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Lettera aperta a Bob Gelfof

di Francesco Borgonovo - 06/07/2009

  
 
Caro Bob Geldof, poiché "La Stampa" di Torino ti ha nominato direttore per un giorno (quindi il quotidiano oggi in edicola è firmato da te assieme a Mario Calabresi) mi permetto di darti del tu e di chiamarti collega. Anche se io sono un umile redattore e tu stai alla testa di uno dei principali quotidiani italiani.

Già ieri hai firmato un editoriale, con richiamo in prima pagina, intitolato «Il nostro futuro è africano», per spiegare che l'Italia - nonostante la crisi e il terremoto all'Aquila - deve rimboccarsi le maniche, mettere mano al portafogli e foraggiare il Continente nero. Nel tuo articolo, spieghi che la «credibilità» di Berlusconi come statista è «a rischio» perché il nostro Paese ha donato all'Africa «solo il tre per cento» di quanto, al G8 del 2005, si era impegnata a dare. «Anche gli altri stanno lottando», sostieni, «ma non tolgono il cibo dalla bocca dei bambini affamati, non tolgono gli aghi dal braccio dei malati».

Caro direttore Geldof, il filosofo francese Pascal Bruckner direbbe che il tuo è un classico esempio di «masochismo occidentale». È l'idea - che gli intellettuali di sinistra sostengono almeno dagli anni Sessanta e che volgarmente si chiama "terzomondismo" - per cui l'Occidente è il responsabile di tutti i mali del globo.

«Nulla è più occidentale dell'odio verso l'Occidente, della passione di maledirsi, di lacerarsi», diceva Bruckner. In questa visione del mondo, l'Africa rimane il continente bambino. Quello che non ce la fa a sostenersi da solo, quello che ha bisogno dell'elemosina degli Stati Uniti e dell'Europa (che tu ritieni essere necessaria).

Nel tuo editoriale di ieri, stimato Bob, scrivevi che la popolazione del Continente nero è «altamente creativa, dinamica, intellettuale e produttiva». Sicuramente è vero. Allora perché non dovrebbe essere responsabile del proprio benessere o malessere come sono tutte le altre popolazioni della Terra?

Io un'idea me la sono fatta. Per questo mi permetto di farti una proposta. Se sul "tuo" giornale avanza uno spazietto, giusto qualche riga, fai recensire da uno dei tuoi validi cronisti un libro appena uscito in Italia (su "Libero" ne ha scritto Ernesto Aloia). Si intitola "L'industria della solidarietà" e lo ha firmato Linda Polman. Racconta una storia interessante, che vorrei riportarti, perché aiuta a capire dov'è finito il mucchio di dollari (due anni fa erano 23mila miliardi) che i "Paesi ricchi" hanno versato al Terzo mondo.

Nel 1967, Emeka Ojukwu, governatore del Biafra (all'epoca una delle regioni più ricche della Nigeria), dichiarò la secessione dal resto del Paese e le autorità reagirono bloccandogli gli approvvigionamenti. Scoppiò una guerra civile, con annessi morti e atroci sofferenze. Nacque allora il mito della "carestia del Biafra" (che non era dovuta a cause naturali). Grazie alle foto di poveri bambini martoriati dalle mosche e ai servizi dei cronisti inviati sul posto, nelle tasche di Ojukwu piovve un fiume di soldi.

L'Occidente li donava in nome della solidarietà. Il governatore li utilizzò per finanziare il suo esercito ribelle fino al 1970, anno in cui fuggì in Costa D'Avorio su un aereo, portandosi dietro la sua Mercedes, le mogli e tremila chili di bagagli. Eppure, quando si vuole dimostrare che l'Occidente causa la sofferenza dell'Africa, la vicenda del Biafra viene citata spesso.

Caro direttore, il vero flagello del Continente nero non sono gli occidentali cattivi. Ma i dittatori e i governi (con quanti li sostengono) che affamano la popolazione, fomentano le guerre civili e ingurgitano i fondi stanziati dal resto del mondo. Quello del governatore del Biafra è solo un caso fra tanti.

Qualche tempo fa in un'intervista alla rivista "Nigrizia" (giornale dei padri comboniani: missionari, non certo capitalisti senza scrupoli) Biagio Bossone, direttore esecutivo della Banca Mondiale per l'Italia, disse: «Quando la comunità internazionale era più generosa, vedi gli anni '60, arrivava a dare anche lo 0,50% (del Pil, ndr), ma queste risorse venivano spesso utilizzate per fini politici. È lì che è nato il seme del debito, che tanto angustia ancora oggi i Paesi del Sud del mondo». Questa è la ragione per cui anche tanti africani chiedono che l'elemosina verso i loro Stati finisca.

Lo scrittore nigeriano Uzodinma Iweala, nato nel 1982, ha scritto una volta un articolo molto chiaro: «L'Africa non vuol essere salvata. Ciò che l'Africa chiede al mondo è», diceva, «il riconoscimento della sua capacità di avviare una crescita senza precedenti, sulla base di un vero e leale partenariato con gli altri membri della comunità globale».

Caro direttore Geldof, prova a dare un'occhiata a quel pezzo. Fu pubblicato in prima pagina su Repubblica nel 2007. Nell'archivio della Stampa, il "tuo" giornale, una copia l'avranno sicuramente conservata.