Ancora su Southstream e Nabucco
di Gianni Petrosillo - 19/08/2009
Verrebbe da dire eccoli ancora appassionatamente uniti: il gatto inglese e la volpe statunitense.
Dopo le dichiarazioni dei diplomatici americani che invitavano l’Italia a diversificare le fonti nel
nostro esclusivo interesse di paese liberamente inserito nella sfera d’influenza americana, arrivano
anche le anonime dichiarazioni di un diplomatico britannico il quale dice: “Attenti a Putin, potrebbe
mettervi in trappola rendendovi dipendenti dalle forniture russe di gas”. Molto meglio per noi
rinunciare ad un progetto nel quale un’azienda di punta italiana partecipa al 50% e con uguali diritti
di partnership con una omologa russa, per favorire quello alternativo, il Nabucco, sul quale non
avremo quasi nessun potere decisionale. E dov’è la convenienza? Ci hanno presi per imbecilli? Ed
allora nuovamente giù con le minacce: questa opzione “rischia di mettere l’Italia in una condizione
di debolezza”. Detto altrimenti “o fate come conviene a noi oppure al minimo finirete isolati in
Europa e se non dovesse bastare qualche piccolo scossone interno potrebbe riportarvi sulla retta
via”.
Roba da non credere, dovrebbe spaventarci di più una possibile (ma improbabile data la
collaborazione alla pari tra le due aziende petrolifere ENI e Gazprom) influenza russa rispetto ad
una già consolidata, ingombrante, sempre vigile e minacciosa ingerenza americana nei nostri affari
interni.
In secondo luogo, volendo parlare lo stesso linguaggio liberista di chi ci ha assillati in tutti questi
anni sulle ragioni del libero mercato, perché mai l’Italia dovrebbe mandare all’aria un business sulla
cui profittabilità economica nessuno può dubitare per aderire ad un programma che non ha solide
basi di realizzazione? Elementare Watson: perché lo impongono le esigenze geopolitiche della
potenze predominante. Come sostiene Ed Morse direttore esecutivo di Louis Caital Markets e
“autorità riconosciuta nel settore dell'energia” (un altro di quegli uomini del tutto disinteressati che
si preoccupano della nostra salute), in una intervista pubblicata sulla stampa di oggi, noi italiani
saremmo dei guastafeste: “il capo di governo italiano e il capo della maggiore impresa italiana si
[vantano] di rappresentare un consenso europeo su cosa serve alla sicurezza energetica comune
assumendo iniziative che vanno contro i partner europei”. Direi, caro dott. Morse, che i nostri
governanti attuano la stessa tattica di Washington. Quest’ultima, infatti, finge di preoccuparsi per la
nostra condizione di paese libero, invitandoci a differenziare le fonti di approvvigionamento, per
meglio perseguire i propri interessi geoeconomici e geostrategici imponendoci l’adesione a progetti
da essa sponsorizzati. Peccato che il Ministro Scajola si sia già fatto intimorire ed abbia promesso
agli americani di concorrere alla costruzione delle centrali nucleari che l’Italia si appresta a
costruire sul suo territorio nei prossimi vent’anni. Questo contentino di certo non placherà gli
appetiti degli USA su una nazione che considerano parte integrante della loro sfera di dominanza.
L'Italia sul South Stream
raccoglie consensi sotterranei
EMANUELE NOVAZIO
ROMA
«Attenti a Putin, potrebbe mettervi in trappola rendendovi dipendenti dalle forniture russe di gas».
E’ perplesso, il diplomatico britannico che al telefono chiede l’anonimato: la partecipazione italiana
al gasdotto «South Stream», voluto da Mosca a scapito dell’adesione al consorzio «Nabucco» che
scavalca la Russia - sostiene - «rischia di mettere l’Italia in una condizione di debolezza», di fronte
a un Paese che non ha ancora superato la sua storica diffidenza nei confronti dell’Occidente. Come
dire che l’adesione al progetto sul quale Mosca punta per garantirsi il semi-monopolio dei
rifornimenti energetici europei è un modo, forse inconsapevole ma miope, di consegnarsi a possibili
ricatti della «superpotenza energetica»?
Il diplomatico non risponde. Preferisce sottolineare che «sarebbe un errore credere che
l’integrazione delle compagnie russe nella rete energetica europea possa garantire un’influenza sulle
decisioni prese a Mosca». Ma la sua osservazione conferma che l’Europa è divisa di fronte alla
scelta italiana e, più in generale, alle strategie alle quali affidare una politica energetica comune,
della quale a Bruxelles si parla invano da anni. La Gran Bretagna, va notato, dipende soltanto per il
2 per cento dal gas russo grazie ai pozzi nel Mare del Nord (che continuano però a impoverirsi,
secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia: dai 6,6 milioni di barili del 2002 la
produzione scenderà a 4,8 milioni nel 2010 e a 2,2 milioni nel 2030). Ma, obietta l’interlocutore
d’Oltremanica, Gazprom punta a controllare il 20 per cento del mercato britannico entro il 2015: già
oggi, dopo aver raddoppiato in due anni i volumi di vendita, possiede il 10 per cento del gasdotto
Bacton-Zeebugge, il secondo in ordine di grandezza in Gran Bretagna.
La diffidenza britannica per l’«abbraccio russo» ha riscontro soprattutto fra i membri orientali
dell’Unione europea. A cominciare dalla Polonia, che vede nella «prepotenza energetica di Putin»
la radice del «patto Molotov-Ribbentrop dell’energia», come a Varsavia si definisce l’accordo
russo-tedesco per «North Stream», il gasdotto che garantirà rifornimenti diretti alla Germania
scavalcando Bielorussia, Polonia e Paesi Baltici. Ma la Polonia dipende dalla Russia per oltre l’80
per cento dei suoi approvvigionamenti di energia (anche per questo avrebbe voluto partecipare a
North Stream con la garanzia del partner tedesco): a Varsavia la diffidenza storica e ideologica nei
confronti dell’ingombrante vicino, per 40 anni vero «padrone di casa» in Polonia, si somma a
un’obiettiva debolezza.
Diversa la situazione francese. Parigi, silenziosa di fronte alla presenza italiana in «South Stream»,
acquisterà gas russo attraverso «North Stream». Da trent’anni inoltre ha ottimi rapporti con Mosca,
dal punto di vista degli approvvigionamenti energetici: ma la Francia può contare su una
abbondante produzione nucleare, in grado di soddisfare fino al 70 per cento del fabbisogno interno.
Anche la Spagna si è smarcata da Mosca, garantendosi rifornimenti alternativi e intensificando la
realizzazione di rigassificatori, impianti che consentono di saltare gli oleodotti: il gas viene
liquefatto sul luogo di estrazione e trasportato per nave nei Paesi di consumo, dove viene riportato
allo stato gassoso. Soltanto la Germania si trova in una situazione paragonabile a quella italiana: la
nostra adesione a «South Stream», attraverso l’Eni, fa il pari con quella tedesca a «North Stream»,
una joint venture fra Gazprom e Basf. Senza contare che Berlino dipende per il 32 per cento dal gas
russo, a fronte del 30 per cento dell’Italia. Forse per questo entrambi i Paesi tengono a separare,
nelle relazioni con Mosca, le ragioni della politica da quelle dell’economia. «In passato si sono
realizzate importanti iniziative economico-industriali comuni mentre erano in atto forti conflitti fra i
due blocchi», avverte un diplomatico tedesco: «Mai fare confusione».
Stampa di martedì 18 agosto 2009, pagina 4
Intervista a Charlie Kupchan - "Un grosso errore dipendere dall'export russo"
Intervista a Kupchan di Molinari Maurizio
Un grosso errore dipendere dall export russo Colloquio MAURIZIO MOLINARI NEW YORK
Charlie Kupchan L'Europa ha interesse a integrare la Russia nelle istituzioni euroatlantiche, non a
diventare dipenden te dalle sue esportazioni di energia. Charlie Kupchan, titolare degli studi europei
al «Council on Foreign Relations» cli Washington, legge l'agguerrita competizione fra il progetto
russo South Stream per portare gas in Europa e il concorrente gasdotto Nabucco, sostenuto
dall'amministrazione Obama, come la cartina tornasole del «bivio a cui ci troviamo su quale tipo di
rapporto avere con Mosca». Da un lato lo scenario delle intese geopolitiche, dall'altro quello della
dipendenza energetica. Parlando al telefono dal suo studio a un isolato dalla Casa Bianca, Kupchan
spiega che «l'Europa nel suo complesso ha una duplice necessità, coinvolgere la Russia nelle
istituzioni transatlantiche ma non diventare troppo dipendente dalle sue esportazioni energotiche».
Si tratta di obiettivi compatibili, è possibile allearsi al Cremlino senza diventare suoi clienti? «Sì»
risponde senza esitazioni il docente della Georgetown Universi- ty, facendo presente che «l'Europa
deve decidere quale legame avere con la Russia» e «quello geopolitico è senz'altro preferibile alla
dipendenza energetica» perché «destinato nel lungo termine a creare maggiore stabilità e meno
crisi». Le parole di ltupchan, che fece parte del consiglio nazionale di sicurezza ai tempi di Bili
Clinton, riflettono l'umore corrente a Washington, favorevole a modellare un rilancio dei rapporti
globali con la Russia di Dmitry Medvedev senza cederle per troppo terreno. «Chi aveva previsto
una svolta imperialista di Mosca dopo la guerra in Georgia della scorsa estate è stato smentito -
sottolinea - e dunque è questo il momento di aprire al Cremlino puntando a darsi politiche condivise
sui temi pi importanti del momento ovvero contro la proliferazione nucleare, contro la diffusione
delle armi di distruzione di massa, sulla realizzazione della difesa antimissile e sull'iran dì Mahmud
Ahmadinejad» creando le premesse per «un inserimento reale e duraturo della Russia nelle
istituzioni transatlantiche» e «mettendo da parte questioni controverse come l'allargamento della
Nato, l'indipendenza del Kosovo e i confini della Georgia».
Questo «percorso è nell'interesse degli Stati Uniti, dell'Europa e della Russia», assicura Kupchan,
che per non ritiene «opportuno sovrapporlo ad un aumento della dipendenza energetica da
OBIETTIVI «LEumpa ha interesse a integnwe MOSCa nelle istituzioni euroatlaitiehe» RISCI «Ma
le scelte geopolitiche fiUTi devono favorire la dipendenza energetica» gas e greggio del Cremhno
come quella che si verrebbe a creare dalla realizzazione del South Stream» che Gazprom punta a
realizzare assieme al gemello North Stream per portare dal 28 al 33 per cento la propria quota di
controllo del mercato europeo del gas.
A vedere l'Europa impegnata a decidere quale approccio avere alla Russia è anche Ed Morse,
direttore esecutivo di Louis Caital Markets e autorità riconosciuta nel settore dell'energia, secondo il
quale «il disaccordo nell'Unione Europea sull'approccio unilaterale dell'Italia e dell'Eni» al progetto
del South Stream «è assai pi importante di ogni tipo di obiezione che possa essere sollevata da
Washington». Ci che colpisce Morse infatti è che «il capo di governo italiano e il capo della
maggiore impresa italiana si vantino di rappresentare un consenso europeo su cosa serve alla
sicurezza energetica comune assumendo iniziative che vanno contro i partner europei» Qome
Bulgaria, Romania, Ungheria e Austria che sostengono il gasdotto «Nabucco» con l'intenzione di
ridurre la di- *** University, pendenza dalle importazioni di gas di Mosca. Dietro la determinazione
russa a realizzare South Stream al fine di esportare il proprio gas in Europa occidentale senza
passare attraverso l'Ucraina, per Kupchan, c'è «una strategia di vecchio stampo e a l ngo termine,
mirata a mantenere il saldo controllo sulle risorse che si trovano dei territori dell'ex Unione
Sovietica» ma non è detto che «i Paesi occidentali debbano favorirla».
Insomma, si pu essere amici di MoLO SVILUPPO «Il progetto aumentertt la quota di controllo di
Gazprorn in Europa dal 28 al 33%» TUTTO DA DECIDERE «Non c'è fretta perchE entrambi i
metanodotti alternativi sono progetti solo sulla carta» sca anche senza sostenere le politiche
energetiche affidate a Gazprom. Nulla comunque è ancora detto su quale sarà il nuovo equilibrio fra
Europa e Russia perché, concordano charlie Kupchan e Ed Morse, «tanto il South Stream che il
Nabucco restano al momento due progetti solamente sulla carta», ($0' i laquota dgasepetroflo Oltre
la metà del fabbisogno energetico dei Paesi della Ue viene coperta dal mix di gas e petrolio L'aniista
Charlie Kupchan è responsabile degli studi europei al «Council on Foreign Relations» di
Washington ***
Scajola: "Non c'è solo Mosca,
bisogna diversificare le fonti"
La replica del ministro: accordi sul metano anche con Libia e Algeria
ALESSANDRO BARBERA
ROMA
Ministro Scajola, nei giorni scorsi il premier è volato ad Ankara per partecipare alla firma
dell’accordo con la Russia che permetterà il passaggio del gasdotto “South Stream” sul
territorio turco. Il progetto è alternativo a “Nabucco”, sostenuto dagli Stati Uniti ed altri
Paesi europei. Una inchiesta del nostro giornale ha appurato forti malumori all’interno
dell’Amministrazione americana, perché ciò aumenterebbe la dipendenza energetica dalla
Russia. Cosa risponde il governo?
«Rispondo che il governo punta ad acquisire più sicurezza nei rifornimenti che si ottiene
diversificando il più possibile le aree di approvvigionamento: dunque non abbiamo preclusioni nei
confronti di alcuno. Ma non ci sarà mai la dipendenza nei confronti di un solo Paese, tantomeno la
Russia. I nostri progetti lo testimoniano».
A quali progetti si riferisce?
«Abbiamo già siglato un accordo con l’Algeria che ci porterà ad importare più gas algerino che
russo. Nel 2010 aumenteremo l’import dalla Libia. Il nuovo rigassificatore di Rovigo - il primo dei
quattro programmati - ci consente di importare dal Qatar gas pari al 10% dei consumi nazionali. Ma
c’è soprattutto il nuovo gasdotto Itgi, che consentirà l’importazione diretta dall’Azerbaijan
attraverso Turchia e Grecia. E’ un progetto al quale lavoriamo da quattro anni, ed è molto più avanti
sia di South Stream che di Nabucco: non a caso la Commissione europea ci ha concesso un
finanziamento da cento milioni di euro per il suo sviluppo. A ottobre avremo un incontro a Istanbul
per concludere le trattative con i quattro Paesi interessati».
Dunque lei smentisce che la dipendenza italiana dal gas russo aumenterà?
«L’insieme di queste infrastrutture, certe nella loro realizzazione, ridurranno la dipendenza italiana
dal gas russo, che oggi ammonta al 30% dei nostri consumi».
Eppure a Washington temono avvenga il contrario. Fra gli interlocutori citati dalla nostra
inchiesta c’è addirittura chi parla di «interessi particolari» del premier nell’aumentare il
legame energetico con Mosca.
«Non ci sono interessi particolari nei confronti di chicchessia. I fatti e i programmi dimostrano
l’esatto contrario. Semmai si realizzeranno le condizioni in grado di valorizzare le capacità
imprenditoriali del nostro Paese, a vantaggio dell’economia e dell’occupazione: South Stream ad
esempio è un progetto che riguarda soprattutto l’Eni, coinvolta sia come costruttore che come
utilizzatore dell’infrastruttura».
Se così stanno le cose, perché i dubbi dell’Amministrazione americana?
«Il problema non ci è stato posto. Per quanto ne so sono ottimi i rapporti fra Italia e Stati Uniti, così
come quelli fra Berlusconi e Obama. All’ultimo G8 sull’Energia ho firmato con il mio omologo
americano, il segretario di Stato Stephen Chu, un importante accordo di cooperazione sull’utilizzo
del carbone pulito e sulla cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica. Non solo: a fine settembre
sarò personalmente a Washington per firmare un protocollo italo-americano per la ricerca e lo
sviluppo nel settore nucleare».
E cosa prevede?
«Darà la possibilità alle aziende americane di concorrere alla costruzione di una o più centrali fra le
otto-dieci che il governo punta ad avere nei prossimi vent’anni».
Con tutti questi progetti non c’è il rischio di passare da una cronica sottocapacità alla
«sovracapacità»? In sostanza, non rischiamo di trovarci a produrre fin troppa energia? Forse
South Stream è un progetto tutto sommato non necessario?
«L’obiettivo del Governo è ottenere dal 2020 un mix di energia composto per il 25% da fonti
rinnovabili, un altro 25% dal nucleare ed il restante da fonti tradizionali; oggi è l’83%. In questo
quadro il consumo di gas è destinato a ridursi. Ma poiché vogliamo diventare l’hub energetico del
Mediterraneo, l’obiettivo è anche quello di importare gas per promuovere scambi con altri Paesi del
bacino: in Africa, Balcani, Europa centrale. In Italia c’è spazio sia per la produzione di energia
nucleare, che per quella ottenuta dal gas. L’una non esclude l’altra. Non dimentichiamo che in Italia
l’elettricità costa ancora circa il 30% in più del resto d’Europa».
Ministro, la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia è preoccupata per l’autunno e
teme la chiusura di nuove aziende. Gli ultimi dati di Confcommercio confermano un clima
ancora molto difficile. Cosa risponde?
«Non si può negare che la crisi abbia un’onda lunga. E che resta il rischio, per alcune aziende, di
subire gli effetti della cattiva congiuntura di questi mesi. Ci sono però segnali i quali ci dicono che
la risalita è forse già cominciata, penso in modo particolare al superindice dell’Ocse».
C’è lo spazio per nuovi interventi del governo?
«Il governo ha già fatto molto. Ma compatibilmente con la situazione dei conti, intensificheremo
l’impegno per sostenere il sistema delle imprese e tutelare l’occupazione».

