta e ferma dichiarazione, il premier dello Stato sionista, Benyamin Netanyahu, ha parlato nel corso di una cerimonia per il 41° anniversario della cosiddetta “riunificazione di Gerusalemme”, vale a dire l’occupazione dei quartieri arabi, nella parte est della città, in seguito al conflitto del 1967, occupato da allora da Israele. Il premier avrebbe così inteso replicare a notizie di stampa circa un piano di pace statunitense in preparazione che prevede la costituzione di uno Stato palestinese con capitale a Gerusalemme est e con una forma di “internazionalizzazione” della Città Vecchia e dei suoi Luoghi Santi. Sotto pressione da parte degli Stati Uniti perché sospenda le attività di insediamento il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha assicurato che non saranno costruiti nuovi insediamenti in Cisgi