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Il falco e il leone

di Giovanna Canzano - Vincenzo Maria De Luca - 27/08/2009

 

“…si combatté in Jugoslavia, dall’aprile 1941 in poi,
 la prima guerra non convenzionale della storia moderna,
con tutto il corredo di atrocità e violenze che questa comportava
 e che tutti indistintamente accomunò: vincitori e vinti,
 nessuno escluso...” (Vincenzo Maria de Luca)

 

CANZANO – C’eravamo lasciati nel 2007 in occasione della presentazione del tuo libro “La memoria non condivisa”, che chiudeva una sorta di trilogia giuliana sui delicati temi delle foibe istriane e della sanguinaria epurazione della italianità della Venezia Giulia ad opera dell’esproprio “manu militari” slavo-comunista di Tito.

DE LUCA – Infatti con l’editore Cipriano, delle Edizioni Settimo Sigillo di Roma, abbiamo impostato un percorso di studio sulla questione delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata successivo al secondo conflitto mondiale, che in poco più di dieci anni ha portato alla pubblicazione di tre libri dove ho cercato di affrontare, dalla preistoria giuliana al Trattato di Parigi del febbraio 1947, le non facili tematiche che hanno caratterizzato il lungo e tormentato addio italiano alla Venezia Giulia.

CANZANO – A ottobre è annunciata l’uscita de “Il falco e il leone” con un sottotitolo molto esplicativo: “Soldati italiani al confine orientale 1941-1943”; quindi con questo quarto libro il tuo impegno in tale, preciso contesto storico continua?

DE LUCA – In verità non pensavo ad una tetralogia, ma l’attacco che una riconoscibile parte politica, oggi d’opposizione, e un certo mondo accademico universitario hanno sferrato in questi ultimi anni contro gli sforzi, non soltanto miei, di studiare con il metodo dell’analisi revisionista, quanto avvenne ai nostri confini orientali dopo l’8 settembre 1943, mi ha indotto alla stesura di questo nuovo libro dopo illustro un biennio strategico ai fini della sconfessione di molti, facili luoghi comuni insiti nel complesso rapporto con la realtà slava.

CANZANO – Quando parli di mondo accademico ostile, ti riferisci forse ai fatti del maggio 2008, all’Università “La Sapienza” di Roma, dove ti è stato impedito dai collettivi studenteschi antifascisti di tenere una conferenza sulle foibe, peraltro già autorizzata, alla facoltà di Lettere?

DE LUCA – Quella è stata solamente la punta dell’iceberg. La cosa grave non è tanto il boicottaggio verso la mia persona, già ampiamente preventivato, ma il fatto che appena due settimane prima, nella stessa sede, si era tenuto un analogo convegno sul medesimo tema, tenuto da ricercatori sloveni e nessuno aveva avanzato dubbi o perplessità sugli scontatissimi contenuti antitaliani e antistorici sviscerati in quell’occasione ad un pubblico come quello dei fantomatici “collettivi di sinistra” tanto politicizzati quanto ignoranti sull’argomento in questione. Che la mia conferenza di risposta sia stata definita a priori “fascista” e vietata di conseguenza per motivi di ordine pubblico, illustra, meglio di tanti discorsi, la difficoltà oggettiva di affrontare argomenti e tematiche oggi politicamente scorrette.

CANZANO – Anche in occasione del “Giorno del Ricordo” del febbraio 2009, la stampa nazionale ha riportato la cronaca di un’altra tua giornata difficile a Roma, al Palazzo dei Congressi dell’Eur, nell’ambito di un convegno dal titolo “Foibe; tutta la verità sul confine orientale”.

DE LUCA – Recita un vecchio proverbio delle tribù amazzoniche: “fa più rumore un albero che cade che una foresta che respira”. Quella del 3 febbraio scorso è stata in realtà una delle mie giornate più belle, di quelle che ti ripagano di anni di impegno e di umiliazione.
Ero stato invitato dalla Consulta provinciale degli studenti di Roma a parlare sulle foibe alla presenza, tra gli altri, del ministro Giorgia Meloni e del sottosegretario Roberto Menia. Vi erano in sala oltre 1.500 ragazzi ai quali mi sono rivolto in maniera semplice e diretta senza retorica né concessioni politiche. L’incontro è stato così coinvolgente per tutti noi, al punto di dover fissare ulteriori appuntamenti nei singoli istituti scolastici dei ragazzi, per i quali ho in parte sacrificato la mia principale attività di medico.
All’esterno della sala si erano concentrati non più di un centinaio di militanti dell’ultrasinistra che hanno iniziato a lanciare uova e oggetti vari, scandendo slogans offensivi. Subito bloccati dalle forze dell’ordine, questi militanti hanno poi occupato l’Ufficio scolastico regionale del Provveditorato agli Studi denunciando fantomatiche “infiltrazioni fasciste” nelle scuole romane. Ovviamente il clamore di quei facinorosi, che la Meloni ha definito “un centinaio di imbecilli”, ha avuto più eco sulla stampa che non il convegno stesso. In ogni caso ho molto gradito la solidarietà del Comune di Roma, come pure il sostegno di una folta rappresenta di esuli istriani presenti al convegno.

CANZANO – Veniamo al tuo nuovo libro di prossima uscita. Il titolo è davvero evocativo, plastico, direi quasi “cinematografico”. Vuoi spiegarmelo?

DE LUCA – Il titolo richiama la copertina ed è ripreso da una foto in bianco e nero scattata nell’isola di Curzola, in Dalmazia, nel 1927. In uno stemma sopra una torre di legno era raffigurato un leone di San Marco ferito, attaccato da un falco che tenta di accecarlo. La traduzione serba della parola falco è “sokol”, termine che indicava anche una associazione terroristica serba degli anni ’20, fortemente antitaliana e chiaramente indipendentista filo-slava. Il falco è dunque la Serbia che sfida la millenaria presenza veneta in Adriatico, rappresentata dal suo celebre leone alato.

CANZANO – Di cosa tratta “Il falco e il leone”?

DE LUCA – Lo dividerei in due parti distinte dove i primi capitoli sono dedicati, su ampia base documentale alla dimostrazione che l’Italia non aggredì di proposito la Jugoslavia nel 1941; quest’ultima era infatti alleata dell’Asse avendo già accettato a suo tempo di entrare a far parte del Patto Tripartito tra Roma, Berlino e Tokyo, insieme a numerose altre realtà slavo-balcaniche. Un colpo di Stato della casta militare serba, appoggiato dalla Gran Bretagna, obbligò Hitler a ridefinire gli equilibri di forze in quell’area dei Balcani che da amica diveniva ostile. Quando un personaggio come l’esponente del PD, Piero Fassino, ancora oggi osa pubblicamente affermare che la tragedia delle foibe è stata l’inevitabile conseguenza dell’aggressione fascista ad un paese neutrale, si può ben comprendere non solo la mediocrità politica del personaggio stesso, ma anche l’ostinato preconcetto che ancora vizia la comprensione dei fatti reali in oggetto.
La seconda parte dell’opera vuol essere una decisa risposta a quella seriosa brigata di ricercatori italiani come Del Boca, Pallante, Oliva e sloveni come Volk e Troha che in merito all’annientamento della componente italiana della Venezia Giulia, minimizzano le responsabilità slavo-comuniste di Tito e della quinta colonna italiana con le sue varie brigate garibaldine di servile e diligente ispirazione comunista. A tale proposito ecco rispolverato alla bisogna il mito inossidabile delle inenarrabili violenze fasciste finalizzate alla pulizia etnica dell’elemento slavo. Vorrei ricordare agli pseudo-storici di parte sopra citati, che le deprecabili violenze che caratterizzarono la guerra civile slava dopo il crollo militare del 1941 vanno anche interpretate alla luce della guerriglia partigiana e del clima di terrore che gli insorti slavi sapevano scatenare infierendo su caduti e prigionieri. La conseguenza di tutto ciò non poteva che essere una reazione uguale e contraria che contemplasse rappresaglie e ritorsioni. I soldati italiani reagirono adeguandosi alla aberrante realtà del momento. Non a caso la Commissione mista italo-slovena istituita nel 1993 parla chiaramente di “… torti da entrambe le parti che possono spiegare, non certo giustificare, le violazioni dei diritti elementari umane”.

CANZANO – Molto interessante, mi sembra già di sentire le obiezioni di chi si è arrogato negli anni su questi temi, il crisma della verità assoluta, resistenziale e antifascista.

DE LUCA – Permettimi di citare, a questo proposito Robert Faurisson: “… il revisionista è essenzialmente colui che si sforza di cercare e di trovare là dove, pare, non c’è più niente da cercare né da trovare”.


     BIOBIBLIOGRAFIA

Vincenzo Maria DE LUCA è nato a Roma nel 1958, è laureato in medicina e chirurgia. Appassionato di storia contemporanea, da alcuni anni si dedica allo studio di quei tragici avvenimenti che furono le foibe, l'esodo e le mutilazioni territoriali, successive al secondo conflitto mondiale, che sconvolsero letteralmente l'italianità di terre come la Venezia Giulia e l'Istria. Alterna alla sua attività di medico quella di ricercatore storico, soggiornando periodicamente a Trieste, Gorizia, e in Slovenia, dove raccoglie in prima persona documentazioni e testimonianze direttamente dai protagonisti, indipendentemente dalla loro nazionalità e fede politica.
E' socio della Società di studi Fiumani di Roma, della Unione degli Istriani, libera provincia dell'Istria in esilio, dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. E' membro del Comitato scientifico del Centro Studi e Ricerche Storiche "Silentes Loquimur" di Pordenone.
Per la casa editrice ‘Il Settimo Sigillo’ ha pubblicato:
FOIBE, Una tragedia annunciata. 2000 - E' difficile trovare nei libri di storia un'esatta documentazione sulle Foibe. Spesso leggiamo menzogne, falsità, approssimazioni. Questo libro, dopo un excursus sulla storia della Venezia Giulia, ne traccia una verità non di parte, al fine di far comprendere la tragedia di quei popoli e del loro genocidio ed esodo a lungo dimenticato.
VENEZIA GIULIA 1943, Prove tecniche di guerra fredda. 2003 - La Venezia Giulia del 1943 è stato teatro non solo di una guerra civile fra due fazioni in lotta, ma anche terra di conquista da parte del IX Korpus tititno. Ciò che è accaduto in quel lembo d'Italia, dalla nascita della Repubblica Sociale Italiana fino al trattato di Osimo, è stata una vera e propria guerra fredda; combattuta da due diverse concezioni politiche, da due opposte visioni del mondo. Non si può comprendere la storia del dopoguerra italiano e jugoslavo, fino alla crisi di fine secolo, se non si comprende l'origine della questione friuliana e dalmata, e il dramma dell'esodo di quelle popolazioni scacciate dalla propria terra. L'eccidio di Porzus è il momento più significativo ed emblematico di quella tragedia.
La memoria non condivisa. 2007 - Dopo "Foibe. Una tragedia annunciata" (riconoscimento "La Versiliana" 2001) e "Venezia Giulia 1943" (riconoscimento "Omaggio a Fiume" 2004), l'autore conclude la sua "trilogia giuliana" ripercorrendo, dal primo conflitto mondiale alla campagna militare italo-tedesca contro la Jugoslavia dell'aprile 1941, le tappe fondamentali della questione dei confini orientali e di una memoria storica tra italiani e slavi ancora oggi non condivisa.